Come può sopravvivere una società in cui nessuno si fida più di nessuno? Rispondete, per favore. Chiunque voi siate – dotti, saggi, ignoranti, intelligenti, giornalisti, scrittori, politicanti, filosofi, pensatori, politici, nessuno, qualcuno, ricchi, poveri, professori, analfabeti, paesani, cittadini, giovani, vecchi, donne, uomini… – provate a rispondere. Poi, per favore, diffondete la risposta… Che, magari, non si sa mai, potrebbe consentire di capire chi siamo e dove stiamo andando. Un amico, illustre pensatore che il suo pensare volentieri lo condivide con chi occasionalmente gli sta accanto nell’ora dedicata al bere e al mangiare sano, l’altro ieri, nel bel mezzo della Festa della Repubblica (mia, tua, sua e di chiunque abbia sale e non cenere in zucca), mi ha spiegato che a suo modesto o forse anche immodesto parere, la sfiducia oggi diffusa e dominante l’umana avventura è la conseguenza della troppa fiducia concessa in passato a chi quella fiducia non la meritava proprio.
Quindi, mi son chiesto, anche questo tempo sfiduciato e privo di elementi che aiutano ad avere fiducia, è destinato a passare? Forse sì, o forse no. Tutto dipende dalle sensazioni a cui si è o non si è disposti a dare udienza. In quel momento la sensazione dominante, circondata com’era dal peso delle banalità messe in circolo da vocianti politicanti predicatori di sapere che ostentano ma che non possiedono, non era certo benevola. Infatti, a guisa di giaculatoria, incurante del lato oscuro che l’accompagnava, a destra e a sinistra ripeteva soltanto: “Chi se ne frega…”. Frase discutibile, addirittura orripilante, ma, ahimè, di nuovo in auge.
Così, un solenne “chi se ne frega” ha accompagnato ieri il mio maldestro tentativo di ragionare su “bisogni, diritti e privilegi” in una società in cui nessuno si fida più di nessuno. Cercavo di spiegare, sorretto da letture e riflessioni preventive, che i“bisogni” indicavano una dimensione soggettiva che non comportava necessariamente un diritto; che i “diritti” non erano un diritto assoluto ma la conseguenza di doveri già onorati; che i “privilegi” erano un’offesa al dovere dell’uguaglianza. Cercavo dialogo, ho trovato quel “chi se ne frega” che azzerava anche le più edificanti intenzioni. Eppure, era evidente la necessità di una nuova rivoluzione che interrompesse la spirale della moltiplicazione dei diritti, che facesse riemergere l’importanza fondamentale dei doveri, che assopisse se non proprio annullasse privilegi e qualunque altra cosa vi assomigliasse… Era evidente, ma ai distratti, purtroppo, sfugge spesso anche la più palese evidenza.
Poi, stamani all’alba, ecco il tam-tam che annunciava la prima intervista del Cavaliere (proprio lui, il signore dei media) dopo il lungo periodo di degenza ospedaliera. Una circostanza, nulla più. Però, se quel che diceva Ortega y Gasset nelle “Meditazioni del Chisciotte” (datate 1914) e cioè che “io sono io e la mia circostanza, e se non salvo la mia circostanza non salvo neppure me stesso”, può liberamente essere applicato al dire circolare del Cavaliere, non c’è circostanza che tenga: lui c’è e rimane per confermare che l’Italia nostra è “la destra intelligente” di uno schieramento che se domani si appropriasse anche dell’Europa sarebbe il segno inequivocabile della bontà delle sue passate e presenti intuizioni.
