Nonostante tutto, sì proprio nonostante tutto quel che accade e che deturpa tormenta intristisce avvilisce inaridisce questo nostrodeturpato tormentato intristito avvilito inaridito presente, nonostante tutto, dicevo, è Natale. Però, di quale Natale parliamo?Quello che del presepio all’antica – capanna, bimbo riscaldato da un bue e un asino, con Maria e Giuseppe che assistono forse senza comprendere, coi pastori che vanno e vengono sotto gli occhi vigili di una stella cometa mandata a rischiarare la notte e a guidare gli erranti verso il luogo in cui è nato il Salvatore? O quello tutto ninnoli regali auguri vacanza dolci prelibatezze vino prezioso squarci di buonismo appiccicati all’albero verso il quale nessuno o pochi tendono mani sguardi e cuori? O quell’altro che c’è ma e come non ci fosse, che tanto la guerra continua il suo corso e le parole sono sostituite dalle bombe, gli auguri confezionati in carta d’odio e sopruso? O invece quello che annuncia Pace e concordia, che chiama le folle a misurarsi col mistero di un Bimbo nato a Betlemme, chiamato il Salvatore, che il mondo attendeva?
Appunto, di quale Natale parliamo se poi ciascuno ne pretende uno fatto a sua perfetta e unica somiglianza… Forse, ma solo forse, di quello annunciato da un ragazzino dicendo “è Natale perché nasce Gesù”. Una festa, la Festa della Natività, quasi scomparsa dall’immaginario natalizio commerciale, ma presente nelle chiese, nelle case di molti e in non tutte le scuole, assai di rado oltre questi confini, benché da qualche parte resta di sicuro un posto piccolo–piccolo per il presepio: roba cristiana, più fuori che dentro il vissuto quotidiano. Una festa, ma una Festa messa all’angolo, forse per non dare fastidio, storia dei due pellegrini – Giuseppe e Maria – che non trovavano un tetto e poi accolti in una stalla, una storia vera, ma continuamente messa in dubbio e,quindi, trattata come se fosse nulla più di un’ingenua fiaba.Invece, per tanti tantissimi abitanti di questa terra intristita, è e rimane così terribilmente attuale quella coppia di migranti soli nella notte e nel freddo, che nessuno accoglie. Si chiamavano Giuseppe e Maria… Si chiamano ancora adesso Giuseppe e Maria, però adesso non camminano verso Betlemme, ma verso terre e genti sconosciute, forse disposte ad accoglierli, oppure pronte per dire “andate via, qui non c’è posto”.
Se volete la rappresentazione di tutto questo, guardate il presepio, uno qualsiasi, magari quello costruito dai bambini, messo insieme nei giorni dell’attesa e pronto per essere offerto allo sguardo di parenti, amici e curiosi. Niente di particolare: la capanna, sullo sfondo di un cielo stellato; una collina contrappuntata da casette, agnelli, anitre, oche, un mulino, un ponte a cavallo di un torrente, e… personaggi. Quanti personaggi! Uomini, donne, bimbi, pastori, operai… E uno di questi personaggi mi è sembrato strano, mai visto in nessun presepio, un viandante di quel tempo, un turista di oggi… Perché i bimbi avessero messo lì quel personaggio non ho saputo spiegarmelo così d’un subito. C’è voluto il maschietto più alto: “Questo – disse – è un turista di passaggio!”, un turista, un forestiero in cerca di emozioni… E i ragazzini, quel turista, l’avevano messo nel presepio per chiedere a me e a chiunquevolgesse lo sguardo al loro presepio: “Chi siete, cosa volete, cosa cercate?”. Anche per ammonire me e chiunque si fermasse a guardare, di non essere turisti per caso e neppure pastori dormienti… Infatti, Betlemme e tutte le altre Betlemme sparse per il mondo, non hanno bisogno di turisti per caso e di pastori dormienti, ma di visitatori disposti a vivere per far vivere e di pastori svegli e anche loro pronti a portare per il mondo la certezza della Pace, di quella Pace annunciata, per loro e per noi, nel Cielo di Betlemme in una notte piena di stelle e di speranze.
Solo e sempre utopie? Dipende da che tipo di Nataleimmaginiamo e vogliamo vivere. “
“Effimero eccesso di luci
per occhi in cerca di sole
ormai spento
nel buio di cuori
da paure avvolti
mestizia non vince
con flebili tracce
di fulgidi tempi passati
da Luce pervasi
che menti vedevano
ricolma di Vita
attesa da sempre
nel nome dal cielo donata
a Betlemme
Gesù”.
In questa poesia – non semplice, non facile, non scritta per turistioccasionali o per pastori dormienti – c’è il Natale 2024. Scritta da don Giacomo Canobbio per essere augurio e occasione di pensieri pensati, la poesia non ammette disimpegni e fughe… Infatti, dicendo che “la Luce diventa carne senza perdere la sua forza trasformatrice”, chiede che “gli occhi del cuore la sappiano riconoscere anche nelle opacità della storia”. Gli occhi del cuore, gli unici che consentono di vedere cieli e terre nuovi.
LUCIANO COSTA