Il Domenicale

La prevalenza del cretino e una cantata liberatrice…

Non è certo una novità: le faccende umane si trovano, per unanime consenso, in uno stato deplorevole. In effetti, come sostiene Carlo M. Cipolla “il pesante fardello di guai e miserie che gli essere umani devono sopportare, sia come individui che come membri di una società organizzata, è sostanzialmente il risultato del modo estremamente improbabile – addirittura stupido – in cui la vita fu organizzata sin dai sui inizi”. Tutta colpa di quella mela mangiata in spregio al divieto, poi la gelosia di Caino, la corsa alla riparazione senza accorgersi che, in realtà, il misfatto attuato aveva prodotto una nudità, naturale fino a quel momento, invece da allora vergognosa. Tutto stabilito e più o meno nella norma. Infatti, si sa, “tutte le specie animali, dal vermiciattolo all’elefante, devono sopportare la loro dose quotidiana di tribolazioni, timori, frustrazioni, pene e avversità…”. In più, gli esseri umani, così intelligenti da avere ben chiaro in testa il modo più congeniale per stare a galla inventando furbizie e furbate senza soluzione di continuità, “hanno il privilegio di doversi sobbarcare un peso aggiuntivo, una dose extra di tribolazioni quotidiane, causate da qualcuno (ma a volte proprio da loro stessi) che appartiene allo stesso genere umano”. Si dà il caso che questo gruppo sia assai potente, più potente di tutti i potenti allineati sulla terra. Però, non lo troverete mai organizzato. Infatti “è un gruppo non organizzato, non facente parte di alcun ordinamento, che non ha capo, né presidente, né statuto, ma che riesce tuttavia a operare in perfetta sintonia, come se fosse guidato da una mano invisibile, in modo tale che le attività di ciascun membro contribuiscono potentemente a rafforzare ed amplificare l’efficacia dell’attività di tutti gli altri membri…”. Che volto e stazza abbia questo gruppo non ve lo dico io e neppure ve lo dicono i zuzzurelloni che masticano quiz televisivi e radiofonici da mane a sera. Però, volendo, potreste scoprirlo. Basterà scavare nell’infinito mondo della stupidità e della cretineria, dove la prevalenza dello stupido o del cretino è tanto evidente da sembrare normale, e voilà, il gioco è fatto.

Questo perché la gara per conquistare il titolo di miglior trovatore del peggio è sempre aperta, mai conclusa, tuttora di moda. Ai concorrenti che vogliono partecipare alla singolar tenzone non sono richieste particolari abilità, è sufficiente abbiano dimestichezza col brutto, lo sporco e il cattivo. Tutti generi che non mancano, ma non è detto che solo di quelli si debba vivere. Il fatto è che siamo ormai allevati col naso proteso soltanto alle cose che non vanno. Le quali, per presentarsi, hanno sempre a disposizione palcoscenici spropositati. Ma, è davvero possibile che le uniche cose che meritano attenzioni e parole siano quelle brutte, sporche e cattive? Dove è scritto che il tanto di buono di cui disponiamo debba sempre rimanere confinato altrove, depositato tra le cose talmente ovvie da non meritare neppure un timido applauso? E poi, sulla base di quali regole vien data udienza ai cialtroni e ai disfattisti piuttosto che ai silenti e ai costruttori di bene?

Tranquilli: non è scritto da nessuna parte che il buono deve star fuori e non esistono regole che obbligano a ascoltare i cretini. Se qualcuno lo fa, è solo perché gli conviene circondarsi di fessacchiotti pronti a lodare e a sbrodolare e di fesserie buone per solleticare, piuttosto che di teste pensanti e, quindi, in grado di giudicare da sole.

