Il Domenicale

Ancora a proposito di imbecillità….

A proposito di prevalenza dell’imbecillità, della cretineria e dellastupidi, o che altro dir si voglia, di cui in precedenti domenicali m’è arzigogolato argomentare, un lettore attento e malizioso mi manda a dire: “Meglio sarebbe precisare i contorni di tale campo seminato, per evitare che pur sguazzandoci liberamente dentro, qualcuno si ritenga libero da qualsivoglia contagio. Siccome ha ragione lui, cercando rimedio, ho rovistato l’Enciclopedia italiana laddove, alla voce “imbecillità”, dice che è difetto grave, ma non gravissimo…”, aggiunge che “al disotto degl’imbecilli, cioè di coloro che arricchiscono l’esercito dell’imbecillità, stanno gl’idioti, mentre al disopra (bontà sua) e fino ai limiti della normale mediocrità stanno i semplici di spirito”. Sulla fisionomia degli imbecilli l’Enciclopedia è a dir poco tranciante quando afferma che “gl’imbecilli sono spesso fatui, vanitosi, bugiardi, ipocriti, volubili, riottosi, ribelli, crudeli…; possono altresì presentare crisi distimiche (ovvero disturbi dell’umore, nulla più/ndr), delirî di grandezza o di persecuzione.Ovviamente, l’ospite sgradita può essere retaggio di malattie congenite o subite, nel qual caso guai a mettere il dito nella piaga; ma se invece è e resta un cocciuto modo di esistere-essere-interpretare-fare-brigare-pensare-legiferare o governare, allora non un dito ma un braccio e più è il caso di affondare nella piaga. Soprattutto perché, come ha scritto un raffinato affabulatore (Marco Archetti, su “Libero” se la memoria non m’inganna) “non ci sono più gli imbecilli di una volta, ora è più difficile individuarli perché sono istruiti, vestiti bene, laureati: sono dei cretini intelligentissimi. E nessuno ne è escluso”.

Se ha ragione, e non vedo come non possa averne, c’è poco da stare allegri. E non vale addurre la vecchia giustificazione… Ma sì, quella che dicendo “l’imbecillità è come la morte, essa riguarda sempre gli altri. Invece, come disse recandomi allegria l’arguto e dottissimo Carlo M. Cipolla riguarda tutti, e non è un tema comico, soprattutto perché il danno che l’imbecille-stupido ecc. ecc. produce è sempre sottostimato, e se dietro ogni scemo-imbecille-stupido ecc. ecc… c’è un villaggio che non è da meno, davanti c’è spesso un talk-show che lo è di più, così che il danno è tragicamente collettivo: il cretino-imbecille-stupido ecc. ecc… figuriamoci se supportato, ne causa anche a se stesso, danni di cui ovviamente non ha contezza e anzi, meno ne ha e più agisce in quanto cretino, essendo un vero cretino oltre che stupido-imbecille ecc. ecc...”. Ho anche letto (lo ha scritto Maurizio Ferraris) che “l’imbecillità è cosa seria. Infatti, benché se ne tratti con scherzosa ferocia, col tono di chi si erge o si chiama fuori, ci siamo tutti dentro fino al collo, volenti, nolenti o parenti... Però, si potrebbe anche dire (con Alfonso Berardinelli) che “l’imbecillità non è semplice inefficienza intellettuale, cioè assenza di “idee chiare e distinte e connessioni reciproche e necessarie” e che, così come l’intelligenza è più che la mera efficienza intellettuale, anche l’imbecillità è una forza complessa e insidiosa: impotenza capace di elevarsi a potenza per marcare sempre meglio il mondo e generare lacune sempre più perniciosamente (im)produttive, è poderosa forza di tracollo, insinuante e persuasiva, sleale e gioiosa, abile a camuffarsi. Tradotto significa che l’imbecillitànon è solo l’essere imbecilli e non è semplicemente un errore dell’intelligenza; non è neppure una formula, ma è una realtà che ha una propria fisionomia ed eserciti armatissimi, tant’è che gli imbecilli di cui vediamo la ribalta sono sempre meno nudi. Per di più “non ci sono più gli imbecilli di una volta perché, come ricordato più sopra (ma mai come adesso ripetere giova)l’imbecillità è migliorata, e in giro ci sono imbecilli vestiti di nuovo, imbecilli istruiti, talvolta laureati, spesso colti... Insomma, ci sono in giro cretini intelligentissimi.

  

Potrei adesso dilungarmi ricordando scritti memorabili e finti memorabili (di Papini, di taluni interpreti, a dire il vero assaiingenuotti, del folklore russo, di Boccaccio, Moupassant, YatesRenard o Flaubert e chissà quanti altri), invece beccatevi Orazio, che nelle sue Satire, per bocca di Damasippo ci ricorda che tutti sono imbecilli. Inquietante? Di sicuro indubbiamente vero. Per capirlo basta rileggere (bene) Platone, oppure ascoltare Socrate quando, parlando dei prigionieri della caverna, dice a Glaucone:Ci somigliano… Sì, siamo noi quelli incatenati, noi che guardiamo le ombre proiettate dal fuoco e le scambiamo per le ombre degli altri.

