Del Ferragosto (attuale) e dei Ferragosti (passati), a parte le battutacce sulle mogli che per un giorno diventano perfette sconosciute e le immancabili immagini televisive dedicate a sora Lella che va al mare portandosi appresso, se non tutta almeno mezza cucina di casa, poco so e poco mi interessa sapere. Però, ogni volta stupisco nel vedere le masse che si muovono per onorare quello che viene presentato come il culmine sublime e godereccio della vacanza: Ferragosto, appunto. Il dubbio, tutto mio, è che comunque lo si guardi, questo giorno che troneggia nel bel mezzo di agosto, non ha nulla di eccezionale e molto invece di ordinario: eccezionale sarebbe vedere oggi per vie, piazze, spiagge, prati e colline gente normale che si saluta e si abbraccia mettendo la parola fine a una privazione che dura ormai da diciotto mesi; ordinario, ma sicuramente appagante, sarebbe poter aggiungere alla ricorrenza il sapore del risposo quieto e pensante, magari condito con un pizzico devozione a quella Maria Assunta, che essendo stata elevata fin dove risiede il buon Dio (mio, vostro o loro poco importa), tutto vede e tutto intercede.
Se poi questo Ferragosto abbia in sé quel che serve a renderlo eccezionale o per mantenerlo semplicemente ordinario, dipende dal come ciascuno lo vuole intendere. Elena, detta coscialunga per la velocità con cui attraversa correndo colline e montagne ma anche cervellona perché in possesso di un notevole cervello fino, interrogata sull’origine del Ferragosto, evitando parole e frasi di circostanza, ha consigliato un rapido viaggio a Wikipedia, laddove il sapere è triturato e servito gratis a tutte le ore. Se non avete già approfittato dell’opportunità di approfondire così fondamentale conoscenza, vi fornisco almeno una sintesi. Dunque: Ferragosto deriva dalla locuzione latina Feriae Augusti (che tradotta significa riposo di Augusto) messa lì per in dicare una delle tante festività istituite dall’imperatore Augusto nel 18 a.C. per celebrare la fine dei lavori agricoli e rendere omaggio a Conso, che allora era considerato il nume della terra e della fertilità. Nel corso dei festeggiamenti, in tutto l’impero si organizzavano corse di cavalli e gli animali da tiro, buoi, asini e muli, venivano dispensati dal lavoro e agghindati con fiori. Se tutto questo vi lascia perplessi, avete ragioni da vendere. Però, sappiate che quella la storia continua ed è ogni anno sublimata da corse che in palio (a Siena è tradizione consolidata) mettono il pallium, il drappo di stoffa pregiata che, guarda caso, nell’Antica Roma era il consueto premio per i vincitori delle corse di cavalli. Se interessa, sappiate che in occasione del Ferragosto (illo tempore, mica adesso) i lavoratori porgevano auguri ai padroni, ottenendo in cambio una mancia. E quella mancia era talmente gradita che in età rinascimentale, nello stato Pontificio, divenne obbligatoria. Altri tempi…
Adesso c’è invece il rischio di fare Ferragosto lasciando a casa il cervello e la buona educazione. Ed è un rischio talmente elevato da aver indotto il noto filosofo buono per tutte le occasioni, a smetterla coi voli pindarici per imbarcarsi nella stesura di un prontuario, corto ma incisivo, utile a trasformare i “giorni vacanti” – sospesi, privi di ogni interesse, masticati come si fa con la gomma americana, cioè senza venire a capo di nulla – in “giorni interessanti” – gioiosi, liberi, curiosi, armonizzati secondo il sorgere e il calare del sole, profumati di cose buone ma mai eccessive, spogliati di noia e rivestiti dai colori dell’arcobaleno.
Secondo il filosofico prontuario, per dare al Ferragosto il valore che merita, sono necessarie tre cose: pazienza, intelletto, umiltà. La pazienza serve per lasciar scorrere il tempo senza fargli fretta, così che regali per intero tutte le emozioni che porta con sé; l’intelletto è necessario per vedere oltre le banalità, per dare valore alle ragioni del buon vivere, per accorgersi che nessuno è un’isola ma che tutti siamo ospiti dell’isola, per mettere silenzio dove ci sono grida sguaiate e grida preoccupate dove qualcuno chiede aiuto; l’umiltà, parente stretta della mitezza, è utile per dire che la vita è bella anche se vissuta stando nell’ultimo posto della fila, che per essere felici non servono lustrini, merletti, palcoscenici, copertine o spropositati applausi, ma generosi sorrisi e sincere condivisioni di ciò che si è ancor prima di ciò che si ha.
