Il paradiso può attendere…

Allora erano in tanti a credere che il paradiso – fatto di gente felice, di tutti uguali, di cittadini sognanti, di tutti pari – fosse là e non qui. Peppone, per esempio, era uno dei sostenitori del paradiso che stava là. Ne era talmente convinto che trovò il modo di organizzare un viaggio alla scoperta di quel paradisoaccettando, di sicuro in omaggio alla democrazia, che della comitiva facesse parte don Camillo, suo principale antagonista qui (qui dove la democrazia diventava addirittura cristiana) e suacoscienza critica (proprio dove doveva ergersi, maestoso e bello, il nuovo paradiso). Si sa come andò a finire quella spedizione e non starò a inventare nuovi commenti. Però, insomma, se quel Giovannino Guareschi, che dei due cantò le gesta, fosse ancora in circolazione, dubito userebbe gentilezze per disegnare questa cosiddetta nuova Russia, in cui il folle zarputinmena il can per l’aia, e magari consigliare un viaggio alla sua scoperta. Allora, invece – anni cinquanta, per parecchi giovani in cerca di futuro politico, andare nella sconfinata steppa russa e così sostare a Mosca era il modo per conquistare medaglie da esibire poi, a tempo debito, in via delle botteghe oscure e dintorni.

Gli ultimi due che, a memoria, ricordo quali venditori del bel paradiso russo hanno le sembianze di un cavaliere riccofamoso-fumoso-gaudente e di un canterino anche lui ricco-famoso-fumoso e gaudente. Di altri, che pure a suo tempo cantarono le meraviglie di quel mondo di presunti uguali, ho perso le tracce. Uno, però, l’ho rivisto l’altro ieri in televisione (una delle tante) impegnato a spiegare la teoria del “né, , quella che tutto accomoda o scomoda a seconda delle convenienze. Gli ho mandato a dire che il silenzio vale più di qualunque stupida parola anche solo sussurrata. Non mi ha risposto, ma lo capisco: come tanti altri compagni di viaggio non ha proprio niente da dire. Soprattutto perché lui, come tanti suoi sodali, la storia l’ha già dimenticata. Così, che la Russia faccia guerra all’Ucraina è una virgola nel mare dei segni che popolano la grammatica e non la riprova di un egemonismo che è ancora sognato e che trova sostenitori e cantori.

Che fare? Come spiegare l’accaduto e l’accadente? Come mettere la verità al posto della menzogna? L’altro ieri, dopo la pantomima andata in scena allo stadio di Mosca, un giovane rampante mi ha detto: “Se i giovani non sanno è perché voi vecchi avete già dimenticato”. E’ difficile dargli torto, soprattutto perché le cose scomode sono state accuratamente cancellate e i libri che le raccontano sono stati trasformati in carta straccia. Però, tra le pieghe del “Libraccio” (luogo intelligente per libri nuovi e vecchi), sparso tra mille altri, ne ho trovato uno che, a seconda delle opinioni, è da ritenersi forse illuminante, forse fuorviante oforse ingombrante. Questa perla storica datata 1975 e quindi andata in disuso s’intitola “breve trattato di sovietologia” (a uso delle autorità civili, militari e religiose” specifica il sottotitolo) ed è stata scritta da Alain Besancon, un professore francese esperto di storia e cultura russa, preceduta dalla prefazione firmata da Raymond Aron, di sicuro un luminare, che ricordando “i begli anni di Khruscev”, osa aggiungere un “ma questo non significa che i bolscevichi abbiano concluso  la pace con la società e la natura umana…”, Infatti, aggiungeva “possono benissimo, domani, ripartire all’assalto delle fortezze improvvisate, nelle quali si rifugiano operai, intellettuali, contadini e artigiani, sotto il soffio della tempesta ideologica e del terrorismo. Malgrado tutto – aggiungeva –, io vedo con difficoltà sbucare da questa oligarchia fatta di vegliardi, un individuo (secondo me è il prototipo di Vladimir Putin…) fuori dal comune, un cinico o un ingenuo, che l’odio e l’ambizione spingono verso exploits leninisti o stalinisti. Anche in politica, la nuova offensiva, immaginando pure che si scateni, assomiglierebbe a una ritirata, se paragonata alle fasi anteriori del terrorismo…”. E tutto rimarrebbe avvolto da apparente immutabilità”, dentro la quale si nasconde il marcio, quella “menzogna, imposta, obbligatoria, che è – come scrisse Solzenicyn – l’aspetto più terribile della vita degli uomini del nostro paese; una cosa ben peggiore di ogni sciagura materiale, peggiore dell’assenza stessa di ogni libertà civile”.

