Indifferenza, restare indifferente, infischiandosene di qualunque cosa accada intorno: per molti è questa la vita: guardare e voltarsi dall’altra parte per non correre il rischio di scegliere con chi stare; ascoltare sproloqui-bugie-insulti–negazioni-alterazioni-lamentazioni e poi costruzioni e ricostruzioni di fatti senza neppure preoccuparsi di associarli alla verità, che sarebbe poi l’unica risorsa concessa agli umani per non essere considerati pifferai cantastorie buoni per tutte le stagioni meno quella degna d’essere vissuta. Ma, è davvero questo il modo migliore di vivere? E il vecchio adagio che recita e ribadisce che “la vita è bella”, resiste o è già stato sotterrato da dimenticanze affrettate-compiacenti-melliflue-bugiarde e da cumuli in rapidissima espansione di indifferenza?
Aumentano le connessioni e i modi di rapportarsi e poi quelli di comunicare, ma la teoria dell’uno vale uno, del pensiero unico dominante (ovviamente il proprio) è lì per dire che per esser tranquilli-quieti-cheti-sereni-addormentati e sazi basta non ammettere nel proprio circolo chi disturba o anche solo chi la pensa all’incontrario. Infatti, ciò che massimamente conta è restare indifferenti, è dire e ribadire “questo e quello per me pari sono”… “niente e così sia”… “a da passà a nuttata”… “e chi se ne frega”… “vaffa di qui e vaffa di là”… Perché in fondo, come cantava Califano, “tutto il resto è noia, noia, noia, maledetta noia”.
Va di moda essere e/o restare indifferenti (“più indifferenti siamo più allegri stiamo” mi ha detto lo sconosciuto al quale proponevo di non restare indifferente di fronte ai ragazzi che litigavano per conquistare lo spazio in cui piantare la loro personalissima bandiera). Così, nell’etere infinito viaggiano gli indifferenti e i non indifferenti, ma i primi schiacciano i secondi e lasciando ai terzi solo la possibilità dii piangersi inutilmente addosso… Però, restiamo tranquilli: la rivoluzione capace di mettere pace al posto della guerra, sempre annunciata e mai praticata, può attendere. Nel frattempo sfilano in ordine sparso russi e ucraini, ebrei e palestinesi, neri e bianchi, migranti e stanziali, ricchi e poveri, felici e infelici, tutti interessati a un dopo senza bombe, cannoni, insulti, ammazzamenti, prevaricazioni, offese, distinguo, separazioni, violenze e false promesse, tutti sempre e comunque sconosciuti in fila per ottenere ascolto, giustizia, pace, felicità eanche, ma forse soprattutto, misericordia…
Tutto questo mentre mille e mille canali radiotelevisivi, milioni e milioni di cellulari, miliardi e miliardi di parole (per lo più intrise con notizie interessate) affidate al vento che più accomoda e appaga, indirizzano altrove, fuori dalla mischia ma dentro l’indifferenza che sistematicamente elude la realtà e mette in mostra lo star bene da soli, alla faccia di chi immagina il mondo, questo mondo, fatto di “noi” e non di “io”. Insomma, prevale la parte peggiore della società. E l’etere liberato e consegnato agli umani è invaso da tutto che assomiglia a niente e da niente che diventa tutto. Così, si diffonde ed è prontamente messo in onda ogni trillo o parola che dal proprio balcone o via o piazza o vicolo o ufficio o pertugio o scranno viene profferita e proposta come emblema dell’essere e del divenire. Se bello brutto intelligente stupido imbecille o sapiente poco importa. Tanto, chi mai s’azzarderà ad alzare un dito per protestare se su tutto e tutti domina l’indifferenza? Dove tutto è avvolto dall’indifferenza non contano i sapienti portatori di bene e di ragioni utili al bene comune, conta soltanto che il proprio orto sia più verde di quello del vicino. Ancora una volta, tutto il resto è noia… Noioso (per tanti, ma certo non per tutti) è il Papa che parla incessantemente di pace e di giustizia; ridicoli ma ascoltati, invece, sono l’imbonitore o la imbonitrice (adesso mi pare si chiamino “influencer”,abilissimi mostri che mietono consensi sebbene propongano il nulla assoluto) impegnati a mettere on line quel che aiuta a restare indifferenti; acclamati sono i comici che dentro e fuori, sopra e sotto, a destra e a sinistra senza ovviamente trascurare il centro fanno invariabilmente ridere, piangere, disperare: ridere per l’assurdo che il frasario usato contiene; piangere per lo scempio prodotto da parole pronunciate per dileggio e per ottenere risate e applausi; disperare perché quel sbattere tutto ciò che accade nel frullatore della satira appiattisce i cervelli e impedisce alla ragione di fare il suo corso…
