Il Domenicale

Noia, ignoranza, pressapochismo, poi la clemenza che pacifica…

Noiuccia o noiaccia?  Fate voi. Il primo è un termine usato come diminutivo, il secondo, invece, è solo spregiativo. Però, entrambi sono roba d’altri tempi. Adesso si dice noia e si intende uno stato di disinteresse assoluto, ma non definitivo e irreparabile. Infatti, leggo che esisterebbe una “noia creativa”, cioè utile a cambiare il corso delle cose. Questione di metodo: se ti abbandoni al suo abbraccio, se già bel e fritto; se invece la usi come spinta a guardare oltre il giaciglio che ti sei costruito intorno, allora diventa spinta verso vette impensate. In verità, dice il vocabolario, noia è “senso di insoddisfazione, di fastidio, di tristezza, che proviene o dalla mancanza di attività e dall’ozio o dal sentirsi occupato in cosa monotona, contraria alla propria inclinazione, tale da apparire inutile e vana”

Grazie al vocabolario (però quello parallelo, che di un nome offre sinonimi e contrari) ho anche scoperto che per dire noia si possono usare ben diciannove vocaboli diversi uno dall’altro, ma tutti indicanti la medesima cosa (monotonia, tedio, uggia, barba, disagio esistenziale, nausea, fastidio, molestia, disappunto, disgusto, irritazione, insofferenza, problema, seccatura, grana, contrattempo, rogna, scocciatura, grattacapo), mentre per dire il contrario ne bastano due (allegria, benessere). Tra vecchi libri ho invece scoperto che un noto scrittore di noie fu il poeta cremonese Gherardo Patecchio (vissuto tra 12° e il 13° secolo): una delle sue storie, se è vera la ricostruzione fatta da alcuni studiosi suoi conterranei, esalta la noia come musa ispiratrice di conquiste impensabili, ovviamente se ben usata e mai trasandata da costumi melliflui e da una morale incerta. Il che vuol dire, se ho ben compresa l’antifona, che si può far posto alla noia quando essa sia compagna cortese e non pattume sgradevole da sopportare. Insomma, godila ma non troppo, che altrimenti lei ti divora…

In tempi più recenti Gillo Dorfles, fine conoscitore della lingua italiana, ha scritto che “nonualcosa che dobbiamo avere paura della noia. E non dobbiamo confonderla con alcune patologie della psiche, come la depressione, la malinconia, la mancanza di desideri. Perché, parola di Dorfles, la noia è vitale”. E per di più, aiuta a pensare. Teresa Belton (scienziata inglese che ha studiato gli effetti della noia sull’attività umana) sostiene che la noia è “la culla della fantasia”. Infatti, dice la scienziata, “la noia è sinonimo di intelligenza, perché aiuta a riflettere, a coltivare dubbi, a non arroccarsi nelle proprie convinzioni; coltivare la noiacome stato di abbandono di se stessi, non significa essere noiosi; la noia aiuta i bambini a crescere non pressati dall’ansia di prestazioni e da una fitta agenda di impegni decisi da genitori elicottero”. Per il veterano Gillo Dorfles (che scriveva della noia appena prima di salutare definitivamente la compagnia, alla bella età di 107 anni) “annoiandosi l’uomo si libera dalle ossessioni del presentismo, abbandona il pensiero a una circolarità creativa, non ha il limite di una scadenza, di uno stress, di una compulsione legata al quotidiano. Quindi, la noia riesce anche ad allungare la vita. Infatti, più siamo creativi, più siamo liberi di espandere sentimenti e pensieri, più il nostro cervello ci accompagna e ci illumina nel buio dell’età che avanza”. Se tanto mi dà tanto, è il caso di annoiarsi come e quando è necessario. O no?

Giacomo Leopardi, grande poeta, non so bene perché e per come, sostiene che “la noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani. Non che io creda – spiega il letterato in “Pensieri” – che dall’esame di tale sentimento nascano quelle conseguenze che molti filosofi hanno stimato, ma nondimeno il non potere essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla terra intera; considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole maravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l’universo infinito, e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo; e sempre accusare le cose d’insufficienza e di nullità, e patire mancamento e voto, e però noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana. Perciò la noia è poco nota agli uomini di nessun momento, e pochissimo o nulla agli altri animali”.