Girate intorno lo sguardo e ne avrete conferma. Ieri, per esempio, m’è capitato di vedere gente normale e normalmente impegnata a fare turismo in una città che è certo tra le migliori del mondo, sfinire sotto la canicola per riuscire a incrociare il proprio indice col mignolo di quell’attrice famosa e fumosa, sicuramente bellona – insomma, bella la sua parte -, un misto straordinario di vacuità così variopinte da oscurare eventuali residui di pensieri posseduti e magari anche pensati. Altrove, neppure tanto lontano, c’era e l’ho visto, qualcuno che sbracava e smaniava per farsi un selfie col Pinco Pallino casualmente e temporaneamente prestato alla politica. Invece, non c’era anima viva accanto a quel sindaco che sebben sbeffeggiato dai cultori del menefreghismo da usare contro terzi sconosciuti, s’arrabattava per fare posto a quattro o sedici o trentadue disperati giunti fin dalle sue parti dopo aver subito le angherie e gli umori cattivi di umani e del mare stesso, tutti poveri in canna e tutti con l’unica certezza di essere ancora vivi. Però, stiamo sereni e allegri. C’è Infatti, come sostiene Elias Canetti, grande scrittore e pensatore di certo non affine a preci e incensi, “i poveri arriveranno in paradiso cinquecento anni prima dei ricchi e con le elemosine si acquista dai poveri un pezzo di paradiso”. Troppi sindaci, anche di casa nostra, continuano ad ignorare le sollecitazioni, fanno finta di niente, oppure ubbidiscono al solito capo che i disperati del mare non li digerisce proprio.

Eppure, le buone notizie non mancano. E qualche volta servirebbe una colonnina tutta dedicata al tanto di buono che si nasconde tra le pieghe dell’effimero quotidiano, qualcosa che serva non già a promuovere o commuovere, bensì a stimolare riflessioni, condivisioni, generosità, percorsi meditati piuttosto che gridati. Terreno pieno di insidie, ovviamente. Infatti, chiunque cerchi o abbia cercato di avventurarsi tra le sue pieghe col solo scopo di ragionare, alla fine ha dovuto fare i conti con risultati disastrosi. Tuttavia, anche di fronte alle sconcezze più evidenti, alle cretinerie più insistite, alle esibizioni prive di qualsivoglia intelletto, alle barzellette che non fanno ridere, ai contenitori pieni di niente, alle bagattelle da mercato, al chiacchiericcio pettegolo – più o meno l’enciclopedia del brutto, sporco e cattivo -, non manca mai un barlume di tenerissima speranza. Dove abiti non lo so, però non ho dubbi che cercando la si trova. Con quali risultati non si sa, ma che siano risultati positivi non c’è alcun dubbio.

Non sembra, oppure è evidentissimo, ma non ne posso più dei pressapochismi confezionati per giustificare rifiuti e inadempienze nei confronti dei soliti “disperati che vengono dal mare”. Sono tra i pochi o i tanti che li considerano una risorsa e vorrei che la forza che portano con sé fosse quel di più che li aiuta a diventare cittadini di un nuovo mondo. Però, amaramente, mi accorgo anche che intorno c’è il vuoto: giornalisti cialtroni raccontano più il rovescio che il dritto, commentatori improvvisati sostengono che “quei disperati” dovrebbero restare dove sono, tutt’al più aiutati, come non lo dicono, a vedere da lì la luce che stanno cercando, notizie arraffate-ingarbugliate, fasciate da perbenismo e mai esaustive, date perché la cronaca lo esige ma senza aggiungervi, che so?, un soffio d’anima in più…

Allora, anche stamani m i sono chiesto: meglio una notizia chiara e semplice, data con naturalezza, o è da preferire una notizia strisciata, proposta con ammiccamenti e risolini vari, messa lì quasi per dare l’impressione che nel quotidiano non c’è proprio nulla per cui valga la pena di consumare qualche briciola d’intelligenza? L’impressione è che noi, italico popolo insoddisfatto più o meno di tutto e di tutti, preferiamo le notizie astutamente e bellamente strisciate. Può dispiacere, ma è proprio così. D’altronde, la notizia “strisciata” non ha meriti e neppure demeriti. Non è parte di un’informazione doverosa e veritiera, quindi non ha obblighi, è uno spettacolo, dunque, come tale, deve solo fare in modo che qualunque cosa appaia sulla scena quotidiana – scandali, gaffe, voltafaccia, bugie, svolazzi, ghirigori, parole, eccetera – si trasformi in divertimento, sottolineato, se possibile, da rumorose risate, o almeno in una generale evasione dal reale. Le notizie “strisciate” non devono informare, ma soltanto proporsi (ogni giorno alla stessa ora perché l’utente-vedente deve essere certo che sono state pensate, confezionate e abbellite o abbruttite per lui) come “alter ego” di quelle confezionate dagli informatori di professione; non devono mantenere gli equilibri esigiti dall’imparzialità e dai sacri pilastri della correttezza, devono soltanto spettacolarizzare il fatto o il non fatto e ridicolizzare l’ovvietà contenuta e rappresentata dai soggetti che le compongono; non devono raccontare la quotidiana avventura del genere umano, ma soltanto attingere da essa tutto quel che serve per deviare l’intelletto dei telespettatori.

