Il Domenicale

Avviso ai naviganti: la vita è bella!

Forse non si sa o forse è meglio non saperlo, oppure si sa ma si fa finta che non sia, magari nessuno l’ha messa in pagina e video e siccome non sta in bella e urticante evidenza essa non esiste, probabilmente è un’illusione bella ma senza prospettive, sfacciatamente è un film che narra il peggio pur asserendo che la vita è bella… Forse potrebbe non sembrare importante, ma oggi è proprio la festa della vita, che se privata dal marchio d’origine, quello che la identifica come festa voluta dal papa e dai suoi accoliti “per fronteggiare – dissero i presunti cantori del libero arbitrio quando venne proposta – il diritto di chiunque a esistere (nascere) o cessare d’esistere (morire), certamente non stonerebbe quale festa di chi, nonostante sia oppresso da strumenti, macchine, metodi, urla, rumori, virus, palloni, corse, bombe, cannonate e missili pensati e costruiti per mietere vita e vite, vuole (o vorrebbe), desidera (o desidererebbe), sogna (o sognerebbe), spera (o spererebbe) ostinatamente di vivere, possibilmente a lungo, circondato da affetto e di pace.

Fermamente convinto della necessità di festeggiare la vita (“perché se ti tocca fare i conti con il bubbone che s’annida nelle viscere – mi ha spiegato anche ieri il saggio Bortolo, detto “Medèga” per la sua capacità di trovare rimedio a qualsiasi dolore -, una volta che l’hai espulso e forse vinto grazie a bisturi intelligentemente usati da abili chirurghi a cui hanno fatto seguito chemio, radio e varie altre terapie, altro non hai da fare se non cantare che, comunque, la vita è bella”) e ritenendo la vita degna d’essere vissuta in pace, con Francesco (papa commovente, testardo assertore della pace come dono destinato a chiunque)  dico che “è l’ora di dire basta sangue versato, basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace…”. E dico ancora “basta distruzione, è l’ora della costruzione…, di gettarsi alle spalle il tempo della guerra, di far sorgere un tempo di pace…” che sia di tutti e per tutti.

Così, ritenendo cosa buona e giusta festeggiare la vita e insopportabile, addirittura idiota e incivile, assistere al rotolamento delle pietre che circondano il mio e vostro nostro quotidiano senza tentare di fermarle e senza profferire mugugno, insieme a Patrick Kavanagh (poeta che tempo fa, in un altro domenicale, mi disse “andremo a rubare in cielo” per fare bella e abitabile la terra) ripeto: “Bimbo, non andare / nei luoghi scuri dell’anima, / perché lì i grigi lupi frignano, / i grigi lupi smagriti. / Sono stato laggiù / tra gli empi che fanno strame / del mantello bianco della bellezza e la rivestono / di stracci di preghiera. / Bimbo, c’è luce da qualche parte / sotto una stella. / Talvolta sarà per te / una finestra che affaccia / all’interno verso Dio”. Lo so, non è altro che un ritorno all’esercizio della notarella di costume dedicata ai piccoli e grandi misteri – fatti e misfatti che danno sapore, calore e colore al quotidiano – dei quali sono e siamo, a seconda delle occasioni, testimoni o spettatori muti. Però, l’ultima volta, ma forse anche la penultima, che mi capitò di ragionare ad alta voce su qualcosa di alto e nobile (e alta e nobile è sempre la vita), qualcosa che andava appena al di sopra delle tasche, fui preso benevolmente a sassate. Così vanno le cose: uno scrive quel che molti pensano e succede che gli costruiscono intorno se non il classico rogo, di sicuro un largo e profondo fossato…

È la democrazia, bellezza! Allora puoi dire una c…, cantare una c…, scrivere una c…, predicare una c… (se sia cavolata oppure altro, decidetelo voi) perché solo in tal modo riconosceranno e proclameranno che sei libero e degno di dire-cantare-scrivere-predicare… Per la verità “io, da quando mi ricordo, sono sempre stato democratico, ma non per scelta, per nascita…”. Soprattutto perché “come si fa, oggi, a non essere democratici se sul vocabolario c’è scritto che democrazia è parola che deriva dal greco e significa potere al popolo?”. L’espressione è poetica e suggestiva. Ma in che senso potere al popolo? Come si fa? Questo sul vocabolario non c’è scritto. Però, si sa, è questione di voto, anche di quello che fra sette giorni dovrò e dovremo esprimere per stabilire a chi consegnare le chiavi di regioni, tanto per incominciare, come Lombardia e Lazio. Se l’avete dimenticato, è proprio nata così (da un voto) la famosa democrazia rappresentativa, “che dopo alcune geniali modifiche – semmai non fosse banale la cantata di Gaber -, fa sì che tu deleghi un partito, che sceglie una coalizione, che sceglie un candidato, che tu non sai chi è, e che tu deleghi a rappresentarti per cinque anni; e che, se lo incontri, ti dice giustamente: lei non sa chi sono io…”.

