“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”: appesi a un tenue filo, ondivaghi, incerti, mal ridotti ma ancora aggrappati al ramo della speranza. Perché in fondo, come al fondo delle cantiche con cui il sommo Dante racconta la divina comedia della vita, vi è la certezza che è “l’amor che move il sole e l’altre stelle”, che è la Luce a guidare i passi degli erranti umani e che tale Luce è eredità di chi sa aprire gli occhi per lasciarla entrare. In tale trambusto di emozioni trovano spazio le cronache di una settimana tipicamente italica: generalmente controversa, politicamente urticante, socialmente divisiva, intellettualmente diversificata, climaticamente disastrosa… Decreto Zan bocciato, corsa al Quirinale già incominciata, Draghi vieppiù lodato ma anche temuto, vaccini anti–pandemici osteggiati da negazionisti incappucciati e violenti, uragani tropicali sulla non ancora tropicale Sicilia, Capi di Stato dei venti maggiori Paesi del mondo riuniti sotto il cielo di Roma per disegnare un futuro degno d’essere vissuto da chiunque indipendentemente dalla sua provenienza e, magari, anche per rifondare l’idea di tolleranza.
La tolleranza, grande conquista da riconquistare per non concedere spazio al rancore e ai rancorosi. Paul Ricoeur, filosofo francese, in un inedito pubblicato recentemente dalla rivista “Vita e Pensiero”, a proposito del diritto di impedire e di disarmo del potere d’impedire (se ho ben capito significa che pur esistendo il diritto di impedire, per esempio da parte dei genitori nei confronti dei figli, tale potere è stato ed è progressivamente privato, o disarmato, della sua prerogativa) dice: “Sopporto controvoglia ciò che disapprovo perché non ho il potere di impedirlo… disapprovo la tua maniera di vivere, ma mi sforzo di comprenderla senza potervi aderire… disapprovo la tua maniera di vivere, ma rispetto la tua libertà di vivere come preferisci, perché ti riconosco il diritto di manifestare pubblicamente tale libertà”, che se di nuovo ho ben compreso, non è “verità condivisa, ma diritto riconosciuto”. Proprio questo, dice il filosofo, ha permesso di “forgiare le libertà di opinione, di espressione, di associazione, di stampa, di manifestazione d’insegnamento” premessa essenziale all’avvento della “più alta delle libertà, la libertà positiva vale a dire l’eguale diritto a partecipare attivamente alla costituzione del potere politico, quali che siano le credenze in gioco”.
Però qualcuno, credendo vi sia “della verità al di fuori di me” e quindi convinto di possedere almeno un granello di verità in più della mia, passa dalla tolleranza alla indifferenza, metodo in cui “il riconoscimento delle differenze diventa indifferenza”… Bisognerebbe allora far posto “all’accettazione di disaccordi ragionevoli”, distinguere “coloro con i quali si può discutere da coloro con i quali non si può discutere” e perciò far valere il principio che “nessuna tolleranza con gli intolleranti” non è una discriminazione ma semmai la rivendicazione del prevalere della ragione sull’irragionevolezza.
Dubito che ai grandi, ma anche ai piccoli contendenti e attori dell’umana avventura, interessi riflettere su filosofie che mettono in dubbio la reale portata della loro stessa grandezza. Però, siccome anche “le figure aeree degli stormi nascono da un comportamento imitativo, di mutuo allineamento locale, in cui ogni stormo, per decidere cosa fare, guarda solo i compagni piùvicini a lui” potrebbe accadere che la riflessione diventi norma anziché casualità. Infatti, proprio “questo meccanismo di coordinamento, pur nascendo in modo locale, è in grado poi di estendersi rapidamente a tutto il gruppo, facendo emergere un ordine collettivo, che forma le figure nel cielo”. E sebbene sia noto a tanti se non proprio a tutti che “le figure formate dagli stormi sono bellissimi disegni senza disegnatore, che nascono a partire da poche semplici regole” la tendenza è quella di classificare gli stormi non tra i cultori dell’arte ma tra i suoi distruttori. Eppure, come insegna quel simpatico e fresco Premio Nobel per la fisica, Giorgio Parisi, professore soridente e mai banale, basterebbe pensare alle regole che gli stormi seguono per rendersi conto della loro assimilabilità ai comportamenti dei gruppi che popolano l’universo della politica e di qualunque altra branchia del vivere. La prima di queste regole è quella “di attrazione, che spinge ogni uccello a rimanere vicino a quelli che ha attorno”; la seconda è “una regola di repulsione, che lo trattiene da andare così vicino agli altri da collidere”; la terza regola è che “ogni uccello copia l’angolazione di volo dei suoi vicini”. E solo quando molti individui seguono queste tre regole “si possono ottenere delle sagome collettive anche molto complesse”.
La metafora, volutamente esagerata ma non per questo inattuabile, rimette al centro l’idea di tolleranza come antidoto al disordine totale e, soprattutto, come “accettazione di disaccordi ragionevoli”. In “lezioni di filosofia”, spazio in cui Mauro Bonazzi aggiunge pensieri pensati all’impensato e all’impensabile, leggo che “sotto la parvenza di un ragionamento, l’obiettivo è suscitare passioni, per prevalere nella discussione”.Non è piacevole sentirselo dire, ma così è, se vi pare e anche se non vi pare. Infatti, come osservava Platone “se si vuole entrare nella caverna, bisogna imparare il linguaggio e le pratiche della caverna. Altrimenti il rischio è di finire come Socrate, l’uomo più giusto di Atene, che il giorno del processo tenne un discorso tanto ragionevole da riuscire nell’impresa di farsi condannare”. Bonazzi aggiunge che “siamo animali razionali e che molti risultati possono essere conseguiti discutendo insieme”. Ma i ragionamenti, purtroppo, da soli non bastano e tutto non possono. “E così, ad esempio nel mondo della politica, viene il momento delle decisioni e dell’assunzione di responsabilità. Perché i principi e gli ideali certo sono importanti, ma poi ci sono gli obiettivi da raggiungere per salvaguardare la comunità. Di questo si deve far carico un politico, nel difficile tentativo di mediare tra principi e fini. Non è semplice – dice il filosofo -, perché la certezza di aver preso la direzione giusta non è mai assoluta: il rischio di sbagliare è sempre presente. Ma nessuno ha mai sostenuto che la politica è una cosa semplice”.
