Una volta, quando luglio declinava e lasciava il posto ad agosto, c’era l’esodo di massa; adesso si va e si viene senza prestare troppa attenzione al calendario, semmai ponendo se e ma a seconda dell’andamento pandemico e del numero di vaccinazioni effettuate. Ieri i numeri regalavano spiragli di bel tempo; oggi non si sa. Però gli scienziati dicono che il numero dei vaccinati e dei richiedenti il vaccino permette di immaginare a breve la conquista di quell’immunità di gregge indicata come diga contro il virus e le sue varianti. Merito della ventilata obbligatorietà a vaccinarsi ipotizzata per porre fine ai distinguo e ai no-vax che imperterriti sfidano la scienza e il buon senso. Forse. Oppure è la conseguenza della voglia di muoversi e di partecipare, che sarebbe mortificata e annullata senza il possesso di quel green-pass che non sarà la lampada di Aladino, ma almeno la chiave per aprire la porta della normalità, questo di sicuro.
Eppure, ancora ieri, in diverse città e paesi, persone convinte che “è meglio vivere in libertà che morire di vaccino” hanno protestato e accusato la scienza e chiunque ubbidisca alle sue indicazioni (il Governo, per esempio, ma anche ministri, esperti, responsabili della sanità, prefetti, sindaci, forze dell’ordine, volontari, uomini e donne schierati per invitare a vaccinarsi) di essere “dittatori al servizio della repressione”. Non so chi arma la protesta e perché lo faccia, so per certo che uno o centomila sposano la tesi e per questo vanno in piazza a gridare, ahimè, la loro avversione all’unica cosa – il vaccino – in grado di opporsi al dilagare del virus. “Affari loro, lasciateli bollire nel loro brodo”, hanno detto alcuni osservatori, ovviamente vaccinati e perciò spazientiti da quel groviglio di parole vuote, addirittura assurde, provenienti dai luoghi della protesta no-vax e similia. Essendo impossibile lasciarli bollire nel loro bisognerebbe convincerli che sebbene stupidità-ignoranza-dabbenaggine-cretineria facciano parte del paesaggio, non è obbligatorio piegarsi al loro volere.
Tutto chiaro? Ero convinto lo fosse. Poi ho letto quel che due filosofi hanno scritto a sostegno della libertà di scansare vaccinazioni e, subito dopo, l’obbligatorietà di mettersi in tasca il green-pass, quel lasciapassare necessario per muoversi e partecipare, magari anche a qualche presentazione o lezione di lor medesimi. Di fronte al loro parlare ho avuto per un attimo l’impressione di ascoltare due che avendo tante-troppe cose da pensare e soprattutto da dire, si fossero dimenticati i che pasta erano fatti i loro pensieri precedenti, soprattutto quelli osannanti il concetto di una libertà personale che finisce laddove incomincia la libertà di tanti. Per il rispetto che ho della filosofia, da filosofi addetti ai lavori avrei preferito sentire parole responsabili e non velleitarie disquisizioni sull’io sono mio messo lì per rivendicare libertà anche di fronte a scelte implicanti il benessere generale. Invece, ha dovuto prendere atto che loro esternazione, seguita da altre favorevoli e contrarie, era funzionale e pari alla loro vanità.
In tal modo, ha vinto la mia personalissima convinzione, quella che sostiene come la filosofia aiuti i filosofi a filosofare e a mettere pezze al pallone destinato a racchiudere i loro pensieri. Che poi le pezze siano utili a sostenere il peso richiesto dai pensieri pensati, è tutto da verificare. Personalmente dubito, ma si sa che dubitare è necessario per capire che nonostante tutto respiriamo e, forse, pensiamo. Mi piace la filosofia che argomenta senza sentenziare; non sopporto invece i filosofi, spesso prezzolati, che sentenziano ancor prima di argomentare. Uno di questi, solitamente circondato da prosopopea e da schiere di ex-ragazzotte (di questa pasta è fatto il suo pubblico), lo stesso già menzionato più sopra, in cerca di nuove emozioni, dall’alto del suo pulpito istoriato come pochi altri da pavoni, tacchini, volpi, serpenti e animali parlanti (se vi interessa, un esemplare bellissimo lo trovate nella cattedrale di Anversa), ha proclamato l’inutilità del green pass definendolo “un sopruso di stampo sovietico”.
