C’è il presepio che è tutto un movimento, ma anche quello che aggrappato alla credenza se ne sta immobile come segno di devozione e di affetto al Bimbo appena nato e destinato a scompigliare il comunissimo quieto e spensierato vivere; c’è ilpresepio artisticamente pensato e realizzato, ma anche quello di strada con sassi e legni messi uno sull’altro per dare l’idea che di case e capanne capaci di ospitare chi cerca un posto in cui fermarsi per riposare e dare nuova luce alla speranza che conserva in tasca; c’è il sacro e monumentale presepio, ma anche quello che non possedendo alcunché di sacro pone l’eterna e irrisolta domanda: ma davvero è tutto vero quel che è accaduto a Betlemme appena duemila e passa anni fa? Quado lo chiesi a mia madre mi rispose che certe cose le avrei imparate da solo; quando la stessa domanda la proposi alla maestra di turno, invece di una risposta precisa ed esaustiva, fui invitato a far tesoro di ciò che era scritto nei libri…
Poi, come un qualsiasi e assai improbabile Dante che nel mezzo del cammin di sua vita si ritrovò per una selva oscura, la risposta la cercai errando per strade spesso conosciute ma incredibilmente ospitali… Su una di queste, accanto a una miserissima capanna, una donna quasi centenaria ma ancora ferma e dritta sulle gambe, mostrandomi il suo presepio (quattro sassi ammucchiati attorno a un batufolo di fieno su cui dormiva un fagotto di stracci che per lei era il Bimbo di Betlemme) mi invitò a far tesoro di quel che i vecchi riuniti attorno all’albero del pane raccontavano quando il sole se ne andava per lasciar posto alla luna. “Quei vecchi illusi – mi disse la quasi centenaria donna della capanna – senza alcun timore d’essere fraintesi o smentiti, dicono che sole, luna e stelle sono fatti apposta per cantare la gloria del Bimbo nato a Betlemme e anche per illuminare la strada di chi voglia andare a incontrarlo…”.
Quando mi capitò di chiedere al filosofo Emanuele Severino (un arrabbiato che strada facendo divenne assertore convinto della bontà del fuoco capace di generare cenere distribuendo calore e luce ovunque venisse acceso) se e come fosse possibile credere all’esistenza di un Bimbo mandato da chissà quale Dio a salvare il mondo, mi ritrovai di nuovo nel in quella solita e dantesca selva oscura in cui il filosofo amico mi invitava a guardare l’Essente senza porre limiti al dubbio o alla convenienza… Allora, da perfetto ignorante, gli chiesi: “Ma, chi è l’Essente?”. Lo squillo improvviso e improvvido del telefono gli impedì la risposta. Però, salutandomi, mi disse che l’Essente dovevo cercarlo da solo,“perché egli viene, c’è ed esiste solo se attorno alla tua ricerca metti anche un tanto di improbabile e d’imponderabile, per esempio un tanto di fede autenticamente genuina…”.
Basta, deve bastare o ancora è necessario aggiungere e poi ancora aggiungere teorie, fede e mistero, lezioni ascoltate o ancora da ascoltare? Nella notte che s’è appena dissolta lasciando spazio alla festa che si chiama Natale, uno sconosciuto mi ha mandato a dire che “il Bimbo di Betlemme non è nato a Betlemme ma in tante altre Betlemme senza nome e senza diritto d’esistere…”. Così, anche oggi, nelle tante Betlemme del mondo, ci sono i bambini che ci guardano e ci interrogano. Perché oggi Betlemme “è non solo in Palestina ma anche in Ucraina, dove i bambini stanno perdendo il sorriso (che è la firma inconfondibile dell’infanzia); nel Mediterraneo, dove ogni giorno bambini nascono e muoiono tra i flutti di un mare non culla ma cimitero, ma anche nello Yemen come in Siria, in Iran come nel Myamar, in Nigeria come nel Sud Sudan… decine e decine di luoghi teatri di conflitti, che in Occidente si tende a rimuovere, dove ci sono bambini che invece di essere accolti, invece di rappresentare il futuro e la speranza, mostrano con la loro carne ferita o uccisa tutta l’assurdità di un presente fatto di violenza, di chiusura e di rifiuto…”.
