Non serve muoversi e neppure agitarsi: il bello e il brutto dell’esistenza, soprattutto il brutto di questi tempi, ti arriva direttamente sul telefonino. E’ la potenza della tecnologia, bellezza! Ieri, per esempio, Anna Giulia mi ha interfacciato una preghiera (è lunga un sospiro e dice “buon Dio, / chiunque tu sia / prendi il male mio / e portalo via”) consigliandomi di recitarla ogni volta che la voglia di spaccare tutto, magari solo per vedere l’effetto che fa, pretende udienza. Invece, un incazzato cronico, che tutti chiamano Amaro, ritrovandosi improvvisamente dolce, ha mandato a dire che quel che viviamo a causa del virus “è come un gioco: ci sono delle regole e dobbiamo rispettarle se vogliamo vincere; ma questa volta non vincerà una persona sola: se saremo bravi, vinceremo tutti, vincerà l’Italia”. Loredana la mite, a così alto cantico ha risposto dicendo che il rischio è quello di impazzire ben prima di capire. “Comunque – le ha risposto un figlio del vento – non è detto che si debba impazzire in casa… Ne parlavo prima con il frigorifero; e ci siamo trovati perfettamente d’accordo”. Mi hanno poi telefonato Arturo per ricordarmi di pagare l’assicurazione, Ernesto per mettere in calendario una sua visita (che se non fosse per il seguito – una compagna pettegola e una suocera impossibile – sarebbe anche piacevole), Angela per disdire un appuntamento e Luca per sollecitare la consegna del testo definitivo e corretto del libro in lavorazione. Tutto nella norma. Anche l’associazione dei pensionati che mi riempie il telefonino di suggerimenti (forse utili a integrare il giorno ma di sicuro anche prova provata del peso raggiunto dagli anni accumulati) e di obblighi a cui sottostare se l’intenzione è quella di vincere il virus e vivere a lungo. Il cellulare mi ha anche informato, rendendomi fiero di possederlo, che due amici nonni fra meno di nove mesi saranno ancora più nonni. Tramite telefonino ho saputo che Lucia, in barba al virus e alle sue ingarbugliate quanto deprecabili manovre di avvicinamento, ha felicemente compiuto 101 anni. Grazie alla tecnologia, sul finire del giorno contrassegnato e obbligato dai rigori esistenziali messi in atto dai guardiani pubblici dell’universo abitato, ho ricevuto la desiderata visita degli adorati nipoti, quella meno attesa e ancor meno gradita di un signor “io-so-proprio-tutto” e quell’altra, a dir poco odiosa, di un imbonitore che voleva vendermi, senza però dirmi donde provenissero, dieci mascherine al prezzo di una. Per finire, ho dovuto spiegare al mio vicino di casa che la teoria chiamata “immunità del gregge” e sostenuta da un bizzarro abitante la terra della perfida Albione – quella del “se tutti ammalati, virus debellati” –, per altro molto simile al “mors tua vita mea” di barbara memoria, è meglio lasciarla dov’è. Ieri una suora mi ha regalato una poesia scritta da padre David Maria Turoldo, che dopo aver immaginato un frate disposto a cantare “le follie di Dio”, si conclude così: “… ma in qualche parte tu devi esserci, Signore”.
LUCIANO COSTA