Nel mio ambito, fatto di strade, casa, redazioni, librerie, trani, trattorie, mercato sabatino e domenicali scritti con la presunzione di aggiungere grani di sapere al già saputo, ho scoperto che la noia, adesso, è il risultato prodotto dalla ripetitività: covid, covid, covid; vaccini, vaccini, vaccini; crisi, crisi, crisi; inflazione, inflazione, inflazione; benzina e gas cari, cari, cari; bollette salate, salate, salate; poveri sempre più poveri, poveri, poveri; ricchi sempre più ricchi, ricchi, ricchi; vacanze per pochi, pochi, pochi; problemi per tanti, tanti, tanti; governo che fa e disfa, fa e disfa, fa e disfa; politica dormiente, dormiente, dormiente; politicanti parolai, parolai, parolai; guerra qui e là ma sempre guerra, guerra, guerra;  invasori travestiti da poveri migranti, migranti, migranti; televisione (e suo variopinto universo) vieppiù banale, banale, banale… Ho anche scoperto che cinque su dieci esseri indefiniti ma di certo abitanti le mie e vostre contrade, al primo sentore di notizie riguardanti guerre, migranti, governo, politica, politicanti e affini, si volta dall’altra parte e cerca quisquiglie, di qualunque foggia, utili a distrarsi. Ieri, al solito salotto allestito a fianco del solito mercato e partecipato da gente diversa ma comunque non avulsa dalla realtà, è emersa chiara e lampante l’ignoranza su fatti e accadimenti che stanno cambiando la nostra esistenza: dalla guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina al rogo acceso da Hamas in Medio Oriente contro Israele e il suo diritto a esistere; dall’inutilità dell’ONU in fatto di appianamento delle controversie mondiali (inutilità evidenziata da lavarsi le mani di pilatesca memoria) ai furbastri del distinguo e dell’utilitarismo (chi sono ognun lo sa, ma ove siano niun lo rivela). Dal medesimo assembramento (chiamarlo simposio mi sembrerebbe esagerato) è emersa un’evidenza incontrovertibile: dobbiamo schierarci, sempre, senza se e senza ma. Ma come si fa? Sto con Israele dopo la mattanza subita da Hamas il 7 ottobre scorso con civili ragazzi donne e uomini inermi riuniti nel kibbuttz per un concerto, sgozzati e ammazzati senza concedere nulla alla ragione e alla pietà… Sto coi palestinesi, che non sono di Hamas ma profughi in cerca di terra in cui dimorare… Però, in Medio Oriente, adesso, in questa nuova guerra, riconoscere che c’è un aggredito e un aggressore e ragionare sulle cause, è pressoché impossibile… Infatti, nel teatrino dell’informazione, al fianco dei soliti quadristi da salotto tv, si affacciano e accomodano fior di nuovi, dottissimi opinionisti… Ma sono vuoti; e insignificanti sono le loro parole da loro pronunciate. E un qualsiasi commentatore legge qualcosa e già si sente autorizzato a proporti la sua visione e intuizione del mondo…

Con Mattia Feltri ho letto, su “Le Monde”, quel che Sylvie Kauffmann scrive a proposito del ritorno della forza bruta contro civili e del tracollo del diritto bellico in Ucraina, poi nel Nagorno Karabakh e ancora in Israele. Dice: il mondo contemporaneo ha tolto ogni confine alla ferocia (il dubbio è che non sia però un’esclusiva del mondo contemporaneo). La seconda guerra mondiale fu una dichiarazione di guerra del nazismo ai diritti umani e per vincerla Hitler distrusse l’Italia, le città tedesche, il mondo intero… Ma il nazismo andava sconfitto e adesso va sconfitta Hamas. Ma alla fine l’Occidente dovette chiedersi se era stato all’altezza delle sue ambizioni morali… E dovette rispondere di no. Allora sancì il diritto dei popoli di non essere strumento o vittima mirata degli eserciti… Ma da allora ci sono state altre guerre in Vietnam, in Afghanistan nei Balcani e altrove: qualcuno può affermare che lì i popoli non sono stati affamati, bombardati, sterminati?

