Il Cinico – un tale, signorotto per lo più privo di eleganza e di classe genuina, che non muoveva un dito e tanto meno un meno un soldo o un pensiero solidale per la comunità, ma che alla comunità aveva sempre e soltanto un rimprovero, un consiglio interessato o una sentenza da offrire –,che si presentava in piazza preceduto da un alone di profumo finto francese e seguito da sbrigativi quanto utili inviti a portare altrove il suo olezzo, godeva fama di ”riccastro potente” e, quindi, era anche temuto.Nonostante ciò, se lo vedevi lo evitavi e badavi bene a non mischiarti con la corte dei suoi prezzolati amici. Non so che fine abbia fatto quel Cinico, Cinico, so per certo che ha lasciato eredi.Ieri, per esempio, ne ho visti alcuni tra le pieghe del decreto con cui il Governo vorrebbe indurre la gioventù a essere migliore, cioènon violenta, rispettosa, educata, civile, responsabile delle azioni compiute. Dubito che un decreto legge governativo riesca a fare quello che famiglie e società non hanno fatto. Resto quel che sono: spettatore muto, perplesso e incredulo, immerso in giorni tribolati, ricchi di acciacchi piuttosto che di sereni stimoli che invitano a uscire per vedere se e come le foglie annunciano l‘autunno. In effetti è (quasi) autunno, tempo di sole illanguidito e reso delicato dal suo declinare verso il sud più estremo, di pioggerelline vanitose, foglie migranti, acini pomposi, fichi melensi, pere e mele invadenti, cachi mollicci e invitanti, uccelletti spensierati e cacciatori rapaci, rondini partenti, ragazze vaporose, bimbi scolasticamente piagnucolosi di fronte a docenti che di decente hanno il titolo ma, salvo lodevoli eccezioni, non il rotolo che custodisce il carisma… È già autunno, e sciacquati in fontana gli ozi feriali, ecco i problemi di sempre: bollette gonfiate dall’inflazione e dall’incapacità dei governanti a supporre rimedi, libri di testo mai a buon mercato, decreti legge incomprensibili., norme repressive piuttosto che ispirate da buon senso, immigrati sbattuti da una spiaggia all’altra.
E’ autunno, e come capita ogni anno, è anche il tempo di riprendere le fila di discorsi impegnati, magari impregnati di politica e di buon senso. In verità, politica e buon senso non vanno quasi mai d’accordo e quasi sempre hanno ben poco da spartire. Infatti, la prima propone altisonanti ragionamenti e chiede partecipazioni attive e motivate; il secondo dovrebbe supportare cotanta premessa, ma in realtà resta sotterrato da troppe e troppo evidenti convenienze. Consegue la più lapalissiana delle evidenze: continueremo a essere quel che siamo. Vale a dire: litigiosi, uno contro l’altro armati, depositari di poche e mal usate idee ma di molte e sempre crescenti pretese. Ragion per cui, andremo a votare, distribuendo crediti non sufficientemente meditati e pesati. Quindi, prevarranno i venditori fi fumo.
Avrei adesso voglia di incontrare i potenti di ieri e di oggi, ma anche chiunque assomigli o voglia loro assomigliare per dire a ciascuno, alla maniera del Giannelli (ieri la sua vignetta, pubblicata dal “Corriere”, metteva il Renzi nel pentolone e Salvini, Melloni agghindati e pronti a banchettare e a brindare) che non basta mettere a cuocere nel pentolone questo o quel avversario per propiziare la festa e far incetta di voti. La storia insegna, nel caso sia in grado di insegnare qualcosa a qualcuno, che i gatti hanno almeno sette vite e che i politici – soprattutto se avversari – di vite ne hanno settanta. Se è vero, sarà il caso di non gridare al miracolo prima che sia avvenuto.
Nel frattempo, è già autunno, tempo per ultime e residuali feste (patronali, paesane, comunitarie, di partito vecchio stampo e di partitini appena nati) e anche di rinnovati e mai residuali comizi contro qualcuno (per esempio contro i cacciatori, che saranno anche fuori moda ma, vivaddio, davvero non capisco perché e per come non debbano continuare a esistere e agire, alla faccia di gomitoli di regole e imposizioni che sfiancherebbero la resistenza di qualsiasi comune mortale) o qualcosa (per esempio contro l’Autostrada della Valtrompia, che a furia di rimandi e ricorsi è diventata vecchia ancor prima di uscire dal grembo che l’ha generata, ma che comunque resta, se non l’unica almeno la più importante opera praticabile se si vuole garantire sviluppo, visibilità e vivibilità al territorio che si snoda a nord della provincia).
Poi, è anche l’autunno che annuncia cambiamenti, che in attesa di verifiche saluto volentieri. Per il momento, però, tutto il resto è noia, maledetta noia. Di questo andazzo ne risente Anche l’odierno Domenicale. Lo avrei voluto concludere tessendol’elogio della lentezza, dei colori tenui, dei sapori che il fuoco acceso generosamente regala. A volte, però, il volere deve lasciare il posto ad altro. A un intoppo improvviso e quell’onda di spossatezza che pretende udienza. Ci rifaremo. Comunque, buona domenica.
LUCIANO COSTA