Il Domenicale

Essere o non essere “disperatamente ottimista” …

Dialogo assai serioso di un lui e lei sull’essere e il divenire. Lui, uomo qualunquemente qualunque, tipo Cetto o Pincopallino, incontra lei, donna altrettanto qualunque, tipo moglie del Cetto o del Pincopallino. Niente sorrisi e convenevoli, solo una domanda e una risposta. Lui chiede: “Come si sente?”. Lei risponde: “Disperatamente ottimista, grazie”. La scena, l’avrete capito, è quella disegnata da Altan col solito piglio letterale-intellettuale-filosofeggiante-ideologico-politico-sociale e popolare mescolato con necessario e fine realismo, che con poco delinea tutto, quasi tutto o anche il contrario di tutto. In questo quadro di vissuto quotidiano c’è posto per chiunque, anche per coloro che all’essere preferiscono l’avere (e non sono pochi, credetelo). Si sta! Magari disperatamente ma ottimisticamente, o “come d’autunno sugli alberi le foglie”, vale a dire semplicemente incerte del loro tragico destino. Penso a Satnam Singh, uno dei tanti disperati che popolano le nostre contrade, che se aiutato e soccorso poteva ancora vivere almeno un giorno, o tanti giorni, e che invece è morto dissanguato, vittima del lavoro e di chi il lavoro lo intende assoggettato al suo esclusivo profitto. Penso a lui e a chi come lui muore un poco ogni giorno, perché dimenticato-sottovalutato-usato-sfruttato-oppresso. Penso a Singh e ai suoi compagni di sventura e avventura (quelli che cercano un soldo per sopravvivere o un amico che li sollevi dall’onda marina e li depositi in terra ferma e ospitale), ma nonostante tutto non riesco a considerarmi “disperatamente ottimista”. Coraggiosamente ottimista è invece Sergio Mattarella, Presidente della mia e vostra Repubblica, che ancora ieri, parlando del volontariato interpretato da uomini e donne della Croce Rossa Italiana e dei valori sempre messi a disposizione dei più deboli e sofferenti, li ha definiti “parte della cultura e della stessa identità del nostro popolo… carattere dell’Italia”, della sua parte migliore, quella che “la rende, in conformità alla sua storia, un Paese di grande civiltà”. Eppure, ha ricordato il Presidente “contro questa grande civiltà stridono – gravi ed estranei – episodi e comportamenti come quello avvenuto tre giorni fa, quando il giovane Satnam Singh, lavoratore immigrato, è morto, vedendosi rifiutati soccorso e assistenza dopo l’ennesimo incidente sul lavoro. Una forma di lavoro – ha spiegato il Presidente – che si manifesta con caratteri disumani e che rientra in un fenomeno, che affiora non di rado, di sfruttamento del lavoro dei più deboli e indifesi, con modalità e condizioni illegali e crudeli. Fenomeno che, con rigore e con fermezza, va ovunque contrastato, totalmente eliminato e sanzionato, evitando di fornire l’erronea e inaccettabile impressione che venga tollerato ignorandolo. Contro questi fenomeni, ha aggiunto Sergio Mattarella, “risaltano e rassicurano i valori e il messaggio che diffonde la Croce Rossa, mostrando interpretazione concreta del rispetto della dignità di ogni persona, della solidarietà, del contributo dell’Italia alla crescita civile in ogni luogo e in ogni momento”.

Pensavo al Singh mutilato, umiliato e offeso in terra italica e vedevo contemporaneamente tutti i mutilati, umiliati e offesi sparsi nel mondo. E tutti li ho visti con le sembianze  della famosa ”Pietà” scolpita da Michelangelo, che chiunque arriva a Roma corre a visitare restando estasiato dalla bellezza e dalla intensità dei sentimenti che suggerisce, ma anche con quelle raffigurate in un’opera realizzata dallo scultore inglese John Isaacs (ammirata e commentata quando, qualche anno fa, venne esposta all’ingresso dell’Istituto Paolo VI di Concesio), che nella sua complessa semplicità era a dir poco inquietante: si capiva cioè che faceva il verso alla “Pietà” custodita in San Pietro, ma presentandola coperta da un velo, che ne evidenziava la forma originale, nascondendo però il dolore, cancellando il dramma, sottraendo al vedere e al sentire del cuore la sofferenza di una madre costretta a tenere sulle ginocchia il figlio morto. Così, improvvisamente, mi son chiesto: ma davvero è possibile stendere un velo pietoso su tutto il male e su tutti i dolori che circondano il quotidiano?

