Il Domenicale

La stupida guerra e i suoi stupidi commentatori

Eccomi, sono l’imbecille che in mille mille mille e ancora mille esperti (di fumo diffuso per nascondere e confondere; di balle imbellettate e finemente ornate per apparire degne i rispetto e lode; di qualcosa che è parente stretto del niente…), tutti convocati e certamente pagati per dare lustro e contenuto ai salotti mediatici allestiti attorno alla nuova-ennesima-cruente-stupida guerra scatenata da terroristi che di palestinese (aggettivo buono per significare la provenienza e, forse, per dire che anche la loro è “Terra Santa”) hanno solo le sembianze essendo evidente che ubbidiscono solo al male assoluto. Ovviamente, in questi nuovi salotti, non c’è posto per la vecchia guerra, quella scatenata dalla potentissima Russia contro la piccola Ucraina, che può attendere senza perdere i suoi sinistri connotati. Vale a dire: “Non essendo ancora visibile chi possa fermarla, può impunemente restare dov’è, sicura di non perdere interesse, pronta a rientrare in scena quando l’umana stupidità vorrà o crederà opportuno rimetterla al centro delle attenzioni.

Così, purtroppo, vanno le cose. E noi che assistiamo siamo classificati, se va bene come occasionali turisti, se va male come cercatori di emozioni insolite. “Oggi -mi ha con fidato l’amico che il sabato, affacciandosi al mercato spera sempre di incontrare qualcuno che gli presenti finalmente un mondo alla rovescia – sono più stupido e più matto di ieri. Infatti, dopo notti di immagini sempre uguali – uguali e macabre come solo la guerra può offrire – non so più se sono di qua o di là del portone che segna il confine tra chi è pazzo e chi non lo è”. Per consolarlo gli ho ricordato quel che un matto vero mi aveva a suo tempo (tanto tempo fa) insegnato proponendomi di leggere la poesia che raccontando i cancelli chiusi che circondavano la sua esistenza, poeticamente raccomandava di non calpestare le aiuole e giornalisticamente di prendere coscienza del fatto che il nome della residenza riservata ai malati o deboli di mente — manicomio – era scritto (forse) per stabilire il confine tra matti e non matti o, magari, per suggerire che i matti veri fossero quelli che stavano fuori e non  dentro…

In effetti, per restare tal quali a spettatori muti davanti alla guerra non basta avere l’impressione di essere fuori di testa (primo sintomo di imminente pazzia) ma semmai di essere già dentro, simili ai due predoni che, secondo il sommo Dante “fecero a le strade tanta guerra”, al girone infernale riservato ai pazzi certificati. Però, adesso, non ho certezza di appartenere al cosiddetto genere umano che ragiona e ragionando immagina possibile vivere, tutti insieme, in pace. Sono cioè, più o meno, un ebete (benevolmente vorrebbe dire spuntato; meno benevolmente ottuso; per nulla benevolmente rimbambito, ovvero tonto, inebetito, imbecille, idiota, stupido, rimbecillito, deficiente, babbeo, scemo, cretino e quant’altro mente umana e vocabolario possono immaginare. Il Vate (D’Annunzio, chi altro?) direbbe che tipi come me, “vittime di una specie di stupore incantato che temporaneamente offusca la mente, son presi da una specie di ebetudine che gli occupa il cervello”. E se fosse invece vero il contrario? Se cioè fosse vero che l’offuscamento del cervello riguarda guerrafondai e affini?

