Il Domenicale

Qualunquemente uguali…

Incomincio col dire che il “tiro alla fune non è un gioco: la corda si spezza e si cade tutti da una parte e dall’altra” (vedi e leggi “il pensato del giorno” di Alessandro Bergonzoni); proseguo guardando il mondo che si sconvolge a ogni sorgere e calare del sole; cammino temendo che il sentiero non regga e che il ruscello s’arrabbi fino a diventare un mostro senza ritegno; finisco aggrappandomi alla speranza di giorni migliori, possibili anche se tremendamente lontani. Se avete fatto caso al progredire del tempo vi sarete accorti con me che qui e adesso prevale l’attesa di un voto che potrebbe essere sconvolgente (addirittura tendente a rimettere in carreggiata un passato che credevamo dimenticato e superato grazie al coraggioso recupero di libertà e democrazia), ma che appena fuori dalla mia e immagino anche vostra porta, in caso di pioggia, non si tratta più di gocce benefiche ma di bombe d’acqua malefiche. Poi, magari vi sarete anche accorti che in giro, poco distante da dove siamo-abitiamo-lavoriamo-speriamo e sogniamo, proprio lì “tira aria di guerra”, un’aria che è vento-tempesta-temporale-uragano-tornado-morte e terrore. In aggiunta avrete certo sentito parlare di Pace, ma anche di tutto ciò che si oppone alla Pace e che sempre si chiama arroganza, potere, vendetta, conquista, predominio, violenza, stupidità, esaltazione, sopruso e pretesa di possedere e di imporre la propria supremazia su idee, cose, persone…

Eliminare ciò che si oppone alla Pace è compito universale, almeno se hanno peso le parole pronunciate e consegnate alla storia. Cinquantacinque anni fa, per esempio, papa Paolo VI non ebbe timore a mettere gli uomini di Stato e i delegati presso le organizzazioni internazionali di fronte alla responsabilità di costruire e ricostruire il mondo intorno alla Pace. “Uomini di stato – scrisse allora il papa a conclusione della mirabile enciclica dedicata al progresso dei popoli -, su voi incombe l’obbligo di mobilitare le vostre comunità ai fini di una solidarietà mondiale più efficace, e anzitutto di far loro accettare i necessari prelevamenti sul loro lusso e i loro sprechi per promuovere lo sviluppo e salvare la pace; delegati, da voi dipende che il pericoloso e sterile fronteggiarsi delle forze ceda il posto alla collaborazione amichevole, pacifica e disinteressata per uno sviluppo solidale dell’umanità: un’umanità nella quale sia dato a tutti gli uomini di raggiungere la loro piena fioritura”. Poi, e questo ancora mi impressiona, Paolo VI, rivolgendosi agli uomini e alle donne di pensiero e sottolineando come il mondo soffrisse e fosse turbato per mancanza di pensiero, li supplicò di aprire “le vie che conducono, attraverso l’aiuto vicendevole, l’approfondimento del sapere, l’allargamento del cuore, a una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale”.

Ieri all’alba un gruppo di giovanotti di buon pensiero e di cuore solidale, ha indossato scarponi e giacche a vento, preso badili, secchi, scope e qualunque cosa utile a ripulire e restituire dignità al vivere quotidiano e si è avventurato laddove il fango e l’acqua avevano appena seminato terrore e morte. Duecentocinque giorni fa (iniziò proprio allora la guerra d’aggressione all’Ucraina da parte della Russia) altre persone – cento, mille, diecimila o anche di più – avevano condiviso forze, idee e solidarietà per mandare aiuti e speranze al popolo ucraino. Ieri notte e questa mattina all’alba, come ogni giorno da tanti giorni e anni, persone diverse e di diversa età hanno condiviso l’opera di una suora (si chiama Paola ed è Ancella della Carità) portando cibo, bevande calde, coperte, sorrisi e carezze ai disperati della città. Da quattro mesi un amico che non a caso s’era guadagnato sul campo il titolo di “bastian contrario”, non si sa come e perché, ha trasformato il suo nuovo tempo da pensionato in sistema di soccorso e condivisione per “qualunquemente uguali” (così ha definito i suoi dirimpettai, così riferisco): altri, forse sconosciuti, comunque bisognosi di mani capaci di sorreggerli. Un giorno lontano Vittorino Chizzolini, uomo di pensiero e di pietas autentica, mettendo in relazione servizio e politica, mi spiegò che la forza del servire derivava dal sapere accettare che un altro fosse più importante di noi e che la politica buona e vera tutto era meno che arroganza e insincerità. Una domenicale, di sicuro sapiente lettrice, mi ha invitato a mettere in rete ciò che di buono, bello e vero ancora resiste. Vorrei farlo, ma l’impressione è che il vero, il buono e il bello – anzi il bello, il buono e il vero, perché questo è l’ordine in cui oggi essi appaiono – siano emozioni che fioriscono e svaniscono secondo gli umori e mai secondo i pensieri pensati.

