Ciao, come stai? Domanda banale-necessaria-retorica-obbligata-formale-convenzionale-utile-inutile-buona-cattiva-sincera-bugiarda… da fare o da evitare? Da che esisto la domanda mi fa compagnia sebbene ogni volta prometta a me stesso di farne a meno, di ripudiarla, di metterla tra le domande che non si devono fare e nemmeno ricevere… Poi, comunque e puntuale, la domanda arriva o parte. Come stai? E subito rispondi a casaccio, tanto, pensi, a chi importa davvero come stai! Da parte mia, ben conscio di essere reprobo nonché stucchevole-malevolo e anche mal assortito, quindi non adatto a rispondere in maniera acconcia, alla domanda rispondo banalmente ma intenzionalmente: “Sopravvivo, che è già tanto di questi tempi”. Un caporedattore con mansioni di direttore (messo lì a reggere la barca e a parare i colpi), da sempree con perfetta cortesia, opponeva alla domanda un eloquentissimo:“Tengo le posizioni”, che tradotto voleva dire “galleggio in un mare sempre in tempesta”. L’amico israeliano a cui ho rivolto un banalissimo “come stai” ieri, invece di rispondere, mi ha chiestouna domanda di riserva, un mese fa mi aveva risposto di pensare alla mia salute, che alla sua ci pesavano altri. La signorina ucraina alla quale ho proposto la medesima domanda, mi ha risposto chenon sapendo neppure se esisteva, poco le importava di star bene o male, bastandole la certezza di respirare, come e per quanto tempo “a Dio piacendo” essendo palese che il tempo a sua disposizione non dipendeva da lei ma dai reprobi guerrafondai che le stavano intorno. Non ho incrociato russi e palestinesi, ma neppureyemeniti, sudanesi, libanesi, venezuelani, americani, cinesi, coreani e altri – chissà quanti, tanti, troppi –, a cui rivolgere la domanda, ma so per certo che se l’avessero ricevuta l’avrebbero rispedita senza degnarla di attenzione. Di sicuro, non oggi ma neppure ieri o nei giorni settimane mesi anni precedenti, qualcuno ha chiesto a Chiara-Giuseppina-Jenny-Maria-Veronica-Maddalena-Giovanna o a una qualsiasi altra donna (adolescente-ragazza-giovane-mamma-sposa–non ancora anziana-anziana),oggetto, pretesto, attrici di cronache orribili. “Come state? Come va?”. Per esempio, a Chiara, la baby-sitter modello che ha ucciso i propri figli appena nati sotterrandoli in giardino all’ombra di una siepe, la gente del suo paese, i suoi vicini di casa, gli amici di università, i compagni di allegre serate, gli stessi genitori e familiari, i parenti e i conoscenti, il suo stesso fidanzato… tutti costoro le hanno chiesto “come stai?”, si sono interessati al suo pallore, al suo star bene o male, al suo nascondersi o far finta di esistere? Nell’epoca dei telefonini dei videofonini e della maldicenza, come ha fatto la ragazza ora indicata come infanticida, a celare la sua condizione agli occhi degli altri e non una, ma due volte nell’arco di un anno? Gramellini, corsivista e critico dell’umana avventura della quale siamo parte e protagonisti, risponde così: “La gente avrà pensato che fosse incinta, ma non avrà avuto il coraggio di chiederglielo… Però questo vale per un conoscente, o un’amica o un amico molto timidi. Ma per i familiari e il fidanzato?… Possibile che anche solo guardando le fotografie che popolavano il suo mondo, le persone con cui condivideva l’intimità quotidiana non avessero notato icambiamenti del suo aspetto e quelli non meno significativi del suo umore?”. Aggiunge il notista che la chiave di lettura della tragedia è da ricercarsi nella solitudine che avvolgeva schiacciava opprimeva distruggeva la ragazza, quella presunta baby-sitter modello, che nel buio della sua esistenza non ha trovato neppure un lume cui aggrapparsi. La solitudine… Ma chi mai l’ha posta al centro del suo impegno per rendere migliore la società? Qualcuno s’è chiesto se e come “quando io guardo gli altri, persino coloro che amo, li vedo davvero?”