Un Ferragosto intelligente e utile, non baserà dunque la sua essenza su dove si va o quanto si sta, ma sul bello, sul buono e sul gradevole che ci accompagna. Quindi, se state in città ritagliatevi passeggiate nei parchi, tra i vicoli antichi, in cerca di chiese non ancora visitate e che invece meritano attenzione e devozione; se andate al lago lasciatevi cullare dal canto dell’acqua che s’infrange sui sassi, gustate i profumi, camminate lenti in cerca di silenzio; se andate al mare aspettate l’alba e il tramonto per salutare il sole e dare il benvenuto alla luna; se viaggiate per il mondo, gustate la cultura che vi viene incontro; se andate in montagna godetevi il piacere di respirare insieme a cerbiatti, marmotte, camosci, cervi, lupi e orsi l’aria più buona e salutare. Ovunque siate, non dimenticate chi vi cammina accanto e che con voi cerca un Ferragosto intelligente.
Qualche anno fa, a ridosso del Ferragosto, i bresciani stupirono il mondo facendo camminare sulle acque del lago d’Iseo un milione di persone, persone ben felici di scoprire la lievità dell’essere e la bellezza dell’isola, chiamata Montisola, che sorgeva nel suo bel mezzo. “E’ un miracolo bresciano attualizzato dalla magica bacchetta di un sognatore di nome Christo” scrissero allora i commentatori. “E’ la dimostrazione – disse invece un tedesco pratico assai delle nostre cose – che nulla è impossibile, nemmeno costruire passerelle avveniristiche, rivestirle di tela arancione e farle attraversare da una fetta di umanità che alla logica de piede che affonda nell’acqua hanno anteposto la logica del piede sospeso sull’acqua”. Quest’anno non si cammina sull’acqua, semplicemente, come ha scritto Jena “fa molto caldo, non si respira, è arrivato Lucifero…”. E in più, lo spettro della pandemia, che c’è e non vuole abbandonare la scena, è pronto a mostrare di nuovo di che pasta è fatta una portatrice di paure.
Ma è Ferragosto e il detto popolar-scemo consiglia di ripetere in coro “odiato virus, non ti conosco”. Ieri, cercando notizie romane per giustificare le Feriae Augusti (Ferragostane, che diamine!) mi sono imbattuto nella felice prosa di Marco Lodoli, poeta e affabulatore, che dice, e mi stupisce lo dica con la semplicità del maestro e il sapere del professore: “Se devo dì la cosa che me manca, / la prima nel registro dell’assenti, / subito te direi la vespa bianca, / quella che mi portava ai quattro venti / quando che l’anima ammosciata, stanca / de regge er tempio de’ cori scontenti / diceva cazzo sta a fa su sta panca, / ma nun lo vedi proprio, nun lo senti? / Ma cosa, dove? ‘N ciò gnente da fa, / num m’aspetta nessuno, mo ‘ndo vado? / Accendi sto vespino e daje gas, / mica vorrai ammuffì ‘n’un metro quadro, / ruba co l’occhi tutta sta città, / che la tristezza è guardia e tu sei ladro”. Poi, più in là, della diva ahimè passata di moda, il medesimo scrive, e non mi stupisce che scriva usando madre lingua dialettale come fosse un sentenziario popolare, e fa dire: “C’avevo tanti sogni, ‘na corona / de fantasie dorate in testa, / già mi vedevo ar centro de la scena / e tutti intorno a famme festa, / a dì anvedi, ammazza quant’è bona, / ma brava pure, po’ fa La Tempesta, / po’ quello che vole qui a Roma, / sonà, ballà, raccoje ne la cesta / applausi e baci, e sordi da padrona. / E invece sto ar mercato a fa ‘a spesa, / c’ho già i capelli grigi e n’amarezza: / la vita da reggina se n’è scesa, / me tengo stretta er poco che me resta, / la rosa del fioraio: tié, bellezza”.
Domani, col Ferragosto messo già in soffitta, bisognerà ricominciare a sperare di risalire la china per arrivare a giorni finalmente sereni. Adriano Prosperi, in “tremare è umano”, libro intelligentissimo e attuale, chiede: “Ma come affrontare tale lunga risalita? Con quali mezzi, con quali strumenti, evitando quali pericoli? E come riuscire a fare in modo che nessuno tenti scorciatoie, o risalite alternative, o sentieri privilegiati percorribili solo da alcuni? Questo il vero punto, il vero problema: non solo vincere la paura, ma evitare che ci sia chi cerchi di farsene un’alleata”. Anche e soprattutto adesso che è Ferragosto.
LUCIANO COSTA