Il Domenicale

Olimpiadi: però “communiter – together – ensemble”…

Olimpiadi in corso: attenzione, pericolo! In verità, me ne sto rannicchiato tra i monti di casa e le olimpiadi le vedo, tutt’al più, in televisione. Quindi, nessun pericolo evidente, tranne uno: non accorgersi della lezione che contengono. Vale a dire, non vedere che quel mondo riunito a Parigi e dintorni, un mondo fatto di ragazzi e giovani pronti sfidarsi per conquistare oro argento bronzo (e magari anche latta e legno, materiale riservato alle medaglie fuori podio), non ha confini, è lì per abbracciarsi, possiede mani che cercano altre mani da stringere, privilegia i sorrisi sinceri e le lacrime suggerite dalla gioia e dalle emozioni,cancella le diversità, ama l’insieme che diventa quell’unità con cui preparare tempi migliori, odia le guerre e chi le ispira, sogna cieli e terre nuovi per tutti, proprio tutti. Che dici mai, Domenicale da strapazzo! Dico, dico… E non ci sto a considerare semplice utopiacecitàstupiditàbuonismoallegrezza-follia-euforia-rimbambimento o (addirittura) senilità quel piccolo-grande mondo appena abbozzato. Quindi, benvenute olimpiadi. E tu Parigi che le ospiti, smettila di crederti superiore quando sei invece una delle tante città che cercano di cambiare modo di essere città: non metropoli, piuttosto città dell’uomo.

Chissà, forse domani… Per adesso Parigi e dintorni ospitano un’olimpiade che in sé conserva i segni più evidenti di quel che siamo: attaccabrighe (salvo rare eccezioni) gelosi del proprio io e noncuranti del noi che reclama ascolto. Quindi, quelli che ci è dato da vedere e seguire, sono “giochiin cui pace e guerra si mescolano e si confondono. A Parigi e intorni, cioè dove si gareggia per conquistare una medaglia, è in scena un’edizione olimpica che deve per forza fare i conti con conflitti, tensioni e ingiustizie su scala mondiale”. Alla faccia di quell’antico intendere che supponeva e stabiliva, ogniqualvolta si gareggiava per Olimpia, dar corso a una tregua senz’armi, offese, litigi, baruffe…

Eppure, cronaca e leggenda insegnano che le Olimpiadi sono anzitutto storie di donne e di uomini che sebbene oggi non riescono a fermare «la terza guerra mondiale a pezzi», suggeriscono la possibilità di un’umanità più fraterna. Ma è di nuovo l’utopia a prevalere. Ricordo quell’Olimpiade celebrata a Monaco di Baviera, anno 1972. Tutto sembrava teutonicamente perfetto (roba tedesca, perbacco, il massimo dell’efficienza e dell’ordine), invece all’alba di un mattino che preannunciava medaglie (io ero da quelle parti, turista e nulla più, ma già conscio della responsabilità di raccontare quel che accadeva), l’assalto dei terroristi alla palazzina occupata dagli atleti israeliani con morti, feriti, terrore, angoscia, stupore del mondo offeso da tanta barbarie. Poi… lacrime, promesse che mai più sarebbe accaduto nulla di simile, inviti alla concordia, ricerca di punti d’incontro, simposi dedicati alla pacifica convivenza, congressi e vertici per definire percorsi pacifici… Ma anche pugni chiusi, mani stese, urla indecorose, proclami irresponsabili (pro-contro: mai insieme per rendere migliore il mondo e migliori i suoi abitanti),rivendicazione di ragioni piuttosto che ricerca delle ragioni…