. E il prete-parroco-curato-diacono del paese o del quartiere quante volte ha cercato di vedere oltre il solito, oltre il quietismo, oltre la normalità apparente? E la suora stanziale o di passaggio è riuscita a vedere oltre la facciata, oltre il buonismo, oltre la soglia del suo convento? Ha scritto la poetessa Anna Achmatova (una che ha le drammatiche vicende e le persecuzioni del regime sovietico le ha vissute tutte): “C’è chi va per la via dritta, c’è chi va per la strada in cerchio e torna alla casa paterna, torna all’amore di un tempo… Ma io, per mia sventura, non vado né dritto né in cerchio, mai da nessuna parte, come un treno che ha deragliato”. Chiara ha deragliato…. E nessuno s’è accorto del suo deragliamento. Però un cronista, più becchino che levatrice del tempo, la solita domanda scema, che secondo lui era la domanda delle domande, l’ha spiattellata chiedendo al papà di Giulia (giovane ammazzata vilipesa straziata dal fidanzato): “Che pena si augura per il ragazzo assassino?”. Lui, uomo di raro discernimento, gli ha risposto: “Ho fiducia nelle istituzioni, la pena la decideranno i giudici e sarà quella giusta”. Commentando, Matti Feltri ha scritto: “Dentro lo strazio di Giulia, e pure dentro lo strazio per il giornalismo, lampi di un paese civile”.
Sommerso dal torbido tramestio con cui l’orrore viene raccontato-sezionato-mescolato-rimescolato e ancora mescolato dai media,ieri ho dovuto arrabbiarmi con la solita piazza sabatina per cercare di mettere in circolo non il dubbio legato alla presunta innocenzao incapacità di intendere e di volere di questo quella o quell’altra o altri… tutti protagonisti della cronaca nera-nerissima, ma alla solitudine, subdola malattia che medicina non cura… Ho ricevuto in cambio più di uno sberleffo, anche l’etichetta di “bambo, illuso e rimbambito”. Allora ho pensato a ciò che monsignor Pagazzi (non so chi sia, ma mi piace pensarlo prete di stalla e strada) ha scriutto proponendo il sorriso come medicina universale… “Il sorriso, questo gesto minimale, subliminale, che rivela lo splendore dell’amore o l’amarezza del sarcasmo, è capace a un tempo di dispensare vita o morte. Ne sa qualcosa il saggio Snoopyche in una vignetta coglie la rapidità assoluta, ma decisiva, del sorriso e della sua forza. E ne sa purtroppo qualcosa il malcapitato Lucio Battisti che in una delle sue più riuscite e famose canzoni, Mi ritorni in mente, canta la potenza, mortale, del sorriso (se viene distolto dal suo volto a quello di un altro): «Un sorriso / E ho visto la mia fine sul tuo viso / Il nostro amor dissolversi nel vento / Ricordo, sono morto in un momento». Morte dunque ma anche vita, come similmente canta Eugenio Montale: «Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpida»!... Insomma, il sorriso, che costa poco e vale tanto, per favore, usiamolo come alternativa al “come stai?” biascicato e insincero. Eli Wiesel, premio nobel per la pace, in uno dei suoi libri racconta che Gabriel, cercatore di cieli sempre nuovi e azzurri da regalare, non chiede a chi incontra per strada il solito “come stai?”, ma il più complesso “sei felice?”. E a commento del suo modo di fare Gabriel raccomanda: “Se colui che inconbtri ti dice che è felice, condividi la sua felicità; se invece ti dice di essere infelice, aiutalo a scoprire e a vivere la felicità”.
Nessuno ha mai chiesto a Chiara e alle altre se erano felici?
LUCIANO COSTA
P. S. – Domenica scorsa il domenicale s’è scontrato con la tecnologia e ha perso. Scusate.