“Poi succede – ha scritto qualcuno sul muro della casa di fronte alla sua – che in momenti di convulsioni estreme, come quelle portate in dono dalle guerre, sentiamo di non poter rimanere indifferenti”. Se mi è permesso tradurre quel graffito, vuol dire che “avvertiamo in noi l’urgenza, forse anche l’obbligo morale, di adottare una posizione chiara e netta”. Anche e forse soprattutto che “l’incessante marea di informazioni e pareri che inonda la nostra coscienza, ci sollecita a costruire un quadro interpretativo per dare coerenza al caos circostante”. Come sia fatto questo quadro interpretativo, però, nessuno lo sa sebbene ognuno sappia che esiste… Però, “siamo pronti ad agire concretamente, ciascuno nel proprio campo di competenza (sia esso l’intellettuale, il giornalistico, il politico o altro) per far sì che la voce della ragione prevalga sul rumore del panico, della paura e dell’indifferenza che imperterriti dominano sul pubblico e sul privato?”. E, ancora, siamo pronti ad abbandonare la cosiddetta “democrazia dell’applauso” e far posto alla “semplice e verace democrazia” che rende uguali e liberi tutti allo stesso modo? Se ciò avvenisse, assisteremmo a quella che lo scrittore irlandese Colum McCann definiva narrazione della “nostra grande democrazia, quella cosa alla quale tutti abbiamo accesso, dove raccontiamo le nostre storie perché abbiamo bisogno di essere ascoltati, dove ascoltiamo storie perché abbiamo bisogno di appartenere, dove la narrazione travalica le frontiere, scavalca i confini, frantuma gli stereotipi e ci dà accesso alla piena fioritura del cuore umano”. Quando accadrà “niun lo sa”. Di sicuro non oggi, forse domani o chissà quando. Dipende dagli umori del tempo e dal tempo che regola gli umori. Forse anche da coloro che raccontano il tempo e gli umori del tempo: giornalisti, scrittori, affabulatori, notisti, commentatori,esperti, fondisti, presentatori, intrattenitori, moderatori (“parolai, niente altro che parolai” ha gridato stamani Mafalda di fronte altelevisore che proponeva morti su morti, violenze su violenze, bombe su bombe, palline da tennis su palloni da calcio, ballate televisive su ballerini/e incauti e mal in arnese, ristoranti stellati su ristoranti poco stellati o in attesa di esserlo, corse su corse, promesse politiche su promesse politiche… ) tutti impegnati a dimostrare che il male dell’indifferenza lo si cura mettendo buon cuore e giusto sentimento nelle azioni che si compiono…
A chi tocca fare tutto questo? Ovviamente “a noi”, magari incominciando da chi scrive, parla, commenta, informa, propone, spiega, ingarbuglia parole dimenticando che le parole non son fatte per ingarbugliare, ma piuttosto per rendere chiaro ciò che è torbido. Insomma, diceva Gigi, capo della redazione ai tempi in cui internet non regnava e la notizia bisognava scriverla e meditarla prima di pubblicarla, “se è sensazionale non sprecarla, pensaci ancora un giorno e poi raccontala”. Ricordo quando mi capitò di dirgli che era l’immediatezza a fare la differenza. Senza neppure distogliere lo sguardo dalle bozze che stava rivedendo, mi rispose: “Sì, ma per i gonzi, i tronfi e i vanitosi, quelli che cercano la prima pagina senza neppure chiedersi se e come ciò che hanno scritto risponde a verità, senza preoccuparsi dell’effetto che farà, di quali e quanti problemi provocherà”. Ho ripensato a Gigi e al suo suggerimento scritto sul foglio, che nessuno aveva l’autorizzazione di rimuovere, svolazzando in questi giorni tra canali televisivi, onde radiofoniche, pagine di giornali e riviste, chiacchiere di piazza-bar-salotto-supermercato e paradisi dello shopping dove tutto era un rincorrersi di parole e spifferi perfettamente fuori luogo, pieni soltanto di becero sensazionalismo.
Sentendo quella conduttrice e quel conduttore annunciare sensazionali rivelazioni in merito a fatti, misfatti, tradimenti, terremoti, matrimoni (veri, presunti, ipotetici, ridicoli come quelli organizzati per il sì (sic!) tra il cane della Gina e la cagnetta della Pippa), molestie, ruberie, mafie, mafiosi, palline rotolanti e tennisti brontolanti ma felici, calciatori prezzolati però lacrimosi e pure scommettitori, allenatori di ventura, nazionali di calcio allo sbando e calcio giocato in maniera talmente approssimativa che a guardarlo viene il latte alle ginocchia, quel foglio ingiallito messo da Gigi in bella evidenza m’è venuto voglia di prenderlo, stamparlo e imporlo come regola a chiunque abbia intenzione di scrivere sui giornali, profferire parole davanti a microfoni e telecamere, invadere l’aere con chiacchiere-chiacchierecci-pettegolezzi-confidenze-spifferi-bazzecole. Il fatto è che si usa il sensazionalismo come il sale, che è buono per tutti gli usi anche se, si sa, è notoriamente cattivo per le arterie, la pressione, il cuore, la mente, la forfora, il prurito e… Basta così. Però, chi più ne ha, più ne metta. Importante è non fare di tutte le erbe un fascio. Infatti, “se metti insieme erba medica e erba cipollina e poi lo dai da mangiare alla tua mucca – mi diceva il vecchio contadino – rischi di avere latte imbevibile”. Che la poltiglia assemblata per fare ascolto e stupire le masse ingenue e perciò spesso incapaci di discernere il vero dal falso e il buono dal cattivo, assomigli a quella che si ottiene dall’incrocio tra erba medica e erba cipollina è fuor di dubbio. Se tutto va bene, nell’uno come nell’altro caso, il latte resterà imbevibile. E di latte imbevibile è portatrice e divulgatrice l’indifferenza. Tutto ciò premesso, resta la solita domanda: “Come si esce dall’indifferenza?”. Mettendo il noi al posto dell’io, poi considerando il prossimo come e più di se stessi, magari traducendo quel “i care”, che don Milani insegnava ai ragazzi di Barbiana e che in tanti si sono premurati di scrivere sui muri, in “mi interessa, mi sta a cuore, faccio la mia parte”.
LUCIANO COSTA