Il Domenicale

Come sonnambuli immersi in un’illogica allegria…

Ho provato a sopportare pazientemente gli sciocchi (come suggerito dal cristiano precetto) tacendo e ricacciando in gola ogni parola che potesse rintuzzare la valanga di odio e stupidità in uscita dalle loro bocche… Ma per non perdere la trebisonda e menar scompiglio ho dovuto abbandonare la piazza, succube di quel proverbio che dicendo “il bel tacer non fu mai scritto” liquida qualsiasi velleità che intende far argine all’imbecillità dilagante.Secondo il saggio incompreso che mise in circolo quel manuale intitolato “arte della prudenza, è risaputo “che chi accresce scienza, accresce impazienza… che è difficile contentare un vasto sapere che se bisogna tollerare tutte le sciocchezze è necessaria molta pazienza che se a volte sopportiamo di più da parte di coloro ai quali maggiormente siamo soggetti questo serve di esercizio a vincere sé stessi che dalla tolleranza nasce la inestimabile pace…”. In caso contrario “quegli che non ha l’animo disposto a sopportare, ricorra al rifugio in se stesso, se pure avrà il coraggio di poter tollerare se stesso”. Ho immaginato di vedere pace e felicità finalmente diffuse su questa terra orbata continuamente dalle sagge ragioni e invece spinta vieppiù a munirsi di clave-bastoni-sassi e qualunque altra cosa possa far male e  causare danni… Ho immaginato, ma ho trovato soltanto fumo e udito solo parole vacue-vuote-inutili-banali-irrispettose-stupide-insensate… Ho allora cercato di profferire parole pensate, ma intorno non c’era nessuno disposto ad ascoltarle. Forse, mi son detto, ha ragione il saggio che invita a “fare attenzione nel parlare: con gli emuli per cautela; con gli altri per convenienza, soprattutto perché c’è sempre tempo a mandar fuori la parola, ma non per farla tornare indietro”. Ragion per cui, come già mi capitò di argomentare, meglio e conveniente è parlare come in un testamento, perché, si sa “un minor numero di parole dà occasione a un minor numero di liti.

 

Ho visto ieri e l’altro ieri la schiera dei parlanti riuniti a Roma, chi per Atreju (un tempo, non tanto tempo fa, manifestazione politica giovanile della destra italiana, festa ufficiale dell’organizzazione giovanile Azione Giovani, poi festa di Giovane Italia, più in làspecchio di Gioventù Nazionale, tutta roba inventata dalla Giorgia per arginare la bolgia allora inscenata dai sinistri), chi per rivivere l’effetto Berlinguer racchiuso nei cimeli messi in mostra per ricordarlo. E mi son trovato a dolermi di avere l’udito ancora attivo e quindi costretto ad ascoltarli. Certo, Berlinguer merita ascolto (forse meriterebbe anche quel silenzio rispettoso che non sempre accompagnò il suo impegno) ma pari ascolto non meritano coloro che dopo di lui (ieri ancora primi a visitare la mostra) hanno cavalcato l’onda rimanendo comunque ben saldi e accomodati sulle poltrone conquistate. Ma, invece, che tipo di ascolto possono avere Atreju e dintorni? So che Atreju è il protagonista della Storia infinita (romanzo di Michael Ende), personaggio che combatte contro il Nulla che dilaga perché, come riferisce la critica, “la gente ha rinunciato a sperare e dimentica i propri sogni, uno che gonfiando il petto e alzando la cresta fieramente sostiene che “se tanto dobbiamo morire, è meglio morire lottando. Sui dintorni popolati da umani in cerca di visibilità stendo un velo pietoso. Resto infatti convinto che “la soddisfazione di sé è punita col disprezzo generale… che a tutti va debitore colui che si appaga di sé medesimo… che voler parlare e ascoltarsi, non riesce bene; e se parlare di sé è pazzia, doppia è quella di ascoltarsi alla presenza degli altri, magari avendo le orecchie già apparecchiate all’approvazione o all’adulazione.

 

Nel frattempo, altrove o chissà dove, c‘è sempre chi sta peggio e questo serve a sollevare lo spirito e per consentire di andare oltre, dato che il peggio qui ha ancora da venire. Importante è non mettere in mostra il dito malato, perché tutto andrà a urtarvi contro. E neppure servirà – sostiene l’oracolo – lamentarsene, perché la cattiveria va sempre a picchiare nel punto debole che più duoleE a null’altro vale il risentirsi che ad eccitare il godimento che prova l’intruso a calcarvi sopra...” Infatti, “la cattiva intenzione va in cerca della piaga per far saltar dal dolore; lancia acuti strali per trovarne la parte sensibile; tenterà la prova in mille modi sino a toccare il punto vivo...”. Quindi, aggiunge il cantore della prudenza, “non si sveli mai l’uomo accorto, né scopra il suo male, o personale o ereditario, giacchépersino la fortuna si compiace a volte a offendere nel punto che fa più male; ella colpisce sempre sul vivo; ed è per questo che non si deve dare a conoscere né quello che arreca dolore, né quello che dà sollievo: affinché l’una cosa finisca e l’altra perduri”.

