Il contenitore degli orrori, del malaffare, delle ruberie, degli scandali, dei si dice, dei detti e dei contraddetti – cioè del tutto un po’ prodotto, presentato, distribuito, accumulato e smerciato dalla politica e dai suoi avventurosi e furbastri officianti – era ritenuto colmo, colmissimo, tanto colmo da indurre chiunque avesse un briciolo di cervello attivo (quindi, non condizionato dai soffietti-sbuffi-rutti-sospiri-spifferi e rumori vari, melensi eppur fastidiosi) a starsene alla larga. Invece, di nuovo l’imbonitore incaricato di redigere la cronaca del tempo è tornato per dire che nel pianeta della corruzione, dove si possono comprare e vendere voti e dove le promesse più son folli e vacue più sono gradite, lo spettacolo continua. “Avanti, c’è posto!” ha gridato l’imbonitore di scena. “Ma dove?”, gli hanno chiesto. E lui, presa a prestito l’ode che il sommo Manzoni dedicò in morte di Napoleone, rispose: “Dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno… da Scilla al Tanai, dall’uno all’altro mar…”. Ovviamente, il Manzoni si riferiva alla gloria (vera o presunta non importa) di cui Napoleone vantava il possesso, mentre l’imbonitore di scena ha come riscontro fatti e misfatti appena accaduti in su e in giù per l’italico stivale (date un’occhiata ai giornali di oggi, leggete e scoprirete come il soldo non ha confini, come il vile danaro compra voti incantando votanti sprovveduti o magari soltanto bisognosi e come e come politicanti da strapazzo si strapazzano a vicenda senza preoccuparsi del ridicolo di cui son messaggeri e portatori.
Se non temessi di apparire più intruso, ciarliero e affabulatore (se preferite, immaginatemi pure bigotto-fedele-devoto-mistico o cattolico praticante) di quanto già non sia, potrei invitarvi, amici o amiche del “domenicale”, a leggere le due letture che anticipano l’odierno Vangelo, quindi domenicale, entrambe dedicate al “bene comune”, raggiungibile solo se ciò che è posseduto da ciascuno viene sminuzzato e sbriciolato fino a diventare risorsa e sostegno di tutti, (ovviamente senza passare tra le mediazioni e gli interessi che fanno parte della bottega politica). Dubito che seguiate il consiglio. Non dubito invece vi siate accorti che Pinco ha (forse) dato cinquanta euro a chiunque lo ha votato, mentre Pallino, suo emulo e compare, li ha (forse) solo promessi; che Tizio ha imbastito accordi sotto-banco e sopra-banco con i più disposti a nutrirsi delle sue ciance e dei suoi strampalati proclami, in primis con il guerrafondaio e invasore zar di tutte le (sue) russie; che Caio gli accordi li ha cercati ma non (per il momento) ancora trovati; che sempronio se ne fa un baffo degli accordi essendo impegnato solo e sempre a far bottino di voti e di allegri consensi oltre che di dobloni d’oro fino… Tutto questo mentre intorno dominano, incontrastati e perniciosi, l’indifferenza, la tentazione del tralasciare, il menefreghismo, il voltarsi dall’altra parte per non vedere…
L’ultimo dossier firmato dal Censis, intitolato non a caso “la tentazione del tralasciare”, dice che è urgente “recuperare quanti sono nella zona grigia dell’indifferenza”, obbligatorio riportarli a vivere “una cittadinanza attiva”, indispensabile convincerli al “rispetto delle regole”. Giuseppe De Rita, presidente del Censis, dice che “individualismo e autoreferenzialità caratterizzano la società contemporanea i cui componenti sono però soggetti estremamente fragili”; spiega che “l’indifferenza si ritorce contro sé stessa”, ragion per cui “l’unico vincitore sembra essere il peccato di omissione nei confronti degli impegni collettivi e, in fin dei conti, della promozione umana”, del “bene comune” e, aggiungo io, della pacifica convivenza, virtù universale resa inabile e vieppiù vilipesa “dall’indolenza, dalla noncuranza, dall’attitudine a rimandare o a voltarsi dall’altra parte” che oggi (forse) più di ieri caratterizzano l’esistenza di chiunque abbia facoltà di respirare e respirando voglia intendere e volere.