Siffatta notizia diventa così la raffigurazione più vera di una società, forse anche la nostra, che è malata, che non vuole pensare, che accetta qualsiasi cosa purché velata da sottintesi e risolini, che in politica va dal verde all’azzurro passando per il bianco e il rosso senza troppo dolersi, che si offende se la chiami pensionata, ma che vuole, fortissimamente vuole, la pensione, che ridicolizza i potenti quando esigono l’intervento del trucco per apparire più graditi agli italiani e alle italiane, ma li esalta se appena si esibiscono in vorticosi fuori onda. Siffatta notizia, infine, è la più idiota sublimazione del niente che diventa cronaca.

“La malinconia si alza ogni mattino un minuto prima di me – confida un autorevole commentatore – Per svegliarmi devo respingerla senza riguardo… Solo la leggerezza della vita può cacciare l’insondabile malinconia”. Cinquanta anni fa Bob Dylan compose una canzone, quasi un inno religioso, intitolata Forever Young, scritta inizialmente come ninna-nanna per il figlio più grande, in cui gli augura alcune belle fortune e chiude con questa preghiera: May your song always be sung (“Possa la tua canzone essere sempre cantata”). Stanotte ho scoperto che “la cantata, qualunque sia, accompagna il nascere e il morire”. Nella tribù Himba della Namibia, nell’Africa meridionale, ad esempio, “quando una donna decide di avere un figlio, la donna esce dal villaggio, si sistema e si riposa sotto un albero, e ascolta finché non sente il canto del bambino che vuole nascere. E dopo aver sentito il canto di questo bambino, torna dall’uomo che sarà il padre del bambino per insegnargli quel canto. E poi, quando fanno l’amore per concepire fisicamente il bambino, cantano la sua canzone, per invitarlo. Quando la madre è incinta, insegna questo canto alle levatrici e alle anziane del villaggio. Così, quando nasce il bambino, le vecchiette e le persone intorno a lui cantano la sua canzone per dargli il benvenuto. Man mano che il fanciullo cresce, gli altri abitanti del villaggio imparano la sua canzone. Quindi se il bambino cade, o si fa male, trova sempre qualcuno che lo rialzi e gli canti la sua canzone. Allo stesso modo, se fa qualcosa di meraviglioso, o passa con successo attraverso i riti di passaggio, la gente del villaggio canta la sua canzone per onorarlo. Non solo onori, ci sono anche le ombre. Anche lì serve la canzone. Se, in qualsiasi momento della sua vita, la persona commette un crimine o un atto sociale aberrante, l’individuo viene chiamato al centro del villaggio e le persone della comunità formano un cerchio intorno a lui. Poi cantano la sua canzone. La tribù riconosce che la correzione del comportamento antisociale non passa attraverso la punizione, ma attraverso l’amore e il ricordo dell’identità. Quando riconosci la tua canzone, non vuoi o non devi fare nulla che possa danneggiare l’altro. E infine, quando, invecchiando, quest’uomo giace nel suo letto, pronto a morire, tutti gli abitanti del villaggio conoscono la sua canzone e la cantano, per l’ultima volta”.

Cantiamo canzonette unte e bisunte, non cantiamo invece la canzone che racchiude i tempi della vita, quelli che se ben usati cambierebbero il corso del tempo e la storia stessa. Però, ho ascoltato ieri l’inizio di una canzone promettente. Dice: “Che Dio ti benedica e ti protegga sempre / Possano tutti i tuoi desideri diventare realtà / Che tu possa fare sempre per gli altri / E lascia che gli altri facciano per te / Possa tu costruire una scala verso le stelle / E salire su ogni gradino / Possa tu rimanere per sempre giovane / Possa tu crescere per essere giusto / Possa tu crescere per essere vero / Possa tu sapere sempre la verità / E guarda la luce che ti circonda / Sii sempre coraggioso / Stai in piedi e sii forte…”.

Se così fosse, la prevalenza del cretino e dello stupido sarebbe l’eccezione e non la norma, buona per dimostrare che altrove, appena più in là, ci sono persone che non sono cretine e neppure stupide… Insomma, che sono buone, sincere, generose. Giusto quelle che servono per cambiare il mondo.

LUCIANO COSTA

Altri articoli
Il Domenicale

Potrebbero interessarti anche