Servirebbe indurre tutti, ma proprio tutti, a riflettere sulle parole che intende pronunciare e su quelle che intende rievocare. Così, per impedire, nel primo caso di essere definiti cialtroni e, nel secondo si essere semplicemente ripetitori ottusi di slogan sotterrati dalla storia benché da alcuni (molti, ahimè) tenuti in vita per convenienza da chi vorrebbe la storia sotterrata di nuovo messa in bella vista. Sulle parole che circolano e che sono messe in circolo, c’è solo l’imbarazzo della scelta – destra sinistra centro potere governo noi, noi e ancora noi mentre gli altri son nessuno… – : vengono profferite come fossero dogmi assoluti, buoni per tutte le occasioni, senza vergogna, sebben sia risaputo che sono state scritte da ciurme di prezzolati simil-pensatori istruiti per mischiare i pensieri e renderli utili solo al committente (che, ovviamente, è innanzitutto un politico in libera uscita o, in alternativa, un buontempone in cerca di visibilità); sulle parole rievocate, premesso che a nessuno è vietato servirsi di ciò che gli è stato consegnato-insegnato-inculcato-appiccicato e ben incollato al cervello, resto perplesso di fronte a coloro che sentita la Premier ripetere “Dio Patria Famiglia” proponendolo qual rimedio dei mali di sui soffriamo noi e il resto dell’Europa e del mondo (slogan drastico, fumoso e a suo tempo abusato per spingere gli italiani a serrare le fila, uno slogan d’altri tempi e di tempi che personalmente non vorrei tornassero) si son sentiti, se non proprio più italiani, almeno pronti per dar vita a una novella avventura orientata a ripopolare paesi, città e contrade in via d’estinzione.
Stamani all’alba, tra i pensieri solo lievemente assopiti da quel che si dice “ripasso a favore della salute” (in corso ma in via di ultimazione), ha fatto capolino il “Giuramento di Pontida” (raccontato da Giovanni Berchet in un poemetto che annoda e condisce storia, cronaca e fantasia popolare), che sebbene scarsamente letto e ancor meno meditato e messo a confronto con la storia vera, chiama a raccolta in quel di Pontida, paesotto della bergamasca, migliaia di persone che non smettono di immaginare, insieme a Bossi Umberto e a ciò che resta del suo pensiero, una “Lombardia Nazione” e il Nord che la circonda padrone dell’Italia intera finalmente liberata da migranti o disperati che vengono dal mare in cerca di fortuna e, magari, anche del benessere altrui.
Scrive Giovanni Berchet nel suo poemetto: “L’han giurato. Li ho visti in Pontida convenuti dal monte e dal piano. L’han giurato; e si strinser la mano cittadini di venti città. Oh spettacol di gioia! I Lombardi son concordi, serrati a una lega. Lo straniero, al pennon che ella spiega, col suo sangue la tinta darà. Più sul cener dell’arso abituro
la lombarda scorata non siede. Ella è sorta. Una patria ella chiede ai fratelli, al marito guerrier. L’han giurato. Voi donne frugali, rispettate, contente agli sposi, voi che i figli non guardan dubbiosi, voi ne’ forti spiraste il voler. Perchè ignoti che qui non han padri
qui staran come in proprio retaggio? Una terra, un costume, un linguaggio Dio lor anco non diede a fruir? La sua patria a ciascun fu divisa. È tal dono che basta per lui. Maledetto chi usurpa l’altrui, chi il suo dono si lascia rapir. Su, Lombardi! Ogni vostro Comune ha una torre, ogni torre una squilla: suoni a stormo! Chi ha un feudo, una villa, coi suoi venga, al Comun ch’ei giurò. Ora il dado è gettato. Se alcuno di dubbiezze ancora parla prudente, se in suo cuor la vittoria non sente, in suo cuore a tradirvi pensò. Federigo? Egli è un uom come voi. Come il vostro è di ferro il suo brando. Questi, scesi con esso predando, come voi veston carne mortal. “Ma son mille, più mila”. Che monta? Forse madri qui tante non sono? Forse il braccio onde ai figli fer dono, quanto il braccio di questi non val? Su! Nell’irto increscioso allemanno, su, lombardi, puntate la spada: fare vostra la vostra contrada questa bella che il cel vi sortì. Vaghe figlie del fervido amore, chi nell’ora dei rischi è codardo, più da voi non isperi uno sguardo, senza nozze consumi i suoi dì. Presto, all’armi! Chi ha un ferro l’affili; chi un sopruso patì sel ricordi. Via da noi questo branco d’ingordi! Giù l’orgoglio del fulvo lor sir. Libertà non fallisce ai volenti, ma il sentier de’ perigli ell’addita; ma promessa a chi ponvi la vita non è premio d’inerte desir. Gusti anch’ei la sventura, e sospiri l’allemanno i paterni suoi fuochi; ma sia invan che il ritorno egli invochi, ma qui sconti dolor per dolor. Questa terra ch’ei calca insolente, questa terra ei morda caduto; a lei volga l’estremo saluto, e sia il lagno dell’uomo che muor”.
