Come sempre, purtroppo, la gara per conquistare il titolo di miglior trovatore del peggio è aperta. Ai concorrenti che vogliono partecipare alla singolar tenzone non sono richieste particolari abilità, è sufficiente abbiano dimestichezza col brutto, lo sporco e il cattivo, con la parolaccia e con la menzogna. Tutti generi che non mancano, ma non è detto che solo di quelli si debba vivere. Il fatto è che siamo ormai allevati col naso proteso soltanto alle cose che non vanno. Le quali, per presentarsi, hanno sempre a disposizione palcoscenici spropositati. Ma, è davvero possibile che le uniche cose che meritano attenzioni e parole siano quelle brutte, sporche e cattive, imbastite con parolacce, menzogne e cattiva educazione? Così è, se vi pare e anche se non vi pare. Perché è il peggio che fa ascolto, audience, interesse, che moltiplica gli spettatori, fa impennare l’audience, permette guadagni, scaccia pensieri pensati e favorisce quel nulla che asseconda efferatezze (i morti ammazzati, le stragi e le catastrofi sono pane che alimenta questo filone, tutto il resto è un di più), frivolezze (amori, tradimenti, passerelle, sorrisi obbligati, tenerezze esibite ma mai sincere e parole vuote sono la base della pastafrolla sistematicamente esibita) e sbracamenti assortiti, costruiti attorno a isole irrorate da tentazioni e da case a misura di grande (finto) fratello, sono gli indispensabili componenti delle recite-farse-pantomime studiate e realizzate per assopire coscienze e allettare i gonzi che della televisione tutto bevono e tutto giustificano… In questo guazzabuglio, il buono e il bene non hanno diritto di cittadinanza.
Ma dove è scritto che il tanto di buono di cui disponiamo debba sempre rimanere confinato altrove, depositato tra le cose talmente ovvie da non meritare neppure un timido applauso? E poi, sulla base di quali regole vien data udienza ai cialtroni e ai disfattisti piuttosto che ai silenti e ai costruttori di bene? Tranquilli: non è scritto da nessuna parte che il buono deve star fuori e non esistono regole che obbligano a ascoltare i cretini. Se qualcuno lo fa, è solo perché gli conviene circondarsi di fessacchiotti pronti a lodare e a sbrodolare e di fesserie buone per solleticare, piuttosto che di teste pensanti e, quindi, in grado di giudicare da sole.
Eppure, le buone notizie non mancano. Però, c’è qualcuno disposto a faticare per cercarle, renderle note, farle conoscere, applicarle al tran tran quotidiano? Qualche volta, dico a me stesso, servirebbe una colonnina tutta dedicata al tanto di buono che si nasconde tra le pieghe dell’effimero quotidiano, qualcosa che serva non già a promuovere o commuovere, bensì a stimolare riflessioni, condivisioni, generosità, percorsi meditati piuttosto che gridati. Ma questo, ovviamente, è un terreno pieno di insidie, meglio girare al largo…. Infatti, chiunque cerchi o abbia cercato di avventurarsi tra le sue pieghe col solo scopo di ragionare, alla fine ha dovuto fare i conti con risultati disastrosi. Tuttavia, anche di fronte alle sconcezze più evidenti, alle cretinerie più insistite, alle esibizioni prive di qualsivoglia intelletto, alle barzellette che non fanno ridere, ai contenitori pieni di niente, alle bagattelle da mercato, al chiacchiericcio pettegolo – più o meno l’enciclopedia del brutto, sporco e cattivo, delle parolacce e della mala educazione -, non manca mai un barlume di tenerissima speranza. Oggi a Gerusalemme, Kiev, Mosca e in chissà quanti altri luoghi, per esempio, mille o forse cinquemila, cinquantamila, cinquecentomila, un milione, cinque milioni…. di “buoni in libera uscita” chiederanno udienza per spiegare che vivere in pace si può… Con quali risultati non lo so, ma spero davvero che siano risultati positivi…
Sottovoce, con voce forte dedicata soltanto ai docenti che mancano, la scuola ha riaperto i battenti. Per molti allievi la novità meno gradita è stata quella relativa all’allontanamento dalle aule di telefonini e tablet, mostri della tecnica accusati di spappolare la mente dei giovanissimi propinando bazzecole piuttosto che valori.Ci sono molte ragioni, spiegano gli esperti, per dolersi della nefasta influenza esercitata dai marchingegni mediatici (telefonini et similia…) sui ragazzini, ma non solo loro, purtroppo. Però, aggiungono, è il troppo che guasta e non il giusto utilizzo. Mi astengo dal giudicare, sebbene sia tra quelli che brucerebbe quei marchingegni quando per ore e ore li vede porre muri tra il reale e l’irreale. Preferisco allora pensare alla scuola come luogo ideale in cui far crescere ragazzi capaci di essere protagonisti del loro futuro… un poco alla volta, senza la pretesa di miracoli, con la sola certezza di mettere nelle loro mani elementi che li spingano a guardare al mondo con la certezza di poterlo vivere e migliorare.Però, da ignorante confesso, di questo intreccio di tecnica che rede tutto fruibile e visibile all’istante, che cosa posso dire sapereargomentare? che debbo fare o non fare o confondere oppure cancellare? che cosa m i è lecito sperare se poi ogni speranza naufraga su sponde incapaci di concedere udienza a ragioni che non siano quelle dell’immediato e del libero-liberissimo agire?