La fotografia scattata dalla Ricerca del Censis è impietosa e dice che il 70 % degli intervistati disdegna e rifiuta la società in cui vive; che il 32 % non ha interesse far parte della comunità poiché non se ne sente parte e non ne ha nostalgia; che il 48 % percepisce di contare poco nell’ambiente in cui vive e crede che, tutto sommato, nella vita vinca la casualità… Però, dulcis in fundo, non manca l’ottimismo. Infatti, il 65 % degli interpellati – tra questi anche persone anziane – ritiene che il meglio debba ancora venire, che insomma vi sia ancora “un’aspirazione a qualcosa di più alto, qualcosa che i beni materiali non possono dare…”. Forse, ma solo forse, quei rapporti con il prossimo (pressoché cancellati dall’individualismo montante), gli unici capaci di dare o ridare concretezza al desiderio di fare del bene, indispensabili se il fine è quello di vincere l’indifferenza, cioè: freddezza, distacco, distanza, disinteresse, insensibilità, noncuranza, impassibilità, imperturbabilità, apatia, stoicismo… E chi più ne ha più ne metta, che tanto il prodotto non cambia. Ieri ho sentito dire che “l’indifferenza genera mostri”. Mi sono guardato intorno e, ahimè, di mostri in libera uscita ne ho visti davvero tanti.
Poi, senza un perché, son tornato al primo assunto del domenicale, quello riferito al “vile danaro” che tutto acquista e consuma, e sono andato a rileggere (con l’intenzione di associarvi nella lettura) quel che del danaro disse, ridendo, un allegro e urticante saggio d’altri tempi. E cioè che…
Sulla terra sommo e caro è oggidì solo il denaro.
Il denaro ama il signore e ne pare servitore,
Il denaro ama la curia e ne teme la penuria,
Il denaro venerato dall’abate è, e pur del frate,
Il denaro tiene impero sul priore in saio nero,
Il denaro dà consigli a chi siede nei concilii,
Il denaro porta pace ma anche guerra se gli piace
Il denaro fa azzuffare e può i ricchi rovinare
Il denaro può all’istante arricchire il mendicante
Il denaro compra e vende, quel che ha dato si riprende
Il denaro è adulatore ma poi dopo è traditore
Il denaro sempre mente, è sincero raramente
Il denaro fa spergiuro il vivente e il morituro
Il denaro il tirchio sogna e l’avaro sempre agogna
Il denaro fa la dama mentitrice e cortigiana
Il denaro fa regina chi era stata una sgualdrina
Il denaro fa rapaci anche i cavalieri audaci
Il denaro crea più i ladri che nel cielo astri leggiadri
Se il denaro è processato, raramente è condannato
Se il denar vince il processo anche il giudice, commosso,
il denaro manda assolto e giustifica il maltolto.
Ma il denaro, che è impudente, del delitto non si pente
Del denaro immantinenti garantiscono i presenti.
Se il denaro apre la bocca male al povero ci tocca,
Il denar placa i tormenti ed allevia i patimenti
Il denaro morte arreca e sovente il saggio acceca
Il denaro fa sapiente anche il pazzo ed il demente
Col denaro tu hai dottori ma anche amici traditori
Il denaro alla sua mensa ha di cibi copia immensa
Il denar ti dà squisiti piatti e pesci ben conditi
Il denaro beve vino della Francia e oltremarino
Il denaro indossa cose assai nobili e preziose
Il denar con quelle vesti splende come mai vedesti
Il denaro ha dei diamanti che dell’India sonio i vanti
Il denaro assai ci tiene a veder curvar le schiene
Il denaro la città avvilisce oppur tradisce
Il denaro è venerato e guarisce chi è malato
Il denar come un belletto ti corregge ogni difetto
Il denaro reca onore a chi è privo di valore
Il denaro rende amaro ciò che è dolce e ciò che è caro
Il denar fa il sordo udire e lo storpio camminare.
Del denaro mi compiaccio di dir cose che non taccio:
il denaro spesso appare celebrare anche all’altare,
il denaro odi cantare nell’assolo, e il coro fare
Il denaro vedi che piange quando il suo sermone finge,
Ma sogghigna di nascosto per l’inganno che ha disposto
Senza lui nessuno è amato, ubbidito ed onorato,
col denaro anche il malvagio può sentirsi a proprio agio.
Il denaro soprattutto regna e impera dappertutto.
E’ soltanto la saggezza che ne fugge e lo disprezza.
Se non siete irrimediabilmente indifferenti e se l’indifferenza vi turba, quel che avete letto, frutto della penna scherzosa e magari anche velenosa di un saggio mandato a ramengo in fretta e furia, mettetelo tra le cose da non dimenticare, da usare in caso di pericolo…
LUCIANO COSTA