Il Domenicale

Alla ricerca del (felice) mondo di Berry

In un fine settimana di tanti anni fa, che però aveva la stessa fisionomia di questo che va esaurendosi (sabato con la Festa del lavoro e la domenica tutti liberi di andare per prati e spiagge a cercare ristoro e felicità immediate), con in tasca una licenza breve, mi ritrovai a Civita, frazione di Bagnoregio, provincia di Viterbo, malconcia, quasi disabitata ma ancora bella, struggente, meditabonda. Un vecchio, forse l’ultimo rimasto tra quelle case, vista la mia aria di turista spaesato e occasionale, mi chiese di condividere con lui pane, fave e pecorino. Accettai e fu delizia per la gola e, soprattutto, per la mente. Quel vecchio, nelle due ore passate tra le contrade disadorne e deserte di quella residenza di pochi fortunati (soprattutto pazzi e incoscienti) mi regalò lezioni sulla pazienza che tutto aggiusta, sul poco che invece è sempre tanto, sul silenzio che sussurra parole d’infinto, sul lavoro che se amato fa crescere fiori, erbe e piante anche tra le pietre, sull’intelligenza che se ben usata fa la differenza, sulla politica che se non sta in piazza è pericolosa, sul danaro che non è il dio delle consolazioni ma il metro delle disperazioni, sulla pace che non è di qualcuno ma di tutti, sulla libertà che rende liberi… Anche sugli sciocchi che arrivando a Civita non chiedono dove abitano silenzio, bellezza e meditazione, ma solo dove si mangia o si compra la classica cartolina. Salutai il vecchio promettendogli pensieri e ricordi. Poi, a tarda sera, mi accorsi che quello era stato il più entusiasmante e intelligente inizio di maggio che potessi immaginare.

Ieri, immerso nel consueto Primo Maggio intasato da nobili parole ma anche da chiacchiere, proclami e concertoni fuori luogo, ho ripensato a quel giorno lontanissimo e a tutto ciò che il vecchio e solitario abitante di Civita mi aveva insegnato condendolo con fave, pecorino e pane fatto in casa. Ripensandoci, con non poca nostalgia, ho dovuto nuovamente prendere atto che di vecchi meditabondi che felicemente occupano isole come quella chiamata Civita di Bagnoregio si è persa la semente. Mi sono chiesto allora dove stava il segreto del vivere senza avere, dell’avere senza possedere altro se non il cielo e la libertà, del pensare senza ricorrere a pensatori smemorati e prezzolati, del leggere libri e giornali finalmente svuotati dai sussulti della politica, dagli scandali, dai morti ammazzati, dai saccenti interpreti del nulla… Ho concluso che è questione di “mettere in un cuor solo e in un’anima sola quel che il giorno regala”. Vale a dire: spogliarsi dell’io e vestirsi del noi; gustare il cielo senza pretendere che la terra ti sia piedistallo; tendere la mano per dare misericordia e anche per riceverla; costruire una casa, poi una scuola, anche una chiesa, tante officine quanto ne bastano per ospitare chi chiede di imparare un mestiere…

Impossibile? Forse. Però, un certo Antonio Francesco Davide Ambrogio Rosmini (di certo non colpevole dei tanti nomi segnati all’anagrafe), filosofo, teologo e presbitero che la Chiesa ha proclamato Beato, invitando i cristiani del suo tempo a “riconoscere intimamente il proprio nulla”, li sollecitava anche ad avere scritte nella mente “le ragioni del proprio nulla: prima quelle che provano il nulla di tutte le cose; poi quelle che umiliano specialmente l’uomo; in terzo luogo quelle che umiliano la sua persona”. Invece, saggiamente secondo me, un contemporaneo ancora ieri ha scritto che “senza fare lo scalpo alla terra. senza fraterni fratricidi, senza negare lavoro ed evidenze si può vivere di solo bene”. Se volete, è la perfezione dell’imperfezione, consolante ma certo non commerciabile. Infatti, non per scienza ma per grazia del sapiente vocabolario, ho scoperto che è semplicemente una litote, cioèuna figura retorica che consiste nel dare un giudizio o fare un’affermazione adoperando la negazione di un’espressione di senso contrario”, che “si ha quando si sostituisce un’espressione troppo cruda con la negazione del contrario” e che “può avere intento di attenuazione o enfasi, ma anche di eufemismo o ironia”.