Non dovrebbe essere possibile, ma si fa. In tal modo, qualunque fatto, anche il più truce e amaro, è rimosso, accantonato, sotterrato da montagne di “convenienze”. Ragion per cui, altro non rimane da fare se non mettersi quieti ad aspettare che passi la buriana, magari alla maniera suggerita da Eduardo in “Napoli milionaria” dicendo “ha da passà ‘a nuttata”, poi si vedrà. Nel frattempo scorrono e si mischiano morti sul lavoro, morti ammazzati, morti innocenti, morti affogati… Poi violenze, drammi, guerre, simposi, adunate, summit, viaggi e vacanze, raffinatissimi banchetti per roboanti sposalizi, acerrime disquisizioni sul “saluto romano”, sul “vaffa… internazionale”, sul “pugno chiuso”, sul “mettere fiori nei cannoni”, sul “fare la pace giusta” (ma davvero c’è una pace giusta e anche una ingiusta?), sul “chi se ne frega” se altri si preoccupano… Che tanto, sotto quel velo finisce anche la lunga e, purtroppo, inapplicata lista dei cosiddetti “diritti inalienabili”: nascere, vivere, lavorare, curarsi, abitare, mangiare, bere, respirare aria sana. Soni i diritti dell’uomo, dell’infanzia, degli immigrati e degli emigrati, di coloro che hanno la pelle di colore diverso dalla nostra, dei portatori di handicap, dei perseguitati, dei poveri e via discorrendo.

Chi spiegherà agli spettatori che sotto il velo vi sono persone e non semplici cose? Appunto, a chi tocca il compito di spiegare che la “coscienza” (che è, a seconda delle definizioni, “consapevolezza delle proprie azioni”, “facoltà di giudicare il valore morale del proprio ed altrui agire”, “ripiegarsi dello spirito su se stessi”, “anima”, “funzione unificatrice del processo conoscitivo”, “attività creatrice”…), che questo tipo di coscienza deve obbligatoriamente essere parte del vissuto quotidiano?

Qualcosa per spiegarlo, anche tanto, potrebbero fare i grandi mezzi della comunicazione (se “posti al servizio del Vangelo – disse un giorno lontano Papa Paolo VI -, sono capaci di estendere la Buona Novella a milioni di persone”), che mettendosi al servizio della verità e non delle convenienze, potrebbero migliorare, e non di poco, la società. Invece, le grandi reti televisive, e non solo quelle, preferiscono spesso nascondere il dramma vissuto dietro infinite banalità (telefilm insulsi, fiction ridicole e spesso anche bugiarde, pomeriggi parolai e niente di più, festival demenziali, film raccattati col badile, luoghi comuni, amenità, giochi e giochini, scatole e scatoloni, bussolotti e cilindretti, cucine affollate, cuochi cuochini e cuochetti, bellone-belloni col gobbo che altrimenti si perdono nella loro evanescenza…), tutt’al più inframmezzandolo con qualche telegiornale, rari approfondimenti degni di tale nome, rarissime occasioni di cultura vera, mai o quasi mai con squarci di infinito ricamati di speranza e di umanesimo nuovo. Qualche tempo fa Papa Francesco, riferendosi alla Chiesa, ma secondo me pensando sicuramente al mondo intero, ha detto: “Ciò di cui abbiamo più bisogno è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa – spiegò – come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite”.

Magari evitando di stenderci sopra “un velo pietoso”, alla maniera sbrigativa usata da troppi diffusori di notizie regolarmente al soldo di chi le notizie le vuole sottomesse al suo volere e al proprio tornaconto. Napoleone, illo tempore, di sicuro in un momento di assoluta lucidità, alludendo forse al valore dell’informazione libera e credibile, disse che “c’è da avere più paura di tre giornali che di mille baionette”. Se tornasse oggi, sono sicuro che direbbe “chi se ne frega di tre giornali fuori dal coro osannante se ce ne sono altri cento o mille che invece lodano e sbrodolano senza alcun ritegno e vergogna”. E se provassimo, tutti insieme, a escluderli quelli che insultano, fanno la guerra, ammazzano, sfruttano, abbandonano feriti e naufraghi, pretendono di imporre leggi utili a pochi e sostanzialmente pensate e votate senza purtroppo possedere pensieri pensati? Davvero e subito, amici, lasciamoli soli costoro. E ne trarremo giovamento, e ne trarranno giovamento i tanti Singh (o loro simili) che affollano le nostre contrade… 

LUCIANO COSTA

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