Ieri quel sommo illuso che si chiama Francesco, che per chissà quale grazia (per qualcuno solo per sua disgrazia) è anche Papa, ha lanciato un appello che chiede a noi e a chiunque sia orientato al bene di “coltivare cuori ricchi di cattolicità, cioè desiderosi di universalità e di unità, di incontro e di comunione” che significa “diffondere la mentalità della vicinanza”, parola-chiave se si vuole dare cionbcretezza “alla mentalità della cura e dell’accoglienza” queste sì capaci di far crescere nel mondo, secondo lo spirito suggerito da papa Paolo VI, la “civiltà dell’amore”. Sempre ieri ho visto in libreria un piccolo-grande volume che racchiude domande e risposte fatte dai bambini al Papa. Dario, un ragazzino spagnolo di soli nove anni, chiede al Papa: “Perché ci sono le guerre?”. E Francesco, il Papa, risponde: “Perché quando si diventa adulti si rischia di cadere nella tentazione di diventare egoisti, e di volere così il potere e i soldi; e questo anche a costo di fare la guerra contro qualche altro Paese che è un ostacolo a questo obiettivo di potenza, oppure che ha un capo con gli stessi scopi”; tutto questo “sapendo che significa uccidere altre persone” perché “troppo spesso, nella storia, chi è diventato capo di una nazione non ha saputo frenare il suo desiderio di essere il più forte di tutti, di comandare il mondo”; oggi nel pianeta che ci ospita “ci sono tante guerre e violenze, e anche se c’è chi dice che a volte sono giuste, non ho dubbi che capirete che invece sono sempre sbagliate: sì, le guerre sono sempre sbagliate”. Una bimba di Panamà, Isabela, ha invece chiesto al Papa “se un giorno si arriverà alla pace in tutto il mondo e come si possa fare per raggiungerla”. Francesco le ha spiegato che non bisogna rassegnarsi, perché “la pace è possibile, è raggiungibile coltivando la speranza che prima o poi i cosiddetti grandi capiranno che in un mondo completamente in pace si vive tutti meglio. Ma per sperimentarlo e viverlo occorre che tutti si impegnino a posare le armi, a disinnescare la violenza, a non provocare tensioni e scontri, a sradicare dal proprio cuore la voglia di prevaricare sull’altro, la sete di dominio e di denaro… E tutto diventerà realtà se nei nostri cuori resterà solo amore per il prossimo, cioè per le persone che ci sono vicine e lontane, in particolare quelle che soffrono o sono in difficoltà. E se questo toccasse e valesse anche per i capi delle nazioni e per tutti gli abitanti della terra ci sarebbe meno aggressività e anche meno paura: saremmo tutti più sereni, contenti, sicuri che l’amore sconfigge la guerra e rende felici”.

All’alba, proveniente da una casa vicina ho risentito la canzone della pace, quella intitolata “Evenu shalom alehem”, che non è il saluto dei primi cristiani, ma l’antichissimo saluto ebraico che tradotto significa “la pace sia con voi” o, meglio, “portiamo pace su di voi”. Ricordo che un tempo, neppure tanto lontano, questa canzone era abitudine e modo per significare l’augurio di trovare la pace mentre i fedeli erano invitati a partecipare alla Comunione. Poi, chissà perché, l’oblio. Eppure diceva: “Evenu shalom alehem… E sia la pace con noi… And the peace be with us…
Et la paix soit avec nous… Y sea la paz con nosotros… Diciamo pace al mondo, cantiamo pace al mondo, la nostra vita sia gioiosa, ed il saluto, pace, giunga fino a voi…”. E se provassimo a ricantarla questa canzone, magari collocandola dove era, cioè nello spazio della Comunione?

Ahimè, conservo però dubbi sulla volontà di dare alla gente che arrivata in chiesa per partecipare alla Messa quel che non si aspetta, più o meno uno schiaffo che la svegli dal torpore e la induca a interrogarsi sul suo apporto o non apporto dato alla ricerca della pace. Insieme a Bennato “non ebbi dubbi solo sul rock’n’roll… Abbi dei dubbi tu, dei dubbi seri, che chi
dubbi non ne ha, chissà cosa farà, se nessuna verità è poi così sicura, non fartene un problema, non abbi dubbi solo sul rock’n’roll…”.

Non invece dubbi sulla capacità di giornali e media di ricamare parole attorno al dramma della nuova guerra. Come ha scritto Umberto Folena, a questo assurdo racconto “manca un centro di gravità, manca un minimo comun denominatore, qualcosa su cui tutti, ma proprio tutti, possano convergere”. Così, il conflitto in Medio Oriente fa emergere orientamenti i più distanti tra loro. Si è di fronte, annota il “Corriere”, a uno snodo storico. E l’attacco di Hamas segna un punto di non ritorno nel conflitto israelo-palestinese; e gli attacchi alle democrazie e alla democrazia si moltiplicano dicendo che siamo di fronte a un’ulteriore spinta al vortice dell’odio”, che “non è vero che hanno tutti ragione, hanno tutti torto. E i soli che hanno ragione (i pacifici e i riflessivi delle due parti) sono fuori gioco da anni, impotenti, zittiti, esclusi”.

Resto l’imbecille di cui all’inizio, però riesco a pensare che è tempo di smetterla dì essere ebeti per diventare coraggiosi testimoni della Pace. È possibile? Forse sì…

LUCIANO COSTA

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