Roba, righe, rime, parole, pensieri, opinioni d’altri tempi; roba passata e trapassata, però rimessa puntualmente in circolo da quando, anni Novanta, l’Umerto riscoprì il verde del prato di Pontida. E la storia o storiella? Eccola, desunta da Wikipedia, per rallegrare la mia e vostra domenica. Dice l’enciclopedia mediatica: “Il Giuramento di Pontida, secondo la tradizione, sarebbe stata una cerimonia che avrebbe sancito, il 7 aprile 1167, nell’abbazia di Pontida, vicino a Bergamo, la nascita della Lega Lombarda, ovvero di un’alleanza militare tra i comuni di Milano, Lodi, Ferrara, Piacenza e Parma finalizzata alla lotta armata contro il SACRO Romano Impero di Federico Barbarossa. Il giuramento di Pontida non compare sui documenti dell’epoca, essendo citato per la prima volta nel 1505, quindi tre secoli e mezzo dopo la data tradizionale del 7 aprile 1167. L’evento è messo in dubbio dagli storici, dato che nelle cronache dell’epoca redatte tra il 1152 e il 1189, non è citato nessun giuramento di Pontida. La sua prima menzione è infatti tardiva, dato che compare su un documento del 1505. Sulle fonti dell’epoca è comunque citato il fatto che i comuni della Lega Lombarda avessero sottoscritto dei patti per contrastare l’egemonia del Barbarossa aiutandosi vicendevolmente. La maggior parte di questi scritti, però, argomentano l’avvenimento in modo piuttosto vago, senza descriverne i particolari: non vengono infatti menzionati né le località, né le date precise della sottoscrizione dei patti. Le fonti storiche dell’epoca più precise raccontano almeno di tre giuramenti tra i comuni della Lega Lombarda: il primo, sottoscritto tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo del 1167 tra Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova è conosciuto come “giuramento dei Bergamaschi”; il secondo, firmato anche da Milano nel marzo del 1167, che si unì alle quattro città del giuramento appena accennato; il terzo, sottoscritto anche da Lodi nel maggio dello stesso anno, che entrò a far parte della coalizione, precedentemente menzionata, formata da Bergamo, Brescia, Cremona, Mantova e Milano. Considerando la data del 7 aprile 1167, possiamo quindi affermare che il giuramento di Pontida, anche nel caso in cui sia stato effettivamente sottoscritto, non fu il patto di costituzione della Lega Lombarda, dato che sui documenti storici sono citati almeno due giuramenti precedenti”. Aggiunge Wikipedia che “ogni anno a Pontida, nel mese di giugno, in piazza Giuramento, vengono rievocate, da un centinaio di figuranti in costume, le fasi storiche che portarono alla nascita del patto militare siglato, secondo la tradizione, il 7 aprile 1167. In occasione della rievocazione, vengono anche organizzate manifestazioni ludiche e culturali”. Quanto all’uso che attualmente si fa del “giuramento”, restando al sapere diffuso da Wikipedia, è presto detto: “Dal 1990 il partito politico autonomista della Lega Nord, organizza annualmente un raduno che celebra l’omonimo giuramento medievale. Durante l’evento intervengono gli esponenti politici più importanti del partito fondato da Umberto Bossi (oggi ci sarà Matteo Salvini, il capitano attuale, celodurista storico, insieme all’amica francese Le Pen, figlia e sostenitrice di una destra estrema e antieuropeista). Qui, su un prato chiamato “sacro suolo”, i leghisti si radunano da ogni parte d’Italia ognuno sventolando la bandiera della propria regione assieme al tricolore italiano, essendo ora il partito di carattere nazionale e non più secessionista come ai tempi di Bossi quando la bandiera della Padania era il principale emblema dell’adunata”.
