Aggrediti e aggressori sullo stesso piano, senza neppure il dubbio che almeno uno dei due – l’aggressore, immagino – debba essere considerato colpevole di aggressione. Che mondo è quello che non distingue, che fa di tutte le erbe un fascio, che accetta il sopruso-arbitrio-affronto-oltraggio di un uomo null’altro che despota–tiranno-usurpatore–prepotente a cui preme apparire un gradino più su del cielo e da lì imporre, costi quel che costi, il suo triste-malevolo-preteso volere…. che permette a terroristi dichiarati di ergersi a giudici unici della storia benché abbiano evidenti sulla faccia e sulle mani e negli occhi e nell’anima le tracce del male e dell’odio provocati… che lascia una sua Nazione (parte di quel mondo), benché di nuovo ferita e offesa, in balia di sommovimenti che generano odio e discriminazioni… che non sa dire “basta” alla violenza no alla guerra e sì solo alla Pace?
Una fetta di questo mondo, la più ricca, l’ho vista nei giorni scorsi riunita in un’amena corte italica, lì per ragionare sul chi per primo o secondo propizierà il ragionamento, sul come lo inizieranno, sul perché intendono proporlo, sul quando hanno in mente di evidenziarlo e sul dove vorrebbero avviarlo (ahimè, tutto in divenire piuttosto che in essere). Quella fetta di mondo (“G7” il suo nome, “G-chissàchecosa” il suo potenziale) l’ho vista abbracciarsi, baciarsi, salutarsi, corrucciarsi, sciogliersi e poi raggomitolarsi di nuovo nel proprio io piuttosto che nell’atteso noi… L’ho anche vista, quella fetta di mondo, inchinarsi a salutare Francesco, il Papa, mica uno qualunque, però scomodo e urticante in quel suo insistere sulla pace al posto della guerra, sul bene opposto al male, sul fare invece del disfare, sul cambiare bombe e armi in fiori e opere utili al vivere piuttosto che al morire… In quella fetta di mondo, ovviamente, non c’era spazio per i menestrelli della domenica. Però, col titolo di “domenicale”, in quell’assise io c’ero, poeta muto dentro un corteo popolato da parlanti e urlanti ma assai deboli di udito (più o meno sordi, come direbbe il bravo otorino della mutua) che di poetico non possedeva neppure la più lontana sembianza. Ero lì, e benché invisibile e sconosciuto, avevo in mente di avvicinarmi a ciascuno per dirgli “basta, non ne posso più di scrivere guerra e miseria e sopruso e povertà e dolore quando potrei semplicemente scrivere pace e concordia ovunque e per chiunque”. Tentativo non riuscito. Però in mia vece ha parlato un uomo, quel Sergio Mattarella che non smette di stupire per coraggio e limpidezza di pensiero (mio e spero anche vostro Presidente della Repubblica) che a quella fetta di mondo, ma anche al resto del mondo, chiedeva di essere portatrice e divulgatrice di Verità e di Giustizia, propositrice di dignità e pari opportunità per tutti, sostenitrice di libertà e democrazia ovunque e contro ogni possibile dittatore…
Rivolgendosi ai sette grandi del mondo e ai loro invitati (ospitioccasionali, rappresentanti di potentati economici, portatori di borse, imbonitori di parole, mediatori, affinatori di discorsi e opinioni, affabulatori, cronisti e becchini del tempo) il Presidente, ve l’assicuro, ha detto quel che il domenicale menestrello avrebbe voluto dire. E cioè che… rispetto all’incontro del G7 che la Repubblica Italiana presiedette sette anni fa, a Taormina, il contesto internazionale è profondamente mutato… L’ho ascoltatoil suo discorso stando rannicchiato nell’angolo più oscuro del castello e posso qui riferirvi esattamente quel che ha detto. Leggetelo, per favore, e meditate e fatene buon uso, magari consegnandolo a figli e nipoti e amici con preghiera di riflessione e lettura. Dice:
Oggi registriamo che il crescente processo di interdipendenza promosso dalla globalizzazione è bruscamente venuto meno, unitamente alla spinta verso valori e obiettivi globalmente condivisi.
Antichi fantasmi sono riapparsi e il linguaggio della cooperazione, e della costruzione di regole di convivenza internazionali rispettose dei popoli, viene messo a dura prova, lasciando il posto a crescenti tensioni geopolitiche, quando, purtroppo, non a conflitti.
L’ambizione di nuovi attori di giocare un ruolo più profilato interpella la capacità della comunità internazionale – e in essa del G7 – di promuovere processi positivi orientati alla pace e allo sviluppo.
Per taluno si tratta di procedere alla realizzazione comunque – spesso in modo affannoso – di nuovi assetti internazionali, nella presunzione che saranno più vantaggiosi per sè di quelli raggiunti nei decenni che hanno fatto seguito alla Seconda guerra mondiale mentre, spesso, aprono, invece, spazi a insidie di neo-colonialismi se non di neo-imperialismi.
E’ utile, allora, interrogarsi su quale sia, in questo contesto, il ruolo del G7 e vorrei prospettare tre considerazioni.
Una prima risposta risiede nella constatazione che il G7 è un insieme di Paesi uniti non soltanto da un elevato livello di sviluppo e di reddito, ma anche e soprattutto da valori.
Valori che hanno promosso in modo significativo la dignità delle persone e dei popoli, sulla base delle Carte e delle Dichiarazioni dell’ONU.
Valori, obiettivi, regole, che vanno preservati e sviluppati nella nuova condizione della vita internazionale.
