Il Domenicale

E se tornassimo a leggere la costituzione

Nell’ultimo sabato vacanziero, giusto ieri, in piazza son piovuti saluti e lacrime. Non vi racconto la scena (un misto di convenevoli e di arrivederci qui oppure là), mi limito a riassumere i dialoghi senza neppure specificare donde provengono. Dunque, in rapida sequenza, ecco quel che la piazza delle vacanze ormai giunta all’epilogo ha dovuto ascoltare:

Ciao, forse ci rivedremo.

Ma dai, ci vedremo di sicuro.

Salvo imprevisti.

Per esempio se la guerra allarga le sue braccia chi si salverà?

Catastrofismi, niente di più.

E se le elezioni le vincono gli altri?

Gli altri, chi sono gli altri?

Quelli che ieri erano fascisti e oggi solo conservatori duri e ancora oscuri.

Ma dai, non è possibile.

Però oggi la capa delle destre ha già detto al Presidente della Repubblica di non fare scherzi: lei e solo lei sarà l’incaricata!

Vedremo.

Intanto, chi pretende di vincere ancor prima di incominciare alla fine resta col culo per terra.

Ma, conviene ancora andare a votare?

Domanda stupida.

Bisogna andare a votare e bisogna votare bene.

Per chi se questo e quello per me pari sono?

Per qualcuno che ci tenga alla larga della guerra.

Io voto chi mi dà il gas (russo o americano, chi se ne frega) a gratis.

Io invece per chi mi aumenta la pensione.

Io a chi riduce le tasse.

Io voto chi dice chiaramente con chi sta.

Con il russo, con l’ucraino, con l’americano...

Con i fascisti di ritorno, democratici anche loro

Con i vecchi decrepiti comunisti…

Con quei quattro democristiani rimasti

Insieme al centro, a destra o a sinistra, alle ali estreme oppure in mediana…

Magari con il terzo polo…

Che magari assomiglia agli altri due…

Basta dirlo.

Delle elezioni che incombono, dominano e preoccupano la piazza vacanziera era la fedele rappresentazione. Poi, mentre la luna faceva capolino dietro la montagna, al tema dominante si aggiunsero tante altre chiacchiere-argomentazioni-diffide-promesse-invocazioni-proclami-giuramenti, cumuli di facezie. Andiamo, è ora di tornare a casa, magari anche di andare per vie e piazze a spiegare che votare è libertà e che libertà significa mettere in disparte qualsiasi tentativo che non sia in linea con la libertà conquistata da padri e nonni appena settantasette anni fa…Allora fu conquista, oggi, tutt’al più, è utopia. Domina l’incertezza e la domanda ricorrente è “ma dove stiamo andando?”e la preoccupazione, altrettanto dominante, è quella di aver lasciato la memoria storica nell’angolo più nascosto… Sono cambiati i tempi e gli attori di adesso recitano, proclamano, inneggiano, credono, obbediscono, combattono: chi per annunciare il bel sol dell’avvenire, chi per assicurare che democrazia e libertà non sono morte, chi per vantarsi d’essere Europa unita e chi per gridare che da soli è meglio…

Al giovane che ieri chiedeva dove collocare le sue speranze di futuro, ho consigliato di rileggere la storia di tanti che per conquistare libertà avevano sacrificato la vita e di tornare, prima di tutto, alla Costituzione… “Che è una Costituzione – come diceva Piero Calamandrei ai giovani milanesi accorsi ad ascoltarlo mentre le strade erano ancora ingombrate dalle macerie della guerra – che apre le vie verso l’avvenire, che non una Costituzione rivoluzionaria, perché rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte violentemente, ma una Costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa Società, in cui può accadere che, anche quando ci sono le libertà giuridiche e politiche, siano rese inutili, dalle disuguaglianze economiche e dalla impossibilità, per molti cittadini, di essere personeUna Costituzione che non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé, ma una macchina che ha bisogno di cure. In questa nostra Costituzione bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere le promesse, la propria responsabilità… Una delle offese che si fanno alla Costituzione è però l’indifferenza alla politica E vero – spiegava Calamandrei -, ci sono tante belle cose da vedere, da godere oltre che ad occuparsi di politica. E la politica non è una piacevole cosa. Però, la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai. E vi auguro, di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno, che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica. La nostra Costituzione e l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comuneÈ la Carta della propria libertà, la Carta che assicura a ciascuno di noi la propria dignità d’uomo…”. Leggere la Costituzione diventa allora il modo più efficace per dare senso al presente, per assicurare valore alla memoria, per orientare le scelte.

Ricordare per rendere migliore quel che siamo… Nel 1954Romano Guardini, parlando agli universitari, ammoniva i troppi che ancora si celavano dietro al “non saputo” dicendo: “Se una colpa della res pubblica non viene riconosciuta, condannata e in qualche modo espiata, diventa una forma continuamente ricorrente del costume e distrugge l’esistenza politica. Nella storia dei nostri ultimi vent’anni – aggiungeva – c’è qualcosa di mostruoso che non né stato ancora superato…  Ed è così, lo si voglia o no. E tutto quanto vien fatto e detto, per negarlo o ridurlo a un’inezia, o persino giustificarlo, è soltanto il sintomo della portata dell’accaduto”. Il riferimento a quel che disse Romano Guardini a proposito di memoria corta di accadimenti terribili non è casuale. E’ infatti dettato dalla preoccupazione di vedere troppa gente che chiude gli occhi per non vedere e che si tura le orecchie per non sentire. Siamo liberi, ma appunto perché liberi siamo chiamati a testimoniare la verità.

