Se Dio è preso a prestito per questo o quel inghippo – sportivo teatrale editoriale musicale guerresco temporalesco bagnato arido o politico – vuol forse dire che nonostante tutto è uno che conta e che può fare la differenza? Personalmente ritengo idiozia evidente tirare in ballo “Dio”, quale che sia, per dar fiato alle emozioni o per colorare gli accadimenti con le tonalità del mistero divino. Tanto non mi piacciono il “Dio lo vuole” appiccicato illo tempore alle crociate e il “Dio è con me” vantato in questo tempo da certi politicanti dotati di soverchia superbia e (secondo me, ignorante patentato) di assai scarso comprendonio, tanto mi piacerebbe che “Dio”, quale che sia, venisse rispettato-amato-pregato-ringraziato-invocato-elogiato a ragione e mai per convenienza. Invece… è il contrario e non il normale che domina la scena. Ovviamente, non comprendo. Però, almeno e per fortuna, non mi adeguo. Quindi, mi ostino a pensare e a cercare risposte adeguate, sempre invocando dal “mio Dio” misericordia, pazienza, comprensione e protezione.
Però, davvero, non so a che “Dio” si sia appellato e s’appelli quel bellimbusto americano, ex presidente degli Stati Uniti, che gioca a rimpiattino con la giustizia avvalendosi di soldoni (tanti) e addetti (altrettanti) disposti a tutto per compiacerlo e issarlo di nuovo in quella “Casa Bianca” destinata ad accrescere il suo biancore per la vergogna di dover sopportare un eventuale (dipende se vincerà le elezioni) inquilino sguaiato boccaccesco parolaio untore facinoroso attaccabrighe… impertinente accumulatore di “amor profano”. Suo malgrado, quel bellimbusto, s’è trovato sulla traiettoria dei colpi di fucile sparati da un giovanotto evidentemente convinto che il possesso di un’arma equivalesse alla libertà di sparare. L’ha scampata per un pelo-per il rotto della cuffia-per fortuna-per caso-per un colpo di deretano… o chissà per quale altro amuleto-elisir di lunga vita in suo possesso, ma siccome il mucchio di umani convenuto per la sua tappa elettorale era affollato, altri hanno pagato per lui. Però, l’esimio bellimbusto, scampato il pericolo, ha proclamato al vento d’essere stato salvato per volere di Dio, perché, ha detto e ripetuto, “Dio mi vuole qui vivo e anche, appena possibile (salvo inciampi e ravvedimenti, dico io) presidente”. Ho rispetto per il popolo americano (un po’ meno per certi suoi allegrotti politicanti), è però evidente che è un popolo strano: ricco e potente, generoso e universalmente presente, amato e odiato, tappabuchi e aggiustatore (quando non guastatore), osannato e deprecato, geniale e banale, di sicuro potentissimo e capace di inventare quel che nessun altro ha inventato… Ciononostante, mi disse un emigrato italiano che proprio da quelle parti e con quel popolo aveva fatto fortuna, “nonostante disponga di una Costituzione unica e straordinariamente capace di mettere tutti sullo stesso piano, ognuno con le medesime possibilità e opportunità, gli manca quella cultura antica che quando c’è fa la differenza. Questo lo rende ostaggio di ciò che il vento porta con sé: il meglio e il peggio…”. Anche, secondo me, quel fatalismo che giustifica qualsiasi eccesso o ricorso al “dio” di turno.
Stamani, immerso in tali elucubrazioni, mi sono ripetutamente chiesto se “Dio”, questo o quello, non sia stanco di essere usato e abusato per fini che essendo materiali poco hanno da spartire con il divino. Non ho trovato risposte adeguate, ma il brano evangelico di Matteo ascoltato ieri alla Messa funebre di un amico, mi ha convinto che il Bene e solo il Bene fatto sarà la via più breve per avvicinarsi a Dio, che sarà anche misterioso ma certo e di sicuro anche il miglior dispensatore di consolazioni e di misericordie. Ieri, dopo una preghiera sussurrata passando davanti a una chiesa pressoché dimenticata e quindi in disuso, da un passante per caso mi son sentito dire: “Che fai, preghi e ancora credi a queste invenzioni pretesche…”. Non aveva l’aria di un pensatore illuminato quel passante, semplicemente era un giovanotto fiero dei suoi muscoli e lieto di esibirli al cospetto della bellona che stazionava al fianco. Avrei voluto avviare con lui un dialogo che consentisse alle mie ragioni, diciamo “oranti e pretesche”, di opporsi al suo “nichilismo” (termine che riassume il pensiero di quel Friedrich Nietzsche, filosofo, filologo e saggista tedesco, negatore del Cielo, del suo eventuale “dio” e dei suoi abitanti) negante ogni ipotesi di trascendenza. Cercando appigli mi sono imbattuto in fogli su cui avevo annotato appunti ritenuti buoni per chissà quale evenienza. Uno, di certo mal tradotto da “Così parlò Zarathustra”, diceva: “Non occorre abbattere con violenza e odio gli antichi valori morali e religiosi, questo accade con il nichilismo passivo di chi ha ancora il segno del collare da schiavo sul collo e percepisce quei principi ancora come forti e ne è ancora soggetto ma ormai siamo al “crepuscolo degli idoli” che si stanno sgretolando da soli preparando l’avvento dell’oltreuomo che apparirà nel nuovo giorno mentre l’uomo e i suoi valori saranno ormai tramontati”. Un altro, sempre ella stessa fonte, ipotizzava che “il grande meriggio della vita risplenderà quando l’uomo si troverà nel mezzo del suo cammino tra il bruto e l’oltreuomo e celebrerà il suo tramonto quale la sua maggior speranza; giacché questo tramonto sarà l’annuncio di una nuova aurora. Il perituro benedirà allora sé stesso, lieto d’esser uno che passa oltre; il sole della sua conoscenza splenderà di luce meridiana… Morti son tutti gli dèi: ora vogliamo che l’oltreuomo viva”.
