Il Domenicale

Canzoni e canzonette come lezioni di vita…

Il Domenicale, questo e i chissà quanti altri l’hanno preceduto (nacque per le colonne di “Bresciaoggi”, resistette all’usura del tempo e agli umori dei direttori fin quando il reggente di turno decise che nel restyling del quotidiano locale, quello spazio ad altro doveva servire, poi uscì dallo stampato e proseguì la corsa sul blog, questo che ancora sta occupando) è una libera divagazione su temi e pensieri che hanno caratterizzato la settimana che l’ha proceduto. Niente di più e niente di meno. Poi, come in ogni libera divagazione, accade che un pensiero ne rincorra un altro e un tema ne solleciti altri dieci fino a formare un guazzabuglio difficile da sbrogliare senza chiedere all’eventuale lettore di mettere in conto uno sforzo considerevole e considerevole pazienza al fine di sentirsi, se non proprio compiaciuto per lo sforzo compiuto, almeno appagato dalla lettura… Oggi, dopo una settimana in cui ho visto transitare indisturbate tante parole senza senso e pochissime idee degne d’essere ascoltate e salvaguardate, dopo sette giorni interamente dedicati alla vacanza (allegra-spensierata-lieta-stravagante-assolata-bagnata-impegnata-disimpegnata-pensante-riposante-faticosa oppur gioiosa… come più vi aggrada) altro non ho da offrirvi se non qualche divagazione (suggeritami dalla pretesa con cui taluni e talune hanno spiegato il loro modo di sentirsi liberi e libere di dire, intendere, manipolare, spiegare, credere, combattere, fare e disfare) sull’importanza di “far finta di star bene”, sulla libertà che “è partecipazione” e sulla presunta certezza di aver visto re, contadini, vescovi, cardinali  e anche imperatori “stare allegri” sebben appesi alle corde della chitarra di un poeta (un tale che si chiamava Giorgio Gaber, che una serata di Techeteche-Rai ha restituito al godimento più genuino), che insieme a pochissimi altri affabulatori li metteva alla berlina benché fossero potenti, ignoranti, intelligenti, presuntuosi, superbi, politicanti e farneticanti…

Forse, o senza forse, ha davvero ragione il poeta cantore dei vezzi e dei sogni delle masse (Giorgio Gaber, chi altro?): in un mondo che va a sghimbescio, che è pieno di guerre, di problemi, di pandemie, di gente che si dà alla politica invece che all’ippica (con tutto il rispetto di chi coi cavalli vive e campa), di furbi che giocano a far promesse (vince ovviamente chi le spara più grosse), di mezze tacche che credono d’essere chissà chi, di ricchi e arricchiti convinti che tanto coi soldi si compra tutto, di ignoranti e ignorantissimi (i primi non sanno e i secondi sanno ma ignorano il saputo) in libera uscita, di intelligenti e intelligentoni che al dire e fare per il bene comune preferiscono il tacere e il rimanere a contemplare… ebbene, in un mondo siffatto quel che conta è “far finta di star bene”, da soli o in compagnia, sfrecciando su una moto di moda o pedalando su una comunissima bicicletta, che bello “far finta di essere sani”, magari anche “liberi di sentirsi liberi”, anche solo per un attimo, il tempo necessario per misurare “la misura della mia inutilità”.

Però, ancora adesso che di anni e di acciacchi ne ho accumulati tanti, ostinatamente “voglio, vorrei essere libero, libero come un uomo, come un uomo appena nato, che ha di fronte solamente la natura, che cammina dentro un bosco, con la gioia di inseguire un’avventura…”. Si, “voglio, vorrei essere incosciente come un uomo, compiaciuto della propria libertà…”, che “non è star sopra un albero e neanche il volo di un moscone…”, neppure “uno spazio libero, ma è partecipazione”. Allora voglio, vorrei essere libero come un uomo, come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia e che trova questo spazio solamente nella sua democrazia… Che ha il diritto di votare”, ma che delegando e ri-delegando, “nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà”. No, “la libertà non è star sopra un albero, non è neanche avere un’opinione, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”. Per questo, soprattutto per questo, “voglio, vorrei essere libero come un uomo, come l’uomo più evoluto che si innalza con la propria intelligenza e che sfida la natura con la forza incontrastata della scienza, con addosso l’entusiasmo di spaziare senza limiti nel cosmo, convinto che la forza del pensiero sia la sola libertà… Ma, di nuovo, mi accorgo che “la libertà non è star sopra un albero, non è neanche un gesto o un’invenzione o solo uno spazio libero”, neppure è “il volo di un moscone”, perché “libertà è partecipazione”.

