Essendo assolutamente insopportabile, addirittura idiota e incivile, assistere alla sistematica decapitazione-negazione della Libertà (dei popoli e delle nazioni da parte di chi quei popoli e quelle nazioni li vuole sottomessi e proni ai loro desiderata; di chi scrive e pubblica pensieri-riflessioni-cronache-inchieste-libri, che per qualche capo e capetto dell’attuale Italico suolo (ma non solo quello) dovrebbero essere impediti a scrivere e quindi a divulgare quel che hanno scritto senza prima adeguarsi alla direttiva; di chi mette quel lontano ma sempre attuale 25 Aprile 1945 – Giorno della Liberazione, giorno davvero fausto – prima di tutto e innanzi a tutto; di chi non ci sta a tacere, a ubbidire e magari anche a combattere…) e al rotolamento delle pietre che circondano il nostro quotidiano senza tentare di fermarle e senza profferire mugugno, ribadisco il mio no (che conta come un acca, ma che è pur sempre un sassolino aggiunto al gran mucchio di quelli portati per essere e diventare barriera contro la stupidità che immagina possibile impedire al vento di essere vento, quindi libero di soffiare ovunque e per chiunque) a ogni azione che intenda cancellare quel che la Costituzione garantisce e assicura scrivendo che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” e aggiungendo che “la stampa non può essere soggetta a autorizzazioni o censure”. Tutto ciò premesso, il resto è paccottiglia insipiente messa in circolo dai tanti (o pochi?) che temendo i raggi del sole chiedono al dito (ovviamente l’indice) di fare da scudo e procurare per loro e solo per loro ombra e frescura. Se vi sfugge il senso di tale arzigogolare, leggete le cronache che in questi giorni raccontano gli sforzi consumati dai potenti del tempo per atrofizzare i liberi pensieri (quelli rimasti in casa “mamma rai” e in altri circoli, giornali e media in ordine assolutamente sparso) fino a renderli servili e allineati al loro volere e potere. Sono queste, di sicuro, questioncelle e non questioni fondamentali, però danno l’impressione di essere contenitori di piccoli e grandi misteri (fatti e misfatti che danno sapore, calore e colore al quotidiano) dei quali siamo, a seconda delle occasioni, testimoni o spettatori muti. Per esempio, l’ultima volta, ma forse anche la penultima, che mi capitò di ragionare ad alta voce su qualcosa che mi andava di traverso, venni benevolmente preso a sberleffi simili a sassate. Mi dissero che così andavano le cose. Vale a dire: uno scrive quel che pensa e che molti pensano insieme a lui, e succede che gli allestiscono intorno un classico rogo. Il bello è che la storia rischia continuamente di riscrivere il copione già scritto.
Certo: non si è liberi perché liberi di fare quel che più aggrada e conviene; siamo liberi perché liberi di pensare. E “libertà” non è l’astratta coniugazione delle personali volontà, ma la somma di pensieri nobili, nobili perché rispettosi, innanzitutto, degli altri. Libertà è il nome di un giorno – 25 Aprile – che è diventato il cuore di una comunità in cammino, che nel suo faticoso procedere quotidiano cerca di garantire alla sua gente e alle genti che occasionalmente si ritrovano ad affollarlo dignità e pari opportunità. Credetelo, è altamente meritorio e nobile confermare oggi e ogni altro giorno l’onore e l’onere di ricordare a ciascuno il valore della libertà: quella ritrovata dopo il tempo buio della dittatura e quella che, da allora in poi, ci è stato chiesto di purificare dalle incrostazioni e dalle pretese di chi la voleva più a sua immagine che a immagine dell’intera comunità nazionale. In questo processo di purificazione, lo stesso che più volte ha fatto gridare ai cultori dell’utopia solidale e della democrazia partecipata e vissuta “libertà vo’ cercando…”, grandi uomini di diversa cultura e diversa estrazione sociale, ci hanno però spiegato che non si può essere liberi da soli. In effetti, che senso avrebbe essere liberi da soli?