Mi resta, per fortuna, il piacere del primo giorno di scuola, di cui mia nipote ha raccontato meraviglie: bello interessante piacevoleunico divertente nuovo… E le paure e i pianti? Solo ricordi o necessariamente nascosti? Antonietta Gnerre, una maestra elementare oltre che scrittrice, ha scritto una “breve”, intitolata “non avere timore”, dedicandola ai bambini alle prese con il primo impegno scolastico. Con semplicità disarmante quella “breve”dice….
Non avere timore di andare a scuola con gioia. Di imparare.
Di camminare come se i tuoi passi fossero i primi. Tanti anni fa quando hai imparato a camminare sei caduto/a tante volte.
Non avere timore di rialzarti, di osservare la bellezza degli alberi. Loro sono preziosi. Sono i polmoni del mondo. Quando torni da scuola ringrazia i tuoi genitori. Esci di casa con loro e vai a contare gli alberi.
Non avere timore di farti raccontare dai tuoi nonni cosa facevano da bambini.
Loro ti insegneranno a stare bene nel mondo. A guardare la speranza. Perché la conoscono.
Non avere timore di avere cura delle cose. Di avere cura della natura. Quando puoi studia e leggi all’aria aperta. Fissa una nuvola e descrivila sul diario.
Non avere timore di correre, di provare gratitudine per gli alberi in fiore in primavera. Per le spighe di grano quando inizia l’estate.
In autunno guarda bene i colori delle foglie. Esercitati a disegnarle.
Non avere timore di aspettare l’inverno. Di immaginare la neve come se fosse il regalo più bello del tuo Natale.
Non avere timore di ascoltare il canto degli uccelli. Di essere paziente con tutte le cose che fai. Amati. Ama chi ti circonda. Salutali con affetto.
Non avere timore di chiedere scusa, di portare il bene nel tuo cuore. Di accompagnarlo nei tuoi bellissimi anni.
Scrivi con la penna una poesia sulla pace. Scrivila in ogni stagione, perché la poesia è un’arte che brilla più del sole.
La “breve” neppure tanto breve è stata scritta per i bambini, ma sembra fatta apposta per gli adulti… Certo, per adulti disposti a leggere piuttosto che a sorvolare beoti e spensierati su tutto ciò che non li arricchisce-acquieta-appaga senza sforzo e senza responsabilità... Volendo, Antonietta Gnerre sembra fatta apposta per dire che basta poco per trasformare una domenica qualsiasi in una buona domenica. Bastano un sorriso, un augurio, qualche parola sincera, un minimo di solidarietà, giovani che vanno in “missione” (non chissà dove, ma appena fuori porta) per spiegare con gesti e parole che nessuno è escluso, che la festa è per tutti, che l’eco del “bene fatto bene e subito” arriva anche dove prevalgono solo grida, svolazzi e schiamazzi.
Nel suo domenicale “breviario” Gianfranco Ravasi scrive che “quando siamo interessati alla bellezza di qualcosa, quanto più spesso la vediamo, tanto è meglio. Quando, invece, siamo interessati solo alla vicenda di una cosa, ci stanchiamo di sentire la stessa vecchia storia raccontata tante volte e vogliamo subito una storia nuova e migliore”. Se qualcuno conosce una storia migliore di quella che abbiamo messo frettolosamente in archivio lo dica e lo dichiari e, di sicuro, troverà ascolto e seguaci. Perché in fondo, come è scritto nel versetto ventidue dell’Apocalisse(sapientemente messo in circolo da Paola Caridi in apertura del suo libro, “Il gelso di Gerusalemme”, che racconta l’altra storia racchiusa negli alberi) quel che serve è sapere che “in mezzo alla piazza della città e sulle due rive del fiume cresce l’albero dellavita: esso dà dodici raccolti all’anno, porta il suo frutto ogni mese e le sue foglie sono per la guarigione delle nazioni”.
Quindi, non avere timore di sognare cieli e terre nuovi. Non li vedrai immediatamente, ma ci sono…
LUCIANO COSTA