Poi, improvvisa, ecco la canzone di Eros Ramazzotti (forse un sognatore o forse soltanto cantore di un presente ancora da inventare), che diffusa da una sconosciuta radio notturna, viene a dirmi che…
La notte vista da qui sembra bellissima. / Stelle che accendono il blu, quanta luce c’è. / Echi di un Alleluja che non si spengono mai/. Oggi è un giorno speciale, è Natale ed è sempre così. / Dimmi perché / è Natale ma pace non c’è. / “Buon Natale” ma il senso qual è? / Un saluto formale non è / come amare: quanti sogni fanno gli uomini / che in un giorno vanno via. / “Buon Natale” se vuoi, quello vero che è / dentro di noi… / La neve che cade qui mi sembra candida, / ma nel silenzio che fa c’è una guerra / in ogni terra a metà / che nessuno mai salverà. / Anche un giorno speciale fa male e tregua non ha. / Dimmi perché / è Natale ma pace non c’è. / “Buon Natale”, ma il senso qual è? / Una frase formale non è. / Un pensiero che vale perché c’è un Natale se vuoi/ ma può nascere solo da noi, dentro di noi. / Stella cometa sarai, stella purissima / se dall’alto dei cieli un bel giorno la pace vedrai/ Dimmi perché / è Natale ma pace non c’è. / “Buon Natale”, ma il senso qual è? / Due parole da dire perché è normale. / Crescerà un enorme albero quando finirà questa follia. / Un Natale verrà e per sempre ci cambierà, / ci cambierà, ci cambierà”.
Eppure anche adesso, almeno secondo quel che scrive MatteoZuppi, prete-cardinale a cui non difetta quel mite sentire di strada affollata da poveri in cerca di futuro, “Natale è molto più buono di quanto pensiamo! E soprattutto è davvero buono, tutt’altro che una melassa di sentimenti a poco prezzo. Certo, è buono perché ispira gratuità, induce a donare, a preparare regali e a scoprire che siamo contenti di prepararli per le persone che amiamo o che vogliamo sentano il nostro amore. Indicazione valida tutto l’anno! Ma è ancora più buono se pensiamo che il nucleo incandescente di questa irradiazione di affetti che riscalda il cuore del mondo a Natale, è il grembo di una ragazza che ha offerto tutto l’amore di Donna che aveva per dare alla luce il Figlio di Dio…”. Natale… “Ecco il Natale: la pace che disarma i cuori, l’amore che dona forza e intelligenza, la speranza che libera dalla rassegnazione e mette in cammino...”.
Basta e avanza, o manca ancora quel tanto di attuale che fa dire a tanti che non è proprio il caso di prestare ascolto agli imbecilli che attorno al Natale imbastiscono storielle per far credere l’incredibile? Ecco, di nuovo gli imbecilli, quelli che con me credono e sperano Natale. Ritorno allora alla storiella raccontata dal mio amico don Giovanni, quella che metteva in relazione l’imbecillità con il potere del diavolo. “Un tempo – raccontava il prete della montagna -, al mio paese c’era un prete che la sapeva lunga non solo su Dio ma anche sul diavolo. Mi par ancor di sentirlo, col suo vocione, spiegare a dottrina i vari comportamenti del diavolo. Insisteva molto sul fatto che gli imbecilli avevano meno tentazioni che non gli intelligenti. Aveva persino il coraggio di dire che il tale stupido non era mai tentato. Ora, che è passato molto tempo e che il vecchio prete è morto, mi sembra di poter seppellire con lui anche il suo principio. Infatti i nostri tempi forniscono esperienze che confutano questo principio. I fatti vicini a noi tendono a dimostrare che il diavolo s’impossessa degli imbecilli e li usa per seminare il male. E questo fatto lo si nota in tutti i campi: negli spettacoli, nella politica, nei vari poteri. Là dove c’è un imbecille da manovrare il diavolo fa miracoli. Ecco perché oggi gli imbecilli hanno preso quota ed emergono. Agiscono per delega del demonio e riescono a brillare. Perché son tanto cambiati i tempi? Forse perché il diavolo non trova più persone intelligenti oppure perché gli intelligenti resistevano meglio alle tentazioni. Non ho ancora risposto”.
Neppure io ho risposto e ho risposte da offrire.
Però, nonostante tutto, è Natale…
LUCIANO COSTA