Il Domenicale

Importante è non fare come il professor Sospeso

Non si tratta di inseguire i problemi con la preoccupazione o presunzione di metterli in fila e così collocarli in un sistema definito, ma semmai di capire, di agire, magari anche di imparare la lezione che li accompagna così da essere degni di “formular risposta” almeno assennata se non proprio definitiva. Però, come fare? Un maestro d’altri tempi, quando gli chiesi di spiegarmi perché esistessero destini diversi (mio, tuo, suo…), variamente assortiti (benevoli, ostili, crudeli, cinici, bugiardi, rosei, raggianti, deprimenti se già non anche ingiusti…) mi rispose che tutto dipendeva dal come si usava l’intelligenza, che ciascuno possiedesebbene spesso non sembri data la propensione a prenderla a calci e a ceffoni fino a renderla serva dell’ignoranza. Aggiunse anche che tutto dipende da noi, dalla personale capacità di ciascuno a vedere la rana che resta rana anche se tentata di gonfiarsi fino a raggiungere la dimensione del bove e a vedere il bove che bove resta sebbene poeticamente gli venga assegnato il titolo di pio, il quale, se unito ad amo, diventa quel “t’amo, pio bove…”, capace di accomodare e rattoppare quel che comunemente non potrebbe essere accomodato o rattoppato.

 

Vedere o non vedere, ma anche usare ciò che è stato osservato come fosse ammoni mento contro la presunzione di essere e diventare ciò che non si è e non si diverrà mai, è questione di intelligenza, che più dubita più è vera. Infatti, dice il filosofo “la vera intelligenza è quella che dubita di sé stessa, e dubitando di séstessa, impara a vedere e muoversi nel labirinto della vita”, che volendo è quel placido stagno in cui albergano sia la rana, sia il bove.

 

Destini diversi… Il mio fa i conti con l’inarrestabile voglia di scrivere e commentare, a volte ridendo altre lacrimando, quel che accade; quello di un certo mio vicino guarda tanto, ma proprio tanto, alla moneta e assai poco alla cometa; quell’altro destino,che sovrasta i pensieri e le azioni del focoso amante della guerra, è pieno di niente, perché è proprio fatto di niente tutto ciò che crede sia più utile fare la guerra del vivere in pace. Marco ha ieri detto a chi con lui condivideva le gioie di star accanto alla torre che a Brescia ospita un grande orologio sovrastato da “i macc de le ure” (due bresciani, uno di nome Tone e l’altro Battista, che insieme rappresentano un vero e proprio programma di vita: essere matti ma ancora degni di battere le ore al tempo stabilito) che gli dispiace “vedere ragazzi, ragazze e giovani, ma anche vecchi, che si focalizzano sulla tristezza, mentre a volte anche un cielo di nuvole basse ha dei raggi di sole ben visibili…”.

 

Gli hanno dato ragione, però gli hanno anche detto che per essere credibile avrebbe dovuto spiegare perché il sole non provi vergogna a illuminare ogni giorno i vari scenari di guerraPretesa assurda, come a dire che basti il volere del cielo per mettere pace dove c’è la guerra…Se però si incominciasse col dispensare amore vero tutto diventerebbe più facile…” suggerì Maddalena, non a caso soprannominata “pia e mite”. Indubbiamente vero, però amore fa sempre rima con dolore, qualche volta persino con rancore e colore, altre con gioia e noia, raramente, sebbene sia arditamente ritenuto via obbligata per conquistarlo, con cuore, che può essere spezzato o tutto intero, ma pur sempre in grado di aiutare il dolore a specchiarsi nel sole…

 

Direte: sono solo segni e sogni. E’ verissimo. Infatti al pari di tanti “ho difficoltà a capire i segni che sembrano perdere significato, perché pare non esserci relazione tra ciò che essi dicono e ciò che viene messo in scena da chi li usa, li porta, li indossa e felicemente se li fa tatuare sulla pelle…”. Come quella crocedisegnata sul petto del cantante di grido e fama, esibita sul palcoscenico forse per devozione o forse perché ritenuta un potente segno di benedizione, qualcosa da opporre all’idea che tutta finisca in un baleno, nel turbinio della guerra, senza dare credito a chi assicura che il cielo è di tutti...

 

Uno di questi sognatori di cieli per tutti si chiama Gianni Rodari, poeta e maestro, che al dotto e all’ignorante regala versi che dicono e chiedono: “Qualcuno che la sa lunga / mi spieghi questo mistero: / il cielo è di tutti gli occhi / di ogni occhio è il cielo intero. / È mio, quando lo guardo. / È del vecchio, del bambino, / del re, dell’ortolano, / del poeta, dello spazzino. / Non c’è povero tanto povero / che non ne sia il padrone. / Il coniglio spaurito / ne ha quanto il leone. / Il cielo è di tutti gli occhi, / ed ogni occhio, se vuole, / si prende la luna intera, / le stelle comete, il sole. / Ogni occhio si prende ogni cosa / e non manca mai niente: / chi guarda il cielo per ultimo / non lo trova meno splendente. / Spiegatemi voi dunque, / in prosa o in versetti, / perché il cielo è uno solo / e la Terra è tutta a pezzetti?”.