 

Allora mi sono chiesto: ma dove sta la medicina adatta a curare un mondo in cui uomini e donne, per lo più superficiali, a tutto pensano meno he a come raddrizzare ciò che è storto e a dar sollievo all’erba calpestata? “Stai tranquillo – mi ha bisbigliato Santina –, non esiste medicina che serva a questo”. E, in sovrappiù, mi son detto, fatti persuaso che nessuno vuole inventarla. Qui, al massimo ha sentenziato Bortolo, la gloria tocca ai furbi...”. Se essi siano quelli che dell’ignoranza fanno virtù, o quelli convinti che la menzogna è sempre la prima in tutto,quindi capace di trascinare gli sciocchi ben oltre il consentito, nessuno lo sa, ma che esistano non v’è dubbio alcuno. Mi sono anche interrogato sul diritto di dire e scrivere cose che nessuno (o pochi) hanno voglia di ascoltare o leggere, perché (forse) fuori dal coro, perché urticanti piuttosto che caramellose e lenitive… Mi sono anche detto che alzare il dito per nascondere la luna non significa eliminare la luna e mettere al suo posto il nulla dominante. Questo, il nulla dominante, infatti resta e si affermagrazie ai tanti (io, tu, lui, noi, voi, loro) che coscientemente o incoscientemente tutto liquidano con una scrollata di spalle e con una conseguente alzata di muri tra sé e gli altri abitanti della terra…

 

Tutto normale. Infatti, se è vero quel che dice l’annuale rapporto Censis, siamo sonnambuli, persone apparentemente vigili, peròincapaci di vedere i cambiamenti sociali, insipienti di fronte ai cupi presagi e senza quel necessario “calcolo raziocinantenecessario per affrontare le complessità del periodo che stiamo vivendo. Gli italiani, insomma, sono ciechi di fronte ai presagi, che vanno dal calo demografico al rallentamento dell’economia,nonostante la crescita del numero degli occupati. In più, sono, gli italiani (tutti o quasi tutti) intrappolati all’interno dell’ipertrofia emotiva dominata dalla paura che li paralizza. Così il rapportoCensis, 57mo della serie, racconta di un Paese dove sono presentimolte scie, ma nessun sciame», con l’80% degli italiani che considera il Belpaese in declino, con il 69% per cui la globalizzazione ha creato più danni che benefici, con il 60% che teme lo scoppio di una guerra mondiale, con il 50% convinto che non saremo in grado di difenderci militarmente. Insomma, siamo sonnambuli che cercano di soddisfare desideri minori (tanti e sottaciuti) lasciando perdere ogni “alta e magari utile velleità”; siamo sonnambuli in preda a una “illogica allegria”, la stessa che Giorgio Gaber, cantando alla sua maniera, mise in circolo con parole che lette adesso sembrano lo specchio fedele di ciò che gli esperti usano per definire il nostro Bel Paese… Dice la canzone:

 

Lungo l’autostrada
alle prime luci del mattino
a volte spengo anche la radio
e
lascio il mio cuore incollato al finestrino.

Lo so,
del mondo e anche del resto,
lo so
c
he tutto va in rovina.
Ma di mattina
,
quando la gente dorme,
col suo normale malumore,
mi può bastare un niente,
forse un piccolo bagliore,
un’aria già vissuta,
un paesaggio o che ne so

E sto bene.
Io sto bene come uno quando sogna
,
non lo so se mi conviene,
ma sto bene; che vergogna,

io sto bene,
proprio ora, proprio qui.
Non è mi
ca colpa mia
s
e mi capita così.

È come un’illogica allegria
d
i cui non so il motivo,
non so che cosa sia.
È come se improvvisamente
mi fossi preso il diritto
di vivere il presente.

Io sto bene.
Quest’illogica allegria
,
p
roprio ora, proprio qui

Da solo,
lungo l’autostrada,
alle prime luci del mattino”.

 

Ho divagato e son lieto di averlo fatto. Mi resta semmai il dubbio di aver pestato acqua nel mortaio. Ma se leggi giudica e se giudichi tieni presente che sono il solito che di certo sa di nulla sapere. Però e perciò faccio tesoro di quel che ho appena letto nel “breviario”, anch’esso domenicale, di Gianfranco Ravasi: “Sappi fermarti un passo prima che un altro ti dica: Basta! Sappi interrompere il tuo cammino, prima che un altro ti dica: Basta!Sappi lasciare il posto a lungo occupato, prima che un altro ti dica: Basta!”.

 

LUCIANO COSTA

 

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