Ora, che quel tale dica la sua cercando di stupire non è una novità. E’ invece una novità che il filosofo si erga a rango di scienziato, ipotizzando che “siccome nessun vaccino è sicuro al cento per cento, tutti i vaccini sono inutili o se non proprio inutili almeno inaffidabili. Emanuele Severino, grande filosofo, il cui il silenzio regalava sicure emozioni, ai filosofi vocianti come quello preso a esempio, riservava un mezzo sorriso (di benevolenza e di augurio a fare meglio il mestiere) e un pieno e rotondo consiglio utile a ripensare l’essere e il divenire fino al punto da indurre a rivedere la posizione assunta o, magari, vederla in un’ottica meno esclusivista e totalitaria del consueto. Ho fiducia nella filosofia, che è scienza capace di leggere e interpretare situazioni altrimenti destinate a restare insolute, ma non so come e perché quando viene annunciato un filosofo che parlerà del valore del nulla o del tutto, lascio la fiducia e mi ritiro, ben conscio che del grande sapere, tuttalpiù, son certo di niente sapere.
Per aver ripetutamente sostenuto la validità del vaccino e la necessità di stabilire norme che obblighino a vaccinarsi, un tale che si è proclamato “lettore attento e libero”, usando il classico messaggino, mi ha accusato di “servilismo becero ai potenti di turno”. Richiesto di illuminarmi sulla provenienza della sua accusa mi ha risposto che lui le convinzioni se le fa per conto suo, senza leggere quel che altri scrivono e senza ascoltare quel che comunemente si va dicendo in giro. Gli ho chiesto: “Ma se non hai tempo di leggere, se ti affatica perché non ti trattieni anche dall’impegno dello scrivere?”. Non mi ha risposto. Anzi, ha risposto nell’unico modo a lui congeniale: troncando il discorso e rinchiudendosi nel suo esistere senza punti, virgole e accenti pronti a disturbarlo. Ho pensato allora quanto sarebbe utile riscoprire quel che Isaiah Berlin, un grande liberale del Novecento, diceva a proposito “dell’eterna utopia” di trovare l’algoritmo della ragione che condurrà l’uomo alla verità e alla salvezza. “Ogniqualvolta il razionalismo si spinge un po’ troppo oltre – scriveva Berlin – si manifesta una resistenza emotiva, un’ondata di ritorno che nasce da quanto vi è di irrazionale nell’uomo”. Il che ha consentito a Mattia Feltri di scrivere ieri che “sembrerebbe la storia di oggi, con le risposte isteriche e complottarde ai verdetti della scienza sui vaccini”.
Servirebbe, anche ai filosofi ostili, ritrovare la luce necessaria per rischiarare un cammino certo difficile ma non impossibile. Perché, come sostiene l’architetto Mario Botta “nonostante sembri che siano muri, soglie, linee disegnate dall’architetto a determinare lo spazio in cui viviamo, osservando meglio ci si accorge che l’elemento apparentemente sfuggente di un progetto, la luce, è la vera generatrice dello spazio. Essa diviene quindi la materia prima dell’architettura. Di per sé astratta, eterea, impalpabile, immateriale, la luce necessita della materia per esprimersi e divenire concreta”. Botta dice anche che “prima che con la scrittura — e forse oggi dovremmo dire anche dopo la scrittura — gli umani hanno comunicato per immagini. Dalle incisioni rupestri alle istantanee salvate sui nostri smartphone è quanto vediamo incidersi nella coscienza, quindi nell’immagine o nell’opera d’arte”.
Ma, i filosofi che argomentano su libertà “diversa a seconda del suo utilizzo”, lo sanno che nessuna parola sarà incisa nella pietra senza che un bravo scalpellino prenda martello e scalpello per trasformare quella pietra in tavola su cui leggere pensieri, regole e insegnamenti degni di essere affidati alle nuove generazioni? Resta da definire chi sia più importante: lo scalpellino che incide o certi filosofi che dettano sentenze? La scorsa settimana il mio amico Alessandro Bergonzoni mi ha detto: “Attenzione! Ho parlato con quel che ci riguarda: ha detto che per un po’ ci guarda ancora poi se non lo guardiamo anche noi, non ci riguarderà mai più”. Non ho ben capita l’antifona. Però mi sono fatto persuaso che si riferisse al grande tema della stupidità esibita come scienza esatta, che appunto perché esibita sotto mentite spoglie è sempre difficile da misurare. Secondo Giovanni, contadino che conosce le stelle e gli astri più e meglio di qualunque professore, “a volte la stupidità è palese e la vedi; altre è velata da finta intelligenza e non la distingui se non dopo attento esame; altre a ancora è travestita da finta-tontezza, semi-disattenzione o presunta auto-giustificazione”. Sempre e comunque, dico io, resta stupidità: frutto di menefreghismo e di non conoscenza spacciata come sapere definito.
“O Padre nostro che in cielo stai”, scriveva Dante per dire che “Dio è sì nei cieli, ma non è limitato da essi; e che se risiede lì è perché si compiace della presenza delle prime cose che ha creato, ovvero i cieli e gli angeli”, pensaci ancora tu.
LUCIANO COSTA