Oltre la prefazione un testo che nonostante gli anni sembra scritto ieri. Dice l’autore che “il problema dell’esperto di cose sovietiche(oggi semplicemente russe) non consiste, diversamente da altre situazioni, nell’aggiornare le proprie conoscenze, ma nel dover considerare vero quello che la maggioranza degli altri considera inverosimile, e nel dover credere l’incredibile. Per esempio, che “quello che è nostro è nostro, e quello che è vostro è negoziabile”, ovvero “quello che è nostro ci appartiene secondo i canoni dell’ideologia, e quello che è vostro non vi appartiene secondo gli stessi canoni, e deve legittimamente esserci restituito. Insomma, secondo la logica di Lenin attualizzata dai suoi emuli e oggi interpretata dal folle zarputinla guerra è la politica continuata con altri mezzi” e “chi fa la guerra – per dirla con Clausewitznon è colui che invade il vicino alla testa dell’esercito. Se il vicino cede alla violenza, la violenza non degenera in guerra. Chi, in realtà, dà inizio alla guerra è colui che si difende con le armi. Così, l’altro ieri, l’Urss non ha fatto la guerra alla Cecoslovacchia perché questa non gliel’ha fatta; così oggi la Russia fa la guerra all’Ucraina perché crede che lei ossa immaginare di opporsi al suo volere.

Come si legge nel “breve trattato di sovietologia”, ancora attuale,“l’esercito sovietico non ha vocazione per la coercizione, ma per la persuasione”. Costi quel che costi.La decisione di guerra – scrive Besancon – non appartiene sostanzialmente al governo sovietico, che si considera sempre legato dalla sua permanente politica di pace. Essa ricade su di noi” Ragion per cui “l’entrata dell’armata rossa nell’Europa occidentale (Ucraina è a occidente, perbacco), se un giorno si verificherà (e sta accadendo) non sarà mai considerata da questo governo come un atto di guerra. Senza dubbio esso farà in modo che neppure noi si consideri ciò come un’aggressione, ma come una protezione o una liberazione, e che la si accolga coi fiori”. Da qui nasce la regola del negoziato (almeno di quello che oggi viene inteso come ricerca di pace tra Russia e Ucraina), che impone di “trattare con la realtà e non con la surrealtà. E’ una regola severa. E’ tanto più facile dialogare, cioè interrogare i sovietici sulle loro intenzioni (vogliono la pace, la giustizia, la libertà), che non pervenire a una spartizione precaria, zoppicante, rimessa in questione, senza gloria né ricompensa morale. Quindi, suggerisce il trattato “discutere col governo sovietico (adesso russo) quando mente, ma rifiutare la discussione quando è sincero…”.

Volevo un domenicale che dicesse la guerra è finita. Invece… Invece, mentre la guerra continua e non vedo quando e come possa finire, trovo una canzone intelligente (di Leonard Coen, forse un divo o forse solo coscienza critica di un mondo che sciupa ogni cosa) che invio a zarputin con l’invito a meditare e farne tesoro. Dice: Cantavan gli uccelli / al levar del dì. / Ricomincia daccapo / li sentii dire. / Non indugiare / su quel che è stato / o che ancora non è. / Saranno le guerre / combattute ancora. / La sacra colomba / verrà catturata ancora / comprata e venduta / e comprata ancora / la colomba mai libera non è. / Suonate le campane che possono ancora suonare. / Dimenticate la vostra offerta perfetta / c’è una crepa in ogni cosa. / È così che entra la luce. / Chiedemmo dei segni / i segni furono inviati: /natale tradito / il matrimonio esaurito / la vedovanza di ogni governo / segni che ognuno può vedere. / Non posso più correre/ con quel branco senza legge… / Hanno chiamato a sé / una nube tempestosa. / E avranno mie notizie. / Suonate le campane che possono ancora suonare. / Dimenticate la vostra offerta perfetta / c’è una crepa in ogni cosa. / È così che entra la luce. / Potete sommare le parti / ma non avrete il tutto…”.

Spero e voglio la pace. E voi?

LUCIANO COSTA

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