Ho tra le mani il libro (“Il tempo perduto, l’eternità ritrovata”) che raccoglie gli aforismi sapienziali per un ritorno al reale” scritti da Gustave Thibon, nato e vissuto in Francia tra il 1903 e il 2001, che sul campo s’è guadagnato il titolo di “filosofo contadino” e di “maestro di buon senso, uno troppo legato alla quiete rurale e troppo conscio dei pericoli del potere per cedere al richiamo di un impegno politico attivo e che quindi non rientrava nella categoria dell’intellettuale politicamente impegnato (esattamente l’opposto di uno o mille candidati alle prossime elezioni politiche italiane). Dice lo scrittore ritrovato che “l‘alternativa è chiara: o saremo uniti oggi nello stesso amore, o curvi domani sotto lo stesso giogo, che “niente è più bello, niente è più profondo di ciò che è”, che “l’uomo senza legami, l’isolato, lo sradicato, è un uomo che manca di buon senso, ovvero del senso della realtà, che “non è un caso se nelle epoche sradicanti, come quella presente, abbondino ideali incapaci di incarnarsi e di fiorire in atti precisi, che condannano l’uomo a un senso di frustrazione e impotenza proprio in un’epoca in cui egli crede di aver tutto a portata di mano”, che “il peggior nemico dell’infinito nell’uomo è l’illimitato che dà l’illusione dell’infinito che lo nasconde…”, che “l’uomo nobile osa appena mentre l’uomo volgare, invece, osa sempre, che la massima a cui riferirsi è “abbi poco e sii molto”, che “l’uomo equilibrato abbraccia e armonizza le tendenze opposte… mentre l’uomo equilibrista è separato dalla vita e abile soltanto nel guidare sapientemente per rimanere in piedi in mezzo alle forze avverse…”, che anche i grandi cadono nello stagno della normalità…”, che se però “scendono in basso corrono il rischio di sguazzare a lungo nel fango dato che non hanno ali per ricondurli verso il cielo. Potrei continuare (ho cinquecento e passa pagine a disposizione, mica poche) ma ricorro a Simone Weil, filosofa, mistica, scrittrice spesso al fianco di Gustave Thibon, per dire che “non vi è epoca migliore di quella in cui tutto è andato perduto… senza piangere sul latte versato, vale invece la pena di riflettere su come proprio in tale epoca tutto può essere recuperato”.

Conoscendo i miei limiti, non faccio fatica a sentirmi “superato”. Ma non di più oggi rispetto a ieri… Allora mi faccio forte e dico che “andrò a votare, che voterò chi il futuro lo disegna non con le chiacchiere e le battute ma avendo come riferimento essenziale e primario la Costituzione, che consegnerò la mia speranza di futuro alla buona politica e a chi si nutre di buona politica (sono pochi, ma ci sono: basta cercarli). Péguy ha lasciato scritto che “perché la fiducia in quel che accade abbia senso occorre che la realtà porti in dote una propria positività ultima; e che la battaglia dell’onore appresa dagli antichi, in cui l’umanità misura se stessa, trovi un dio che abbia, al contrario dei loro dèi, anch’egli bisogno dell’uomo e di un proprio compimento”.

Ecco, cerco proprio quel senso di fiducia che il presente sottovaluta preferendo i facili applausi. Come quelli ascoltati di recente a Rimini, laddove era in scena il Meeting con cui quelli di Comunione e Liberazione riassumono umori e disegnano squarci di futuro: belli o brutti a seconda dello spirito che li accoglie. Ma “l’applausometro del Meeting – ho letto tra le pieghe della grande stampa – può giocare brutti scherzi: un giorno dà e l’altro toglie. Il martedì qualcuno si entusiasma, conta le mani che battono e ti spiega che il mondo cattolico è pronto a votare in massa per la Giorgia arrivata dal nulla. Il mercoledì, invece, scopre che quelle stesse mani si spellano per il capo del governo uscente, quel Draghi osteggiatissimo dalla suddetta. Già, l’applausometro non è granché utile. Perché gli applausi si contano ma non si pesano, e ciò impedisce di distinguere il consenso che scaturisce dalla volontà di condividere un percorso di bene comune dalla tifoseria che premia o punisce il leader del momento…”.

Mi rifugio nella lettura dei versi scritti nel 1954 da Albert Camus (me li ha girati un amico con la raccomandazione di farne buon uso e di regalarli ad altri) a una persona a lui cara: piccoli ma importanti pensieri che disegnano un futuro possibile. Dicono: “Nel bel mezzo dell’odio / ho scoperto che vi era in me / un invincibile amore. / Nel bel mezzo delle lacrime / ho scoperto che vi era in me / un invincibile sorriso. / Nel bel mezzo del caos / ho scoperto che vi era in me / un’invincibile tranquillità. / Imparavo finalmente, / nel cuore dell’inverno, / che c’era in me / un’invincibile estate. / E che ciò mi rende felice. / Perché afferma che non importa / quanto duramente il mondo / vada contro di me,/ in me c’è qualcosa di più forte, / qualcosa di migliore / che mi spinge subito indietro.

Meditiamo, amici, meditiamo!

LUCIANO COSTA

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