Eppure, basterebbe rifarsi all’antica Grecia – laddove l’Olimpiade è nata – per scoprire che lo sport ha in sé una proposta di pace, la stessa suggerita dai giovani riuniti adesso a Parigi, che non conosce e ammette opposizione. Prendiamola questa proposta e facciamola nostra! Scopriamo insieme che le Olimpiadi sono “un pellegrinaggio nel passato e un atto di fede nel futuro”, che “oggi i Giochi olimpici sono l’unico evento che riunisce il mondo intero in una competizione pacifica”, che non vi è “nessun’altra espressione sociale o culturale così strettamente legata alla pace come è appunto lo sport, nella sua più alta espressione”. Non ricordo chi sia l’inventore del “dialogo tra sordi”, ma so perfettamente che tale metodo (assurdo e deprecabile, ma vero e serio) non smette di essere attuale. Ieri e l’altro ieri a Parigi ho sentito dire e ripetere che “si può competere, persino ferocemente dal punto di vista agonistico, gli uni con gli altri ma, con lo stesso spirito, si può convivere pacificamente gli uni con gli altri, costruendo relazioni di amicizia e di rispetto, pur provenendo da storie e strade diverse e avendo culture e religioni differenti”.

Eppure (si, di nuovo il medesimo eppure), come ha ricordato il presidente del Comitato Olimpico Internazionale “tra guerre e tensioni, che generano paure, lo sport può essere una speranza”, soprattutto perché “l’umanità desidera vivere qualcosa che unisca, qualcosa che ci dia speranza”. E lo sport “perché è di tutti e alla portata di tutti, può essere questo punto di unità. Dunque, basta dialogo tra sordi, basta occhi chiusi per non vedere, basta giustificazioni ambigue e ambiguità palesi… Infatti “le persone sono stanche di vivere tempi difficili, inficiati da guerre stupide, oppressi ogni giorno da esperienze di aggressività e da notizie negative. Le Olimpiadi, queste Olimpiadi, possono essere un’opportunità di speranza per costruire, insieme, la pace. Quattro anni fa a Tokio (dove si celebrava l’olimpiade) si levò il grido che invitava a fare communiter – together – ensemble, cioè tutti insieme, o non funzionerà!”. Bello, bellissimo – commentarono tanti, tantissimi. Però, poteva essere vero e potrebbe esserlo ancora, se ben congiunto a quella virtù nascosta che si chiama solidarietà. La quale è riassumibile nell’esigenza “di riconoscere nell’insieme dei legami che uniscono gli uomini e i gruppi sociali tra loro, lo spazio offerto alla libertà umana per provvedere alla crescita comune, condivisa da tutti”. Roba nuova o roba vecchia? Senza età per i ragazzi e i giovani che corrono per conquistare una medaglia, solo datata per chi ha già speso anni rincorrendo sogni e medaglie. Però ancora attuale se si concepisce il pianeta che abitiamo come un dono gratuito, che riceviamo dalle generazioni precedenti e lasciamo a quelle future

Ma sogno oppur son desto? Sogno se rapportato all’idea che volendo si può stare tutti insieme appassionatamente e senza litigare; son desto se coniugato col rumore delle bombe che esplodono… Sognare a occhi aperti, invece, è quel che resta da fare agli anziani-vecchi-nonni-attempati e decrepiti abitanti di città e paesi… Però oggi, 28 luglio, è la Giornata mondiale dedicata ai nonni e agli anziani… che è anche un invito a costruire legami intergenerazionali, capaci di arricchire l’intera comunità.

Intorno, purtroppo, c’è un mondo sull’orlo del baratro della guerra, c’è un’Europa segnata dalle divisioni, che non riesce a chiedere pace e riconoscimento della dignità della persona con una sola voce, c’è un’Italia in cui la democrazianon gode di buona salute”, dove rappresentanza e partecipazione sono in crisi, dove i cittadini sono più che mai lontani dalle istituzioni, dove le nuove generazioni e le periferie (anche esistenziali) sono tenute sempre più ai margini. Che fare? E se provassimo a fare un’Olimpiade, questa volta senza una città come base, ma aperta al mondo? Però, mi raccomando, communiter – together – ensemble”, cioè “tutti insieme, altrimenti non funzionerà!

LUCIANO COSTA

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