Helder Camara, vescovo e profeta scomodo degli oppressi, scrisse un giorno lontano che “assicura la libertà colui che rende libero se stesso, ed è libero soltanto colui che, volontariamente, è capace di dominarsi per ubbidire alle giuste regole, personali e comunitarie…”. E Papa Paolo VI, in una memorabile enciclica, spiegò al mondo che non vi è libertà autentica se non si garantisce a tutti i popoli e contemporaneamente, libertà dai bisogni. La cronaca di questi giorni ha rimesso al centro delle attenzioni il tema della convivenza con gente di cultura diversa e il principio dell’accoglienza dovuta a chi, per disperazione o per bisogno, bussa alle porte delle nostre città e dei nostri paesi. A loro volta i due temi – quello della convivenza e quello dell’accoglienza – ne propongono un altro fondamentale: quello della dignità dovuta a ciascuna persona, qualunque sia il colore della sua pelle, quale sia la religione professata e quali siano i motivi che l’hanno costretta a sradicarsi dalla sua terra natale per cercare avventura in un Paese straniero e, purtroppo, non sempre amico. E questa riflessione appartiene al filone della solidarietà tra i popoli, lo stesso che più volte ci ha ricordato, se davvero vogliamo consentire agli uomini della terra di vivere nella libertà e nella pace, l’insostituibile impegno di eliminare le cause del degrado e delle povertà che umiliano e rendono schiavi.
Però, come ha scritto un libero pensatore “l’amore per la Libertà non è scontato. Certo, tutti ne parlano. E, a parole, non c’è chi non lo esalti. Ma poi, nei fatti, le cose sono più difficili. La libertà è impegnativa, costosa e non può sottrarsi al rischio che la vita porta con sé. E proprio per questo, la libertà è sempre a rischio di rovesciarsi nel suo contrario”. E’ già successo nel secolo scorso, succederà ancora se e come verranno meno la vigilanza e il rispetto degli altri, chiunque essi siano. E basterebbe rileggerequel che nel 1941 scriveva Eric Fromm in un libro dal titolo amaro (“Fuga dalla libertà”) per scoprire come la chiave di lettura usata per spiegare perché il popolo tedesco accettò di sottomettersi al regime nazista suoni ancora oggi attualissima.
“Un secolo dopo – ha scritto il suddetto libero pensatore –, finita la stagione esaltante della globalizzazione espansiva, quella che supponeva che la libertà di tutti potesse crescere illimitatamente, il mondo si sta avvitando in una spirale pericolosa…”, quella che al di là di tante differenze approda a una convergenza di fondo: ovunque la Libertà viene messa e poi di nuovo rimessa in discussione. “La storia è antica, tanto che ne parla anche la Bibbia– sottolinea il pensatore – e le stagioni in cui la Libertà si espande vigorosamente rischiano sempre di rovesciarsi nel loro contrario… E quando prevale la paura, generata dagli squilibri che spesso la Libertà (ritrovata o conquistata) porta con sé, ci si affida volentieri alle rassicurazioni promesse dal tiranno o dal vitello d’oro di turno...”. Così la Libertà, come preconizzò tale Etienne La Boetie, diventa “servitù volontaria”.
