Cadde il muro, il vergognoso muro che divideva Berlino e il mondo in due parti: di qui i buoni, di là i cattivi. Però col dubbio di non sapere chi fossero i buoni e chi i cattivi. Poi, in realtà, si seppe