D’altronde, non è una novità che il Vero, il Buono e il Bello siano stati e ancora siano beni e virtù costretti a subire mode e interessi di parte. Però, nulla vieta di ripensare il trittico e di rimetterlo a disposizione di tanti se non di tutti. In fondo, per creare nuove e più efficaci prospettive basterebbe capovolgere l’ordine con il quale le parole vengono pronunciate e scritte… Da qualche parte ho letto che per Platone, Aristotele e Tommaso prima viene l’Essere con le sue caratteristiche, l’Uno, il Vero e il Buono, con il Bello come punto d’arrivo… Von Balthasar, illustre teologo oltre che assoluto cantore dell’armonia, scrive che “il Bello è splendore, irradiazione, armonia”, ma anche che “si è persa la componente contemplativa che ha fatto grande il pensiero occidentale e ispirato la poesia e la musica”. Commentando il pensiero del teologo svizzero un recensore ha azzardato che “anche la questione ecologica, impostasi negli ultimi decenni con prepotenza, è da vedersi collegata a questa perdita del senso della bellezza e della contemplazione”. Infatti, per Von Balthasar “il nostro occhio è ridotto solo alla funzione quantitativa, allo sbriciolamento operato dalla divisione”. Ragion per cui “siamo diventati analisti del mondo e anche dell’anima e non siamo più in grado di cogliere la totalità”, che è somma di emozioni e virtù, ma anche di mali e tragedie pronte a mettere in discussione e a compromettere l’esistenza. Così, per Karl Kraus (scrittore, giornalista, aforista, umorista, saggista, commediografo, poeta e autore satirico austriaco) trasferire Gli ultimi giorni dell’umanità dal teatro all’operetta fu un gioco amaro ma eloquente. E per Friedrich Durrenmatt (scrittore, drammaturgo e pittore svizzero), divenne essenziale e preponderante la convinzione che, tutto sommato “a noi conviene ormai solo la commedia” essendo chiaro che “il nostro mondo è arrivato per la stessa via al grottesco e alla bomba atomica”.

C’è assai poco da stare allegri. Però, potremmo andare oltre e vedere cieli e terre nuove fidando nella “ricerca del fondamento e del senso”. Evandro Agazzi, filosofo contemporaneo, dice che è possibile, addirittura che basterebbe approfondire La conoscenza dell’invisibile (sua ultima fatica letteraria, pubblicato da Mimesis) per trovare respiro e, magari, risposte a domande rimaste inevase. Del tipo: “L’Universo è solo un’Idea? Dio è solo un’Idea? L’anima spirituale dell’uomo è solo un’Idea? Il dovere, la giustizia, la rettitudine morale e tanti altri valori per i quali gli uomini molto spesso ritengono che valga la pena di vivere e anche di morire sono soltanto Idee? Oppure a esse corrispondono altrettanto realtà che pur essendo invisibili è possibile conoscere in forme e modalità adatte?”. Mi professo ignorante. Però, almeno, lasciate che mi crogioli nella convinzione di essere uno dei tanti che guardano il mondo, lo raccontano, lo amano e lo vorrebbero in sintonia coi sogni e le speranze. Evandro Agazzi dice però che “l’immagine corrente che si ha della scienza e della tecnologia è quella di un sapere e di un operare capaci di attingere certezze indiscutibili e risultati pratici strepitosi, di un qualcosa che ci stupisce, ci rassicura e ci inquieta, ben più che farci riflettere, pensare, giudicare”.