E ciò accade quando “fuori ma anche dentro l’Occidente, le autocrazie spadroneggiano e il pur significativo miglioramento delle condizioni di vita di centinaia di milioni di persone in tante zone del mondo non è accompagnato con lo sviluppo di istituzioni democratiche”. Questo perché “le autocrazie cercano di legittimarsi come forma politica capace di tenere insieme crescita economica e obbligazione sociale, ordine e libertà. Ma poi, quando il gioco si rivela truccato – come nel caso della Russia, dove la crescita degli ultimi anni ha arricchito solo pochi – il ricorso alla guerra diventa quasi una via obbligata. Così la logica antica dello scontro amico-nemico è sempre un ottimo collante, che distrae dai problemi e dalle disuguaglianze”, che lascia immaginare come “dietro le bandiere del nazionalismo il popolo si ricompatta”, che dice come “chi non si allinea è un traditore... Per cui, a resistere sono in pochi: voci isolate di eroi che non cedono. E che proprio per questo risultano insopportabili…”. Succede in Russia, dove ogni voce libera che accusa il regime di Putin è cancellata e oppressa, ma tendenze simili attraversano anche l’Occidente. Per esempio, dice il rapporto scritto da un esperto di politica internazionale “da quando la crescita economica non è più stata in grado di dare soddisfazione a tutti (obiettivo peraltro irrealistico e improprio) interi strati sociali – specie giovanili – in Italia come in Germania, in Francia come negli Stati Uniti, sono attirati dalle sirene di partiti di estrema destra e da leader politici che fanno dell’odio e del rancore le risorse principali con cui costruire il consenso. D’altra parte, un modello di crescita che ha rinunciato alla solidarietà sociale e al rispetto della vita non può che accrescere un senso diffuso di insicurezza e risentimento. Ma la questione non si limita a questi ceti. Di fronte a società profondamente disgregate ci sono interi pezzi delle cosiddette élites che sembrano abbracciare la guerra come via di fuga dai tanti problemi da risolvere. Sempre più spesso, e sempre più apertamente, l’uso della forza viene presentato come inevitabile, unico mezzo (paradossale) per difendere la libertà”. Invece, sarebbe necessario “rendersi conto che siamo entrati in una nuova fase storica: non più quella luminosa e ingenua di una globalizzazione della crescita economica e della libertà per tutti, ma quella ben più oscura e preoccupante dello scontro sistemico, dove la libertà può e deve essere sacrificata a qualche fine superiore”.
Sperare di riuscire a fermare questa spirale è logico ma anche difficile. E resterà sempre difficile se e come non ne comprendiamo la vera radice. Andando e rimanendo così le cose,“la paura della Libertà e la sua implosione si affermano tutte le volte in cui questo termine viene tradotto in una logica individualistica: dove il destino dei ricchi si separa da quello dei poveri; dove la libera iniziativa diventa sfruttamento dell’altro; dove lo straniero diventa nemico; dove la Libertà dimentica il legame profondo che lega gli uni agli altri… Così, trent’anni di globalizzazione selvaggia rischiano di sfociare in un grande conflitto globale”. Invece “la paura della Libertà, che sembra diffondersi un po’ dappertutto, si cura solo tornando a riconoscere (prima) e a prendersi cura (poi) di quel “bene comune”, a livello nazionale e internazionale, che abbiamo per troppo tempo trascurato…”.
Infine, “Libertà è conquista e non si rovescia nel suo contrario quando è capace di fermarsi e di ascoltare la voce e il grido dell’altro”; Libertà è far parte di una comunità in cui nessuno è secondo o primo; Libertà è rendersi conto che importante è essere insieme…
Perché, come dice il poeta:
Nessun uomo è un’isola
completo in se stesso;
ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.
Se anche solo una nuvola
venisse lavata via dal mare,
l’Europa ne sarebbe diminuita,
come se le mancasse un promontorio,
come se venisse a mancare
una dimora di amici tuoi,
o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce,
perché io sono parte dell’umanità.
E dunque non chiedere mai
per chi suona la campana:
essa suona per te.
E se non bastasse, mettete in conto quel che al dire del poeta aggiunge lo scrivano a cui preme ampliare per spiegare che…
Nessun uomo è un’isola,
nessun uomo è solo,
la gioia di ogni uomo è una gioia anche per me,
il dolore di ogni uomo è anche il mio.
Noi abbiamo bisogno l’uno dell’altro,
per questo difenderò
ogni uomo come un mio fratello,
ogni uomo come un mio amico.
Ho visto le persone radunarsi,
ho sentito la musica iniziare,
la canzone che stavano cantando
sta suonando ora nel mio cuore.
Nessun uomo è un’isola,
che sbocca nel blu,
tutti noi guardiamo a chi è lassù
per rinnovare la nostra forza.
Quando aiuto un mio fratello,
allora so che
sto piantando il seme dell’amicizia,
che non morirà mai.
Tutto questo è Libertà, vera Libertà, e degno 25 Aprile.
LUCIANO COSTA