Meditiamo, gente, meditiamo!

Ma se ho esagerato in citazioni e rimandi, sappiate che l’ho fatto apposta. Infatti, non capisco, ma ammetto che l’imbecillità (di cui per altro non son certo d’essere immune-dispensato-sollevato-preservato-lontano-lontanissimo…), mal che affligge l’umanità, faccia parte del panorama. Peròsebbeneorbenealloradunquebenchéancorchéepperocché-pertanto-quindisemmaiquantunque, mi domando: com’è possibile che menti elevate(elevate nel senso di “portate in alto, addirittura in Parlamento se già non in cielo e da lì al governo o ancora più su, quindi deputate a legiferare, abbiano eruttato-emesso-formulato e poi mandato fuori, perché il mondo sapesse e l’Italia (la loro, ovviamente) ne andasse fiera, una norma-legge-decreto o proposta di legge chestracciaaccartocciasmembracancella-distrugge-sciupa-e avvilisce qualsiasi forma di umanesimo (locale-integralecivicosolidaleevangelico-protestante-islamico-buddista-ebraico-laico…) per stabilire che il “negro” (nel senso di profugo disperato che vien dal mare dopo aver sfidato terre desolate), che qui vuol restare, cinquemila euro deve pagare.. e se non può pagare (carenza di liquidità, fondi insufficientiinesistenti e quindi disabitudine al danaro sonante….) in galera dovrà restare.

Mi vergogno (son solo, ma se v’aggrada accetto compagnia) di appartenere a simile genia di geni avari di pensieri pensati, di cuore aperto agli altri, privi di qualsivoglia idea di bene comune da cercare e perseguire. Ma non solo. Mi vergogno anche di esseretra coloro, italiani brava gente, che questo andazzo direttamente,indirettamente, magari votando contro ma restando inascoltati – hanno cercato-avallatovoluto... e soprattutto permesso a qualcuno di proporre rimedi che peggiori son difficili da immaginare. Infatti, se applicata, la norma annullerebbe il sacro principio sancito dal diritto internazionale marittimo (sottoscritto e accettato da tutte le Nazioni), che obbliga chiunque possa o si trovi nelle vicinanze a soccorrere chi si trova in difficoltà, sia esso in mare,lago, oceano, fiume, palude…

Allo stesso tempo mi chiedo: che imbecillità è quella che pretendedi cacciare, anche a calci nel deretano, uno che se ne intende  (il direttore del Museo Egizio di Torino, esperto di storia e arte di grande vaglia), un esperto, per aver qualche tempo fa ridotto il costo del biglietto d’entrata al museo da lui diretto, quindi sotto la sua giurisdizione, agli arabi egiziani et similia, ritenendo lo sconto una sorta di risarcimento material-morale alle tante ruberie fatte a danno della terra dei faraoni e non solo loro….

Sottraendomi, per adesso almeno, all’imbecillità, vedo intono guerre di là e di qua, davanti, dietro, a destra e a manca, di là del fiume, tra gli alberi, sopra e sotto la collina, su e giù per valli e monti, in cielo e in terra, in città e campagna e poi nei villaggi, nei quartieri, nelle periferie, nei paesi e nelle loro frazioni spesso minute, belle, piacenti e desolate, sul mare e sui laghi, dove corrono bambini allegri e dove il loro gioco è disturbati dai carri armati, dai droni, dai missili, dalle bombe, dalle mine sotterrate o lanciate a grappolo per far ancora più male…. I chiedo e richiedo: che cosa mena-conduce-adduce-appropinqua-avvolge-ingarbuglia a tutto questo? Non ho dubbi: è l’imbecillità.

Così all’alba, tanto per cambiare, mi sono chiesto se e come son io adatto a disquisire su simili massimi sistemi. Mi son detto, con assoluta convinzione, che he il più severo nell’esercitare una censura nei confronti di ciò che si scrive dovrebbe essere lo scrittore stesso. Ho anche aggiunto, riflettendo su pensieri e riflessioni accumulate in attesa di lettura attenta, che la prima persona a cui mettere il bavaglio è quell’io chiacchierone e smodato che prolifera nella solitudine stessa della scrittura”,mentre la seconda persona da tenere a bada è il mestierante talentuoso, che sa sfornare formule incantatorie e che non cessa di metterle in fila  perché gli riescono bene, o benino, finendo per accontentarsene soprattutto perché “piacciono al suo pubblico e non serve andare troppo per il sottile…”; la terza persona (ovviamente da tenere sotto osservazione e controllo) è il ribelle che vuole osare, vuole stupire a ogni costo, e scambia le proprie oscurità per invenzioni geniali, rivendica l’illeggibilità, dopo un paio di secoli che hanno permesso di confonderla con la poesia...;la quarta persona è l’ingenuo che si è entusiasmato per un’idea narrativa e non vuole  mollarla nemmeno quando è chiaro che non sta conducendo in un vicolo cieco (anche lì, infatti, sarebbe capace di andarci avanti per un intero libro); la quinta persona é chi si lascia sedurre da un argomento di attualità, quello di cui parlano tutti, e così facendo si convince di essere in sintonia col mondo, magari solo per ovviare alla sensazione, che spesso lo coglie, di esserne escluso”.