Ieri ho vestito l’abito da cronista e sono andato in piazza a vedere i giovani sventolare la loro verità su palestinesi ed ebrei. Non portavo bandiere e insegne, così un giovanotto è venuto a chiedermi da che parte stavo. Gli ho risposto che non era questione di parte ma di compassione. Mi ha guardato storto e mi ha invitato ad andare altrove, che lì non avevano bisogno di vecchi compassionevoli e buonisti. Sono rimasto per chiedergli se conosceva il senso delle parole che lui e la piazza stavano pronunciando. Ma, girato lo sguardo, lui era svanito nel nulla, assorbito dalla manifestazione pro-Palestina e contro Israele, Paese inesorabilmente appaiato al nazismo… Non mi va di confutare e neppure di impartire lezioni. “Mi sta bene – ha scritto un corsivista intelligente – vivere qui e adesso, dove le manifestazioni hanno diritto di cittadinanza, e vale per le più discutibili e le più odiose…”. Libertà di opinione? Ma dai, essa ahimè, ha senso soprattutto quando tutela le peggiori, “poiché è scontato che le migliori si tutelano da sé…”. Infatti, tappare la bocca a chi esprime idee insensate o persino orrende non è mai servito a niente, ancor meno oggi che queste idee girano comunque”. C’è sempre un microfono aperto che le raccoglie e le amplifica senza neppure porre un velo che le riduca a quel che sono, cioè menzogne, che le qualifichi per quel che sono, cioè spazzatura. Dicono Pierluigi Battista e Mattia Feltri che è “meglio sentirli parlare, sentirli urlare che Israele è come il nazismo, perché noi vogliamo sapere precisamente chi abbiamo davanti”.

Seguono domande inquietanti: perché la mattanza di bambini e adolescenti israeliani non ha suscitato un unanime modo di indignazione? perché fin da subito sono apparsi i distinguo, i “sì, ma” e le altre mille formule escogitate dall’ipocrisia umana per spostare l’attenzione dall’enormità del momento alle pur sacrosante riflessioni sulle concause storiche e le corresponsabilità di Israele e dell’Occidente intero? perché tanti giovani e meno giovani in Italia e in Europa sono scesi in piazza agitando slogan contro i “sionisti”, ma neanche uno contro i tagliagole? perché quando vedono i morti palestinesi dicono che è colpa di Israele, ma quando vedono i morti israeliani non dicono (se non in pelosa e frettolosa premessa) che è colpa di Hamas?”.

In piazza ho sentito gridare sionismo e antisionismo. Ma non tutti hanno idea del significato tremendo di antisionismo nella sua accezione originaria e precisa, cioè la negazione della legittimità di uno Stato nazionale ebraico. Ricordate le parole di Giorgio Napolitano (“nei nostri tempi l’antisemitismo si traveste da antisionismo”) e quelle di Martn Luther King (“quando qualcuno attacca il sionismo attacca gli ebrei, questa è la verità di Dio”) e quelle di Amos Oz (“prima della seconda guerra mondiale, sui muri d’Europa si leggeva sporchi ebrei tornate in Palestina, oggi sui muri d’Europa si legge sporchi ebrei fuori dalla Palestina”?

E la Verità? Quella, come sempre, essendo scomoda può aspettare. Allora, per i popoli afflitti dalla guerra invoco clemenza. Sì, proprio la clemenza, qualità interiore che va oltre l’ambito giuridico, meravigliosa essenza di comprensione e compassione, insieme di morale e di sociale, di cui Norberto Bobbio, assimilandola alla mitezza diceva che “non è una virtù politica, anzi è la più impolitica delle virtù… E’ una virtù sociale, nel senso che la sceglie solo chi non è mosso dall’arroganza e dalla prepotenza del potere; è il contrario del desiderio di sopraffare e di vincere a ogni costo, con la forza o con l’astuzia…”. Leggo quel che Shakespeare (vedi “Il mercante di Venezia”) dice a proposito della clemenza: “Ha natura non forzata / cade dal cielo come pioggia gentile / sulla terra sottostante; / è due volte benedetta, / benedice chi la offre e chi la riceve; / sta sopra al dominio dello scettro, / ha il suo trono nel cuore dei re, / è un attributo di Dio stesso; / e il potere terreno si mostra più simile al divino / quando la clemenza mitiga la giustizia”. La clemenza come metodo di pacifica convivenza. E sarebbe anche la sconfitta definitiva delle guerre.

LUCIANO COSTA

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