Mi spaventa il ripetuto richiamo all’oltreuomo. Chi è costui e quale è il suo disegno? E se esiste, dove intende porre la sua residenza e imporre il suo dominio? L’idea dell’oltreuomo non mi piace: perché sono stupido e non capisco o perché sono sufficientemente intelligente e perciò mi oppongo all’uomo (o donna) che va “oltre” e che impone con forza o con parole il suo volere? A voi occasionali lettori, oppure ai posteri l’ardua sentenza! Nell’attesa mi appello al gioioso Gilbert Keith Chesterton, il famoso scrittore inglese (“quello di padre Brown”), cantore dello stupore e della gratitudine che diventano felicità, che meriterebbe d’essere scoperto e riscoperto ogni giorno, non foss’altro per aver detto, scritto e ribadito che “la misura di ogni felicità è la riconoscenza”. In più, il “gioioso” GKC, proponendomi un indovinello, annotato tra i miei appunti, mi illuminò sul fare e come farlo. Diceva l’indovinello: “Che cosa disse il primo ranocchio? La risposta è questa: “Signore come mi fai saltare bene”. In succinto c’è tutto quello che serve per comprendere (se si vuol comprendere). E cioè che Dio fa saltare il ranocchio e il ranocchio è contento di saltellare”. Tradotto significa, almeno per me, che felicità è avere un “Dio” che mi fa saltellare… giocare, pensare, festeggiare, vivere e anche sopravvivere ad acciacchi e attacchi di melanconia come ai proclami esagitati di politicanti in cerca di potere e sublimazione (per fortuna solo temporale). Invece o in alternativa a Chesterton, tra le massime di Zhuang (forse illuminato pensatore cinese) una è di quelle che meriterebbero di essere meditate a lungo e senza paraocchi. Dice: “Chi parla senza parole, pur tacendo per tutta la vita parla; chi non tace mai, pur parlando per tutta la vita non dice nulla”. Zhuang raccomanda inoltre di “non fasciarsi la testa per capirla meglio, dato che non può essere compresa: ogni nuova concettualizzazione non farebbe altro che portare in evidenza un suo aspetto per nasconderne un altro”.
Resta la concettualizzazione del “Dio che premia qualcuno e punisce altri”. L’altra sera, nella piazza dell’estate, a chi disquisiva sugli interventi o non interventi di “Dio” a salvaguardia di questo o quel accidente-trambusto-sparo-sommovimento o rivoluzione, un tale, forse annoiato dal balbettio senza fine che dominava, ha detto ad alta voce: “Dio è morto, e se non è morto è in precarie condizioni; quindi non vale la pena discutere e, per favore, finitela… finiamola!”. Se poi è vero quel che disse Albert Schweitzer (medico dedito alla cura dei lebbrosi) e cioè che “la massima conoscenza è sapere che siamo circondati dal mistero”, mi resta un dubbio: chi spiegherà ai tanti che questo o quel “dio” lo invocano a piacimento che “Dio” è semplicemente morto e quindi incapace di ascoltare il benché minimo accenno al suo ipotetico intervento? Io no. E voi?
Infine, a proposito della morte di Dio, ve la ricordate la canzone dei “Nomadi”, quella intitolata “Dio è morto?”. Ve la propongo come supplemento alla lettura domenicale. Offre, credetemi, spunti di riflessione che vanno al di là del valore attribuito alla canzonetta. Dice:
Ho visto
la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente
Cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano
Nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate
lungo le strade da pastiglie trasformate
dentro le nuvole di fumo del mondo fatto di città
Essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà
E un dio che è morto
Ai bordi delle strade, dio è morto
Nelle auto prese a rate, dio è morto
Nei miti dell’estate, dio è morto
Mi han detto
che questa mia generazione ormai non crede
in ciò che spesso han mascherato con la fede
nei miti eterni della patria o dell’eroe
Perché è venuto ormai il momento di negare
tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura
una politica che è solo far carriera
Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto
l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto
E un dio che è morto
Nei campi di sterminio, dio è morto
Coi miti della razza, dio è morto
Con gli odi di partito, dio è morto
Ma penso
Che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo e a una speranza appena nata
Ad un futuro che ha già in mano
a una rivolta senza armi
Perché noi tutti ormai sappiamo
che se dio muore è per tre giorni e poi risorge
In ciò che noi crediamo, dio è risorto
In ciò che noi vogliamo, dio è risorto
Nel mondo che faremo, dio è risorto.
Comunque, Buona domenica!
LUCIANO COSTA