Come sempre “la verità è che nessuno è perfetto”, che nel suo contrario ammette l’imperfezione, equivalente a dire – insieme a tale Vladimiro Polchi, autore di un pregevole saggio sull’imperfezione destinata a diventare perfezione – che “tutti sono perfetti”, almeno se è accettata l’idea che “tutte le perfezioni contengono più o meno celate delle imperfezioni”. Se siete sopravvissuti al labirinto che ho maldestramente disegnato, sappiate che come Pasternak “io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, che non hanno mai inciampato”. La loro, infatti, è tutt’al più “una virtù spenta, di poco valore” perché “a loro non si è svelata la bellezza della vita”.

Chi invece ha scoperto (quasi) per intero la bellezza della vita è un tale che si chiama Wendell Berry. Chi lo conosce alzi la mano. Non ne vedo, neppure la mia può alzarsi. Eppure questo misterioso, strano, innocente, sognante, impegnato, solitario, poeta e cantore di un mondo in cui lui è ospite e che gli compete nella misura in cui può renderlo migliore senza per questo assoggettarsi tutto – mente cuore braccia – al profitto, esiste e dal 1979, ogni domenica (avete forse notato la coincidenza con il Domenicale?), scrive meditazioni poetiche a uso e consumo di chi vuole aggiungere al solito, un vago ma illuminante insolito. Come detto si chiama Wendell Berry, è nato e cresciuto in America dove è diventato professore eccellentissimo e fine letterato, ha vinto borse di studio che gli hanno permesso di viaggiare in Europa e di lavorare a New York, avrebbe potuto scalare le vette della notorietà, invece smise l’abito elegante, salutò la città e con moglie e figli andò a lavorare la terra in una piccola fattoria fuori mano e lontana dai classici circuiti imbevuti di notorietà e danaro. Era diventato agricoltore, ma non al punto di non considerare la sua capacità di scrivere meditazioni poetiche una necessità per lui e un refrigerio intelligente per la mente di chi avrebbe letto. Berry non era e non è un ascetico, però per lui il Vangelo è una cosa seria. Poco importa se dice “vado in chiesa quando piove”, importante è che consideri il mondo “il tempio di Dio che ha la precedenza sul tempio rappresentato da una chiesa”, che si ostini “a partecipare la presenza del divino attraverso la parola, il canto, la comunità”, essenzialmente “quando piove” ma con possibili e immediati ripensamenti in caso di bel tempo prolungato. Infatti, scrive in una sua poesia “siamo ciò che ci viene dato / e ciò che ci viene tolto: / sia benedetto il nome / di chi dà e di chi toglie”.

Berry non si preoccupa particolarmente del peccato così come lo intendono i cattolici; si preoccupa invece del peccato inteso come l’ingiustizia nei rapporti tra persone, e tra umani e mondo naturale; si rammarica “dell’individualismo che frammenta il mondo e strappa il cuore delle persone dalle radici che soltanto possono dare un senso al lavoro e all’attività del singolo; si preoccupa delle idee efficientiste e capitaliste che promuovono una visione della vita che sfrutta la terra e le persone, e che si presenta come il progresso…” inevitabile della specie umana. Invece, ha scritto Jonah Lynch commentando la sua opera “l’uomo non è un dio”, perciò, come Berry “vive meglio sotto la luce filtrata del bosco che sotto i riflettori e gli sgargianti tubi dei neon”. In questo lo aiutano “le passeggiate domenicali tra gli alberi e l’osservazione del mondo naturale” niente altro che “atti di respiro, che permettono il ritorno al mondo degli umani con tempi più pazienti e occhi più onesti, meno chiusi e costretti dentro a categorie inadeguate”.

Come il vecchio e solitario abitante di Civita, l’americano Berry dice a me a tutti: “Prepara un posto per sederti. / Siediti. Resta in silenzio… / Respira con respiro incondizionato / l’aria non condizionata… / Accetta ciò che viene dal silenzio. / Fanne il meglio che puoi”.

Però, politici-politicanti-sindacalisti-imprenditori-predicatori di sventura-cercatori di visibilità-testimoni dell’io invece che del noi (se non tutti di sicuro tantissimi) è probabile che non lo sappiano. Se avete occasione, per favore, ricordateglielo.

LUCIANO COSTA

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