Il Vertice si è così trasformato, da foro di coordinamento economico, in una piattaforma di rilevante confronto sui grandi temi del presente.
Un confronto reso possibile proprio dall’essere basato anzitutto su valori condivisi.
Gli Stati rappresentati a questo tavolo si riconoscono nei principi dello Stato di diritto, della democrazia, del rispetto dei diritti della persona, della cooperazione internazionale.
Considerazioni tutt’altro che scontate, se si pensa al preoccupante aumento delle pulsioni autoritarie in tante parti del mondo, con le conseguenze che ne derivano: compressione dell’inviolabile sfera della persona a livello interno e condotte aggressive nella sfera internazionale.
Il secondo elemento che caratterizza il G7 è costituito dalla adesione convinta a un sistema di regole, che vede nella Carta delle Nazioni Unite la sua manifestazione più alta.
La cura di questo sistema di regole – la prima delle quali consiste nel divieto di minaccia e uso della forza nei rapporti fra gli Stati – è un aspetto, oggi, tristemente sfidato.
Si affaccia la convinzione che sia possibile sostituire alla comunità internazionale, alle sue regole, al criterio di pari dignità fra gli Stati, la violenza e la sopraffazione.
Tendenza raffigurata da due date recenti.
Il 24 febbraio del 2022, in cui la Federazione Russa si è assunta la responsabilità storica di riportare la guerra in Europa in un pericoloso tentativo di revanche neo-imperiale che contraddice tutti i passi avanti realizzati nel continente sin dalla Conferenza di Helsinki del 1975.
Una svolta che non si può fingere di ignorare o sottovalutare come insegna la storia del ‘900.
Sostenendo la indipendenza dell’Ucraina, difendiamo principi generali di convivenza fra le nazioni, sui quali poggia, dal secondo dopoguerra in poi, la libertà, la sicurezza, la prosperità dei nostri popoli nonché lo sviluppo e il ruolo crescente di quelli che allora erano, loro malgrado, spettatori della storia.
Il 7 ottobre 2023 è un’altra data che ha segnato drammaticamente il nostro presente.
Il barbaro attacco di Hamas, con l’uccisione di inermi cittadini israeliani e il disumano sequestro di ostaggi, ha riaperto una ferita che continua ad essere alimentata dal macabro conteggio delle migliaia di vittime civili palestinesi, donne e bambini, che hanno perso la vita negli oltre otto mesi di conflitto.
I negoziati in corso per giungere al cessate il fuoco devono rappresentare una tappa per intraprendere un concreto percorso politico verso una pace duratura, che non può che fondarsi sulla soluzione a due Stati.
Occorre la volontà di perseguirla da parte di tutti gli attori coinvolti, per non abbandonare il dialogo a metà – come già accaduto in troppe occasioni – con l’inevitabile ripresa, nel tempo, del conflitto, con violenza e vittime sempre maggiori.
La terza dimensione del G7 che vorrei richiamare è quella di una piattaforma aperta.
A partire dal Vertice del 2007 in Germania veniva introdotto il cosiddetto “processo Heiligendamm” che apriva il G7 al resto del mondo e coinvolgeva nell’esercizio altri cinque Paesi, rappresentativi di tutti i continenti, per un dialogo sui grandi temi globali dello sviluppo economico, dell’innovazione e del cambiamento climatico. Temi ulteriormente ampliati, a L’Aquila, nel 2009, a quelli della sicurezza alimentare e dell’energia.
Il formato del G7 è, quindi, in grado di adeguarsi ai mutamenti del contesto internazionale – e lo conferma questa edizione – nella consapevolezza che non possono essere affrontati in un circuito limitato.
Nuove tematiche – dallo sviluppo sostenibile del continente africano, ai flussi migratori, alla rivoluzione indotta dall’intelligenza artificiale – trovano giusto spazio nel Vertice di Borgo Egnazia e sollecitano collaborazione con gli altri attori rilevanti dello scacchiere mondiale.
Le grandi economie libere raccolte nel G7 continuano certamente a esercitare una rilevante forza di attrazione e d’influenza, ma, naturalmente, in un mondo multipolare, questa esperienza si confronta con tentativi di dar vita a schemi alternativi se non contrapposti.
La capacità di costruire partenariati con quella parte del mondo che, nelle fisiologiche differenze, è disponibile al dialogo sulle nostre opzioni, è il naturale orizzonte al quale guardare.
Le indicazioni provenienti dai Capi di Stato e di Governo qui riuniti saranno, al riguardo, preziose.
I Paesi G7 condividono una responsabilità accentuata nell’affrontare i problemi del presente; consapevoli, tuttavia, di non poterlo fare da soli.
Formulo a tutti Voi auguri di buon lavoro e levo il calice al Vostro benessere personale e a quello dei popoli che rappresentate.
Partire da qui per arrivare alla pace mi pare possibile. Ma c’è qualcuno disposto a camminare in questa direzione? C’è intorno qualcuno che ai potenti della terra ricorderà quel che cinquecento anni fa tale Guicciardini diceva ai suoi coetanei potenti e come sempre convinti di essere unici e insostituibili, e cioè che la pace, il bene, il giusto non possono essere impegni del dopo ma semmai del prima, che si può dibattere e ragionare e confrontare e mediarema senza esitare se il fine è quello sempre e solo buono, che premessa l’ovvietà secondo cui “erra più chi delibera presto che chi delibera tardi…” è “da riprendere sommamente è la tardità dell’eseguire, dopo che si è fatta la scelta?”.
LUCIANO COSTA