Poi, “ho visto un re, che piangeva seduto sulla sella, piangeva tante lacrime, ma tante che bagnava anche il cavallo: povero re e povero anche il cavallo”. E subito dopo ho visto quell’imperatore che “gli ha portato via un bel castello, uno dei trentadue che lui ce ne ha; povero re e povero anche il cavallo”. Quindi, lì accanto, “ho visto un vescovo che anche lui piangeva, faceva un gran baccano, mordeva anche una mano, la mano del sacrestano: povero vescovo e povero anche il sacrista”. Poi è passato il cardinale che “gli ha portato via un’abbazia, una delle trentadue: povero vescovo e povero anche il sacrista”. Dopo ho visto anche “un ricco che lacrimava su un calice di vino e ogni goccia andava dritta nel vino, sì che tutto l’annacquava: povero il tapino e povero anche il vino”. Alla fine è apparso “un villano, certo un contadino “che Il vescovo, il re, il ricco, l’imperatore e perfino il cardinale l’han mezzo rovinato: gli hanno infatti portato via la casa, il cascinale, la mucca, il violino, la scatola di kaki, la radio a transistor, i dischi di Little Tony, la moglie; gli hanno anche mandato un figlio a fare il militare e gli hanno in aggiunta ammazzato anche il maiale: povero purscel, nel senso di maiale…” Ma lui no, “lui non piangeva, anzi ridacchiava: Ah! Ah! Ah!”. Tutta colpa dell’esser villani, che noi villani “sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale: diventano tristi se noi piangiamo…”.

Ma, queste, sono divagazioni strampalate o sono la rappresentazione del vivere quotidiano? Non lo so e non ho voglia di scoprirlo. Però, voi, giudicate liberamente. Poi, se le considerate divagazioni strampalate, liquidatele come se fossero canzonette; se invece le considerate rappresentazione del vivere quotidiano coniugatele e adattatele alla realtà. Scoprirete magari che “far finta di star bene” è un modo per dare calci alla paura e ai venditori di fumo; che volere “essere libero, libero di essere libero” significa possedere quella libertà che diventa partecipazione; che osservare un re e poi un vescovo, un imperatore, un cardinale, un ricco e un villano muoversi ognuno secondo prassi e modi personalissimi è scoprire che esistono, che fanno la differenza“ ma che, comunque, “sempre allegri bisogna stare, che il piangere fa male…”.

Qui finisce l’avventura dell’odierno Domenicale e ricomincia l’attesa di buone o cattive nuove da raccontare e commentare. Però, onde evitare di rimandare a dopo quel che è ancora possibile fare adesso, consentitemi un’appendice dedicata a due eventi celebrati ieri: la Giornata mondiale dell’aiuto umanitario e il Meeting di Rimini, quest’anno intitolato “una passione per l’uomo”.

La Giornata mondiale dell’aiuto umanitario ha detto a me e spero a tanti, che “in un mondo sempre più globalizzato, in cui le guerre e i conflitti non hanno confini e finiscono per coinvolgere un numero sempre più grande di Paesi, gli aiuti umanitari sono uno strumento chiave non solo per permettere alle popolazioni di affrontare le emergenze immediate e stringenti, ma anche e soprattutto per ricostruire il tessuto sociale e la resilienza delle comunità, una volta finiti gli scontri. Anche se spesso sembrano non finire mai”. Quindi, siccome gli aiuti umanitari non nascono per caso, diamoci da fare: aiutiamo!

Il Meeting di Rimini, appuntamento agostano che discute e fa discutere sull’essere e il divenire di noi umani, adesso impegnato a definire il senso di ciò che comunemente si chiama “una passione per l’uomo”, si è aperto con la lettura dei messaggi inviati da Papa Francesco e dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Il messaggio di Francesco contiene l’appello ai cristiani di oggi a riscoprire, pur nel clima del “tutti contro tutti” che caratterizza il presente, “la via dell’attenzione d’amore agli altri, della vicinanza, della ricerca del bene quale condizione per essere pienamente noi stessi e portare frutti… l’essenzialità dell’incontro con l’altro, credere che esiste una mano che ti rialza, un abbraccio che ti salva, ti perdona, ti risolleva… Anche che un’amicizia sociale è possibile”. Essa infatti dimostra, manda a dire il Papa, “quanto bisogno hanno gli uomini e le donne del nostro tempo di incontrare persone che non impartiscano lezioni dal balcone, ma che scendano in strada per condividere la fatica quotidiana del vivere, sostenute da una speranza affidabile”.

Il messaggio del Presidente della Repubblica richiama l’attenzione sul dovere, che diventa dimostrazione coraggiosa di “una passione per l’uomo” viva, coraggiosa e senza confini, di avere a cuore “più che mai, il tema della dignità della persona, della sua difesa, della salvaguardia della sua libertà e della sua integrità” un insieme che sta “al centro della sfida che si pone all’uomo contemporaneo” e che riguarda anzitutto il tema del diritto alla vita…”. Un diritto calpestato dalle guerre, come quella che “si combatte a poca distanza da noi, nel cuore dell’Europa: una guerra scellerata, provocata dall’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina”. Da qui ecco il monito coraggioso di un Presidente che il coraggio e le idee li ha messi al servizio della gente. Dice: “L’Europa è risorta dal nazifascismo proprio abiurando alla volontà di potenza e alla guerra che ne è diretta conseguenza, ai totalitarismi, alle ideologie imperniate sulla supremazia sia etnico-nazionale sia ideologica. Questa guerra di invasione, con i lutti, le distruzioni, gli odi che continua a generare, scuote l’intera umanità nei suoi valori fondativi e l’Europa nella sua stessa identità”. A questo si contrappone “una passione per l’uomo” che ha come presupposto la pace e come orizzonte la convivenza democratica, la cooperazione tra i popoli, l’equità sociale, il rispetto di ogni persona nella sua libertà, nei suoi diritti, nelle sue diversità”.

Dovrei adesso dire: “Povero Domenicale…”. Ma se l’avete letto o anche solo avete letto l’ultima riga, siete mei graditi complici.

LUCIANO COSTA

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