Poi, un’altra caratteristica fondamentale della democrazia, è che si basa sul gioco delle maggioranze e delle minoranze. Ragion per cui, “se dalle urne viene fuori il 51 vinci, se viene fuori il 49 perdi. Ecco, dipende tutto dai numeri. Come al gioco del lotto, con la differenza che al gioco del lotto il popolo qualche volta vince, in democrazia mai. E se viene fuori il 50 e il 50… (con un tanto a destra e un quanto a sinistra, dico io) allora viene fuori un bel pareggio. È sempre stato così, per anni. Non adesso… Adesso è tutto diverso, soprattutto perché è successo un mezzo terremoto e le formazioni politiche hanno nomi e leader diversi. Tanto è vero che “adesso non c’è più il 50% a destra e il 50% a sinistra, c’è il 50% al centrodestra e il 50% al centrosinistra, oppure il 50 virgola talmente poco, che basta che a uno gli venga la diarrea che cade il governo…”, magari quello appena eletto. Insomma, “non c’è niente da fare, sembra proprio che gli italiani (in questo caso solo lombardi e laziali) non vogliano essere governati… Non si fidano, hanno paura che se vincono troppo quelli di là, viene fuori una dittatura di sinistra, ma se vincono troppo quegli altri, viene fuori una dittatura di destra… E la dittatura di centro, invece? Quella gli va bene. Auguri auguri auguri…”.

Oggi è la festa della vita e io continuo ritenermi quello che ero: un ingenuo, uno che crede ancora alla politica come mezzo per risolvere i problemi dimenticando, sempre alla maniera di Gaber, che “cercare oggi di migliorare le condizioni di vita del Paese”, quale sia il tipo di politica agognato e vissuto “é come fare un po’ di pulizie a bordo del Titanic che sta affondando…”. Quindi, tu mi dirai: “Non c’è salvezza!”. No, questo non puoi dirmelo, soprattutto perché sai quanto so io; e cioè che le risorse dell’uomo sono imprevedibili, così tante e nobili che “si potrebbe forse cominciare a pensare, o anche a operare, nel senso di un cambiamento sostanziale…”. Epperò, “siam qui fermi malgrado la grave emergenza, come uomini al minimo storico di coscienza…”.

 

Però, per cambiare “situation” (che, se interessa, alla milanese si pronuncia “situescion”) basterebbe pochissimo… “Basterebbe smettere di piagnucolare e leggere i giornali; essere certi solo di ciò che noi viviamo direttamente; rendersi conto che anche l’uomo più mediocre diventa geniale se guarda il mondo con i suoi occhi; smascherare qualsiasi falsa partecipazione; rendersi conto che l’unico obiettivo non può essere il miglioramento delle nostre condizioni economiche, perché la vera posta in gioco, è la nostra vita; smettere di sentirsi vittime del denaro, del destino del lavoro, e persino della politica, perché anche i cattivi governi sono la conseguenza della stupidità degli uomini… poi, basterebbe rifiutare, rifiutare la libertà di calpestare gli altri, ma anche la finta uguaglianza; basterebbe smascherare le nostre presunte sicurezze, la nostra falsa coscienza sociale. Ma subito, qui e ora…”.

 

Solo così “io vedo un uomo solo e smarrito / come accecato da false paure, / ma la vita non muore nelle guerre / nelle acque inquinate del mare. / E i timori anche giusti / son pretesti per non affrontare / la mancanza di una vera coscienza / che è la sola ragione / della fine di qualsiasi civiltà”. Allora oggi, se potete, col Benigni che s’avvia nella stanza dalla quale non c’è ritorno, cantate così:

 

“Vai…
non ritornare più
puoi…
dimenticare ormai.
No…
la terra ha il suo colore
il vento colpa non ne ha
però
lui sa la verità
Ah!
lo vedi che lassù
c’è…
del fumo grigio che
si può sperdere nell’aria,
se si respirerà
lo sai
lo so…
che non soffocherà.
Vai!…
ricordati di me
ma…
ricorda solo i giorni felici e scorda
che son rimasto qua.
Sai…
forse non ci credi più
se ti dico che la vita è sempre bella
se ci sei.
Si!…
sono sempre accanto a te
quest’incubo e alla fine so che tu
ti sveglierai.
Va…
non ritornare più
qui…
risposte non avrai
No…
il cielo ha il suo colore
se pioggia scenderà
con lacrime
non si confonderà
Va!…
Non ritornare più!
Puoi…
svegliarti anche tu…
e come lì da te vedrai
che un fiore crescerà”.

 

Oggi è la festa della vita. E la vita, comunque, magari anche se vissuta e appena ritrovata, è bella per davvero!

 

LUCIANO COSTA

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