Il Cavaliere ammalato guarito dal morbo ma comunque in età avanzata non lo sa, oppure nessuno lo ha informato, ma un certo John Donne, già nel 1624, diceva e ripeteva in dotte disquisizioni che “nessun uomo è un’isola, / intero in sé stesso…”. Semmai, “ogni uomo è un pezzo del continente, / una parte della terra”, però mai immobile ed eterna. Ragion per cui, “se una zolla viene portata via dall’onda del mare, / la terra ne è diminuita…”. Però, “non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: / essa suona per te”, per me, per chiunque, quando vorrà e come vorrà. Nel frattempo, nell’intervista letta all’alba (cercatela su “Il Giornale”, se volete) domina la visione, per alcuni certamente “sublime”, di una destra lanciata alla conquista dell’Europa e del mondo. Ma per vederlo questo mondo “universale in cui siamo senza poterne saltare fuori, e farlo vedere agli altri – raccomanda lo scienziato che ricerca verità da opporre al dubbio – abbiamo bisogno di un’assunzione ‘bioculare’, non di destra o di sinistra; di una visione per così dire ‘naturale’ delle dimensioni fondative del nostro esserci, giusta quella visione che la nostra biologia ci offre con due occhi, uno di sinistra, uno di destra, per mettere a fuoco le cose senza appiattirle, senza toglierci profondità oculare”.
Mi verrebbe da ricordare a chiunque si ostini a disquisire di destra e di sinistra senza porre limiti e senza tener conto di ragioni e torti, che sebbene nel paese della fretta ci sia anche chi può perdere tempo, non c’è tempo da perdere, almeno se il fine è quello di edificare una società in cui tutti si fidano di tutti, dove gli adulti trovino il tempo di innaffiare orti e giardini, di coltivare la terra, di leggere o frequentare biblioteche, magari anche di vivere con un ritmo lento, di fermarsi a giocare, a leggere e osservare il mondo, le cose e le persone, di prendersi cura gli uni degli altri, e tutti insieme della natura… Così, per non correre il rischio di perdere tutto.
Sto camminando su “dannate nuvole”. E come Vasco Rossi, “quando cammino su queste dannate nuvole / vedo le cose che sfuggono dalla mia mente…/ Quando cammino in questa valle di lacrime / vedo che tutto si deve abbandonare… / Chissà perché / quando mi sento di dire la verità / sono confuso non son sicuro… / quando mi viene in mente che non esiste niente / solo del fumo, niente di vero / niente dura e questo lo sai… / Però tu non ti arrenderai…”.
No, non mi arrenderò “a quell’insieme di fenomeni che attraversano il mondo globale e che appartengono a quella che Michel Foucault definisce “volontà di sapere”, che altro non è se non un dispositivo culturale e sociale fatto di domande e risposte concernenti il rapporto tra essere e benessere”. Essere e benessere: grande mistero! Per esempio: io sono, ma pur essendo non è detto che viva nel benessere. Infatti, essere sta al benessere come i cavoli a merenda; ovvero, non ci sta proprio, perché condire l’essere con i cavoli non è certo il modo migliore per invitare a una buona merenda… Ed è inoltre risaputo che “credenti o non credenti, volenti o nolenti, gaudenti o penitenti, ogni volta che accettano di fare merenda insieme cercano, soprattutto, di mangiare come Dio comanda”. Vale a dire, di mangiare bene e senza cavoli addomesticati per sembrare prelibatezze. Però, ahimè e anche hai noi, quel che manca è un posto in cui fare finalmente “merenda insieme”, ciascuno libero di essere e di portare lì il proprio benessere. Cosa non facile. Infatti, richiederebbe l’esistenza di una rivoluzione pacifica, capace di mettere il noi al posto dell’io e lo stare bene insieme al posto dello stare bene da soli. Ma esiste un rivoluzionario disposto a farsi carico di siffatte importanti e determinanti quisquiglie?
Ancora una volta dubito. E dubitando m’accorgo d’esistere. E lasciandomi scuotere dal dubbio, cerco una spiegazione alla prevalenza della mano destra (o, semplicemente, della destraintesa come schieramento politico). Ma, a oggi, credetemi, le risposte sono i soddisfacenti. “Perché – come scrivono Elisabetta Moro e Marino Niola in “Mangiare come Dio comanda” – per un verso è accertato che le religioni lateralizzano a destra il bene, la virtù, il divino, e a sinistra il male, il vizio, il diavolo… Ma il fatto che queste due polarità siano opposte non spiega perché la destra sia sempre quella positiva…”.
Ai posteri (o al voto che verrà) l’ardua sentenza.
LUCIANO COSTA