Tutto ciò vale ancor di più in una società dominata dal caso e dall’imprevedibilità, manifestatisi nelle varie crisi che hanno colpito questi due decenni del XXI secolo con eventi e modalità (dall’11 settembre alle catastrofi economiche e ambientali, dal Covid alla guerra in Ucraina, alle alluvioni in Pakistan, agli incendi in Amazzonia, all’alluvione di una porzione d’Italia capace di stroncare vite innocenti) ) che hanno messo ancor più sotto scacco l’idea di progresso, già sgretolata dalle tragedie delle guerre mondiali e dei totalitarismi del secolo scorso. “Considerando questi esempi – ha scritto Agazzi – appare del tutto ingenuo pensare che ormai siamo riusciti ad eliminare radicalmente l’imprevedibilità del futuro”. Se così stanno le cose, come faremo, io e voi, a immaginare e costruire il futuro? Riscoprendo le categorie filosofiche e pratiche della prudenza e della saggezza, dato che “le sfide del nuovo e dell’imprevisto esigono risposte basate su una creatività, una plasticità, un’adattabilità che non possono scaturire da un vuoto relativista o agnostico, bensì da una ricchezza di convinzioni che ci spinge a cercare, in qualunque circostanza, ciò che è meglio e che dipende da noi”. Perché solo ritrovando valori e ideali forti potremo guardare ancora al futuro con rinnovata e solida speranza.

Dicevo che questo che viviamo è un tempo contrassegnato da problemi che solo la Pace, solo la Concordia, solo la Politica buona, solo l’accanimento nella ricerca del Vero, del Buono e del Bello (in questo ordine, mi raccomando) può risolvere. Si tratta di passare dall’attesa alla ricerca di ciò che serve e conviene per affermare che vero, buono e bello sono parte di noi e della società a cui apparteniamo. Teniamo allora in evidenza le parole sagge, per esempio quelle di Francesco, il papa delle cose impossibili che volendo possono diventare possibili (lui dice che “il nostro mondo ha urgente bisogno di pace, ha bisogno di ritrovare armonia… vengo per amplificare il grido di tanti che implorano la pace, via di sviluppo essenziale per il nostro mondo globalizzato…” e ha ragione; aggiunge che “la tutela della libertà, aspirazione scritta nel cuore di ogni uomo, unica condizione perché l’incontro tra le persone e i gruppi sia reale e non artificiale, si traduce nella società civile principalmente attraverso il riconoscimento dei diritti, accompagnati dai doveri… che “ovunque occorre che la democrazia e la modernizzazione non siano relegati a proclami, ma confluiscano in un concreto servizio al popolo: una buona politica fatta di ascolto della gente e di risposte ai suoi legittimi bisogni, di costante coinvolgimento della società civile e delle organizzazioni non governative e umanitarie, di particolare attenzione nei riguardi dei lavoratori, dei giovani e delle fasce più deboli…” e ha di nuovo ragione). Poi, con coraggio mettiamo poi le parole prive di saggezza e verità dove nessuno le possa usare.

Fra sette giorni andrò a votare e voterò chi più mi avrà convinto che le ragioni della politica non sono commerciabili e negoziabili. Nel frattempo, cioè mentre “il racconto ideologico e in negativo degli eventi condiziona vita e società più dei fatti concreti, è tempo di narrare diversamente”, magari per dimostrare, insieme allo storico Jonathan Gottschall, che “dietro ai più grandi mali della civiltà c’è sempre una storia che confonde le menti”, che “le nuove tecnologie amplificano gli effetti delle campagne di disinformazione, così come le fake news rendono impossibile separare i fatti dalla finzione…”. Ma, allora, come potremo salvare il mondo dalle storie? Semplice o complicato se volete, ma possibile. Vale a dire “razionalizzando, adducendo argomentazioni supportate da prove…”. Infatti, se le persone prestano attenzione, se sono persuase, se il messaggio ricevuto lo ricordano bene e, soprattutto, se il messaggio lo amplificano condividendolo nelle loro reti sociali, allora storie ed emozioni battono le argomentazioni: quelle razionali ma anche quelle negative. Sette giorni fa mi appellavo al discernimento, oggi e nei prossimi sette o cento giorni invocherò prudenza e saggezza…

LUCIANO COSTA

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