Non so bene, oppure mi rifiuto di saperlo, a quale delle persone elencate assomiglio. So per certo che tutte, o quasi tutte, convivono in chi scrive, lo riempiono di voci e di esigenze diverse, e tocca allora a una specie di supervisore, o censore, mettere un freno alle pretese avanzate dal carattere, dalle aspettative, dalle illusioni e dai risentimenti che animano lo scrittore, Ma che in molti casi sono anche la fonte primaria della sua ispirazione, dunque sarebbe assai dannoso reprimerle o tacitarle del tutto. E’, lasciatemelo dire,la sciagura della consapevolezza, quella che diversamente dai personaggi dei miti e delle tragedie antiche, assicura che noi sappiamo già tutto, in anticipo, che dunque non ci serve il coro, perché siamo noi il coro di noi stessi”. Potrei chiamarmi fuori o chiedere venia. A che senso avrebbe se poi, ostinatamente, continuo a scrivere quel che penso e che libertà e ricerca della verità mi suggeriscono?

Scrive oggi nel suo domenicale “breviario” l’eccellentissimo Gianfranco Ravasi rimettendo in vista quel che in “homo ludens” a suo tempo annotò lo storico olandese Jan Huizinga, che “con la svalutazione della parola cresce, in proporzione diretta, l’indifferenza verso la verità”. Lo stesso eccellentissimo Cardinaleusa Kafka per ribadire come tanti, forse imbecilli-stupidi o altro, “non sanno cosa dicono; parlano solo per mettere in moto l’aria. E parlando alzano il viso e seguono con ammirazione le parole da loro pronunciate”, secondo me beandosi e compiacendosi.  Son forse tra questi? Spero proprio di non esserlo. Ma se lo fossi, perdonatemi e aiutatemi a uscir dall’ingorgo.

Infatti, pur sapendo che il più severo nell’esercitare una censura nei confronti di ciò che scrive dovrebbe esser lo scrittore stesso, no rifiuto certo suggerimenti. E poi, sono convinto che la prima persona a cui mettere il bavaglio è quell’io chiacchierone e smodato che prolifera nella solitudine stessa della scrittura, a causa del suo carattere…; la seconda persona da tenere a bada è il mestierante talentuoso che sa sfornare formule incantatorie, e non cessa di metterne in fila  perché gli riescono bene, o benino, finendo per accontentarsene: al suo pubblico piacciono e non serve andare troppo per il sottile… la terza persona è il ribelle che vuole osare, vuole stupire a ogni costo, e scambia le proprie oscurità per invenzioni geniali, rivendica l’illeggibilità, dopo un paio di secoli che hanno permesso di confonderla con la poesia. La quarta persona è l’ingenuo, che si è entusiasmato per un’idea narrativa e non vuole mollarla nemmeno quando è chiaro che losta conducendo in un vicolo cieco: sarebbe capace di andarci avanti per un intero libro… la quinta persona é chi si lascia sedurre da un argomento di attualità, quello di cui parlano tutti, e così facendo si convince di mettersi in sintonia col mondo, per ovviare alla sensazione che spesso lo coglie di esserne escluso

Tutte queste persone e figure, e molte altre ancora, convivono in chi scrive, lo riempiono di voci e di esigenze diverse, e tocca allora a una specie di supervisore, o censore, mettere un freno alle pretese avanzate dal carattere, dalle aspettative, dalle illusioni e dai risentimenti che animano lo scrittore, ma che in molti casi sono anche la fonte primaria della sua ispirazione, dunque sarebbe assai dannoso reprimerle o tacitarle del tutto. “Sciagura della consapevolezza: diversamente dai personaggi dei miti e delle tragedie antiche, noi sappiamo già tutto, in anticipo. Non ci serve il coro, perché siamo noi il coro di noi stessi” o che altro?

Mentre cercate risposte, godetevi un piatto di maccheroni elettronici cucinati da Alberto Camerini e serviti a mo’ di canzone popolare intelligente, che chiedendo “di buono al ristorante oggi cosa c’è?” trova “minestrone elettrico delle TV, pasticcio all’italiana, solito menu e tutti in tavola” con “mafia e terrorismo, guerre e beghe, fritto bruciato, spaghetti e terremoto, dolce e poi caffè, lotto e superenalotto, camorra e catenaccio, mandolini e rock’n’roll, risotto arcobaleno, poeti cucinati, cotti con champagne, la torta di Arlecchino, bevi un po’ di vino e ti ubriacherà, tutti in tavola, che ci sono maccheroni elettronici…” e poi “spaghetti nucleari, zuppa del robot, ricetta del computer, lasagne punk, galletto rockabilly, pollo di metallo elettronico, oh, oh, oh…”.

Scusate ampiezza e lunghezza, ma son state suggerite dal desiderio di invogliarvi a leggere lentamente, meditando e cercando ciò che davvero serve per rasserenare i giorni. Buona domenica.

LUCIANO COSTA

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