Da qui prende forma il compromesso, quel modo di agire e pensare che consente l’accettazione di disaccordi ragionevoli”. Joe Biden, mica uno qualunque, a proposito del mega stanziamento di fondi per bambini, assistenza sanitaria garantita, lotta al cambiamento climatico, taglio delle tasse, aiuti ai poveri e via discorrendo, per spiegare le difficoltà incontrate e superate, ha detto: “Abbiamo trascorso ore e ore per mesi e mesi a lavorarci sopra. Nessuno ha ottenuto ciò che voleva, me compreso, ma questo è il compromesso, questo è il consenso attorno a una soluzione”. Tradotto significa che la politica ha rinunciato alla sua presunta e vantata purezza per ottenere il consenso attorno a una soluzione”. Se tale metodo fosse stato adottato al momento della discussione sul controverso e quindi bocciato decreto Zan, oggi a uno dei principali contendenti non sarebbe permesso dire che “i signori della sinistra che ancora credono di possedere la verità, più arrabbiati che quieti e persuasivi, hanno sbagliato tutto”. Il rischio, adesso, è che l’errore si possa ripetere quando si dovrà eleggere il nuovo Capo dello Stato, ossia quando si dovrà rinunciare alla propria vantata purezza politica per ottenere “il consenso attorno a una soluzione”. Che spero onorevole, cioè spogliata da qualsiasi sospetto, convenienza o patteggiamento.
Nel frattempo, il bello del gioco non è indovinare chi viene a cena, ma chi non viene. Vuoi mettere? Tu pensi di sapere che alla tua destra, al banchetto preparato dall’immaginifico padrone di casa, ci sarà quel tale che in vita sua ha fatto dell’arguzia virtù e invece di trovi accanto quell’altro che la virtù l’ha volentieri barattata conl’apparenza. Ovviamente, siccome il galateo impone di accettare quel che l’ospite ha deciso, non fai una piega. Però, insomma, che noia dover tessere discorsi con un pirla (nel senso di milanese) piuttosto che con un burino (nel senso di romano), tracciare dialoghi con vattelapesca invece che con azzeccagarbugli, misurare il tempo con la previsione e non con la certezza. E alla fine chiedersi: come sarebbe domani il Quirinale se a salir quelle scale sarà un beota oppure un esegeta o magari un fricchettone o addirittura un eremita quando non un godurioso incallito?
Secondo Filippo Ceccarelli, va’ girando intorno un potentissimo “che a quel ruolo ha sempre guardato come a un destino, oltre che il degno e per lui giusto coronamento di una già ricca e movimentata esistenza”. Chi sia costui ognuno lo scopra da sé. Quello che più accende la fantasia è “milanese, aziendale, sfarzoso, spettacolare, cortigiano…”. Chi ci salverà da questo scenario? Forse un Mattarella che resta, oppure un Draghi che sale, un Casini che si barcamena, un Prodi che resuscita o unadonna (Cartabia, Moratti, Bindi, Bonino, Casellati o Segresebbene abbia già detto che non possiede i requisiti necessari) che sebbene minoranza in Parlamento è cero maggioranza nel Paese.
A chiunque oggi concorra a stabilire regole di buon vivere per il mondo e che domani corra per salire per primo al Quirinale, offrola canzone che “i Giganti”, tanti anni fa, regalarono agli allora giovani che come e tanti di voi cercavano compromessi onorevoli tra l’essere e il divenire. La ricordate? Diceva: “Tu, come ti chiami? Sei molto giovane, qual è la tua proposta? / Me ciami Brambilla e fu l’uperari, lavori la ghisa per pochi denari, ma non c’ho in tasca mai la lira per poter fare un ballo con lei. / Mi piace il lavoro, ma non sono contento, non è per i soldi che io mi lamento. / Ma, questa gioventù, c’avrei giurato che m’avrebbe dato di più. / Mettete dei fiori nei vostri cannoni, perché non vogliamo mai nel cielo molecole malate, ma note musicali che formino gli accordi per una ballata di pace…”. Aggiungeva: “Anche tu sei molto giovane, di che cosa non sei soddisfatto? / Ho quasi vent’anni e vendo giornali, girando i quartieri fra povera gente che vive come me, che sogna come me, io sono un pittore che non vende quadri, dipingo soltanto l’amore che vedo e alla società non chiedo che la mia libertà… / E tu chi sei? Non sembra che tu abbia di che lamentarti… / La mia famiglia è di gente bene, con mamma non parlo, col vecchio nemmeno; lui mette le mie camicie e poi critica se vesto così. / Guadagno la vita lontano da casa perché ho rinunciato ad un posto tranquillo. / Ora mi dite che ho degli impegni che gli altri han preso per me…”. Sarà, dicevamo allora, ma adesso non ci resta che mettere fiori nei vostri cannoni.
Oggi sotto il cielo di Roma qualcuno sta tentando di farlo. Aiutiamolo.
LUCIANO COSTA