Fine della ripassata storica. E scusate se pubblicandola ho magari sottovalutato le vostre personalissime conoscenze. Ma si dà il caso che proprio ieri, in una serata affollata, abbia sentito, a proposito del Giuramento fatto, o semplicemente immaginato di poter fare a Pontida, strafalcioni e pressapochismi davvero fuori luogo. Da quel sentore, la voglia di riassumere detti e contraddetti, compresi i versi scritti da Giovanni Berchet.
Adesso, però, se permettete, aggiungo alcuni versi di una canzone che forse i giovani che oggi saliranno a Pontida fieri e orgogliosi di quel che hanno saputo, non conoscono o hanno già dimenticato. Eccoli: “Possa tu rimanere per sempre giovane. / Possano le tue mani essere sempre occupate / possano i tuoi piedi essere sempre veloci, / Che tu possa avere una solida base / quando il vento del cambiamento cambia / possa il tuo cuore essere sempre gioioso / possa la tua canzone essere sempre cantata. / E che tu possa rimanere per sempre giovane”.
Ricordando all’inizio del mese l’anniversario della morte di Mino Martinazzoli – mite politico ma sostenitore accanito delle ragioni della politica – ho sentito il prete che celebrava la Messa di suffragio dire che “la disperazione del presente, di un presente fatto di tante parole e poca sostanza, chiede disponibilità a far di nuovo posto alla speranza, a immaginare cioè che le beatitudini sono ancora pane nostro quotidiano. So che Mino – diceva don Paolo – , invitato una volta a riflettere sulla preghiera per eccellenza – quel “Padre nostro…” che apre al Cielo solo dopo aver lodato Iddio ed esercitato vera, coraggiosa, autentica carità – invitò gli amici convenuti a chiedersi se e come – bene male pressappoco o malissimo – l’avevano onorata quella preghiera; se e come la lode all’Altissimo l’avevano coniugata con il dovere di garantire anche all’ultimo, al più povero e disperato, di essere felice, e felice perché riconosciuto fratello, perché sfamato, sollevato dalle preoccupazioni, che nella preghiera sono raffigurate come debito da rimettere perdonare dimenticare, perché solo così potrà godere della certezza di non essere mai più abbandonato alla tentazione”. Ho poi anche letto il suo pensiero, dettato da turbolento presente che lo circondava, sul confronto tra speranza e utopia. Speranza, spiegava, è parola più umana e misurata; utopia è il luogo che non c’è, dunque il confronto è decisamente impari. Ma da un siffatto confronto, un cuore aperto e disposto a far posto al Vangelo, riconoscerà alla virtù chiamata Speranza l’immenso valore che porta con sé. Però, ammoniva, attenzione ai politicanti e ai venditori di fumo in cerca di applausi (niente altro che cultori di “un’idea della democrazia come obbligazione contrattuale tra i cittadini”) che mettono l’una e l’altra sullo stesso piano della bilancia, tentando di imporre l’idea di una speranza che, al pari dell’utopia, non ha altro da offrire se non l’effimero avvento di qualcosa, indefinito e indefinibile. Ai vecchi e nuovi visionari di una politica di servizio e piena di umanesimo, Mino Martinazzoli, ancora adesso torna a dire che “che dopo gli anni in cui i cristiani dovevano resistere al troppo della politica”, adesso “è necessario resistere al niente della politica”; dirà anche, ne sono sicuro, che per i cristiani “la politica è importante, se e come pensa all’altro, si pone al servizio dell’altro, immagina terre e cieli nuovi per l’altro… Un altro sconosciuto, ma reale”. Sono sicuro che Mino, cristiano prestato alla politica ma anche politico capace di restare cristiano nonostante il peso della politica, per disegnare oggi un sentiero adatto a portare noi tutti, senza alcuna esclusione, fuori dalle tribolazioni imposte dal calpestio continuo delle ragioni che sorreggono umanesimo e buona politica, sceglierebbe l’invito raccolto nella beatitudine che privilegia i pacifici, che li indica costruttori di pace e di mondi da condividere… Senza ovviamente incomodare “Dio Patria Famiglia” e qualunque parola che non sia vera.
Se il domenicale vi è parso sopra le righe, mettete in conto che ubbidisce a pensieri pensati misurando acciacchi temporanei…. Comunque, buona lettura e buona domenica.
LUCIANO COSTA