Me lo sono chiesto anche ieri e l’altro ieri e un altro giorno addietro, me lo chiedo anche oggi e me lo chiederò anche domani e dopodomani e un altro giorno più in là, ma di sicuro non troverò risposta. E la Terra continuerà a essere tutta a pezzetti, alcuni verdi e belli, altri grigi e tristi, altri ancora infuocati o assetati, più di uno offeso da guerre, o scosso da terremoti, oppure occupato da pestilenze. Ma anche un pezzetto, però quello meno visibile agli occhi, pieno di luce e gioia, di felicità e amore gli uni per gli altri, un pezzetto di Terra senza errori, un vero e proprio paese senza errori… Ma, suvvia, dove stava quel paese, proprio quel paese in cui facevano bella mostra torte sospese tra cielo e terra? Non so dove sia, ma so che esiste. Perché in fondo “io sono un sognatore,/ ma non sogno solo per me: / sogno una torta in cielo / per darne un poco anche a te. / Una torta di cioccolato / grande come una città, / che arrivi dallo spazio / a piccola velocità. / Sembrerà dapprima una nuvola, / che si fermerà su una piazza, / le daremo un’occhiatina / curiosa dalla terrazza… / Ma quando scenderà / come una dolce cometa / ce ne sarà per tutti / da fare festa completa. / Ognuno ne avrà una fetta / più una ciliegia candita, / e chi non dirà ”buona!” / certo dirà “squisita!” / Poi si verrà a sapere / (e la cosa sarà più comica) / che qualcuno s’era provato / a buttare una bomba atomica, / ma invece del solito fungo / l’esplosione ha provocato / (e per ora nel mio sogno) / una torta di cioccolato.

Come avrete capito, uso Gianni Rodari come fosse l’amico che sogna con me e per me, lo stesso che scrive “ho visto una formica/ in un giorno freddo e triste / donare alla cicala / metà delle sue provviste” e che conclude dicendo “tutto cambia: le nuvole, / le favole, le persone… / La formica si fa generosa… / E’ una rivoluzione. Proprio quella che manca a al mondo d’oggi, che tronfio del suo sapere ha già dimenticato la lezione delle due repubbliche, quella che racconta…

Una volta c’erano due repubbliche: una si chiamava Repubblica di Sempronia e l’altra Repubblica di Tizia. C’erano da tanto tempo, da secoli, ed erano sempre state confinanti. I ragazzi di Sempronia, a scuola imparavano che la Sempronia confinava a ovest con la Tizia, e guai se non lo tenevano a mente. I ragazzi di Tizia imparavano che la Tizia confinava ad est con la Sempronia e se non rispondevano giusto su questo punto venivano bocciati. In tanti secoli, si capisce, la Sempronia e la Tizia avevano litigato un’infinita di volte e si erano fatte una decina di guerre a dir poco, prima con le lance, poi con le colubrine, poi con i cannoni, gli aeroplani, i carri armati, eccetera. Mica che i Semproniani e i Tiziani si odiassero. Anzi, quando c’era la pace, i Semproniani si affrettavano a visitare la Tizia e la trovavano molto bella, e i Tiziani passavano le vacanze in Sempronia, e ci si trovavano benissimo. Però i ragazzi, a scuola, studiando la storia, ne venivano a sapere di tutti i colori sui loro vicini. Gli scolari di Sempronia leggevano nei loro libri che le guerre erano sempre scoppiate per colpa della Tizia. Gli scolari di Tizia leggevano nei loro libri che i Semproniani avevano più volte aggredito la loro patria. Gli scolari di Tizia studiavano: — Nella famosa battaglia di Pensaunpò) i Semproniani furono messi vergognosamente in fuga. Gli scolari di Sempronia recitavano: — Nella famosa battaglia di Pocodopo i Tiziani subirono una paurosa sconfitta.Nei libri di storia di Sempronia erano elencate accuratamente le malefatte dei Tiziani. Nei libri di storia di Tizia c’era il registro completo dei delitti dei Semproniani. Una bella confusione, vero? Però non e colpa mia. Le cose stavano cosi, tra quelle due repubbliche, e forse anche tra altre repubbliche che adesso non mi vengono in mente.

Al posto di Tizia e Sempronia mettete Russia e Ucraina (oppure Ucraina e Russia). Sono proprio loro che adesso, nonostante tutto,continuano a fare la guerra. Allora, se potete, regalate a ciascuna la pistola che fa solo pum / (o bang, se ha letto qualche fumetto)/ ma buchi non ne fa… / il cannoncino che spara / senza far tremare / nemmeno il tavolino… / il fuciletto ad aria / che talvolta per sbaglio / colpisce il bersaglio, / ma non farebbe male / né a una mosca né a un caporale… / Armi dell’allegria! / le altre, per piacere, / ma buttatele tutte via!”.

E nessuno faccia quel che ha fatto il professor Sospeso che per non dire «sì» o «no». / continua a far finta / di non essere lì…”.

E’ domenica. Spero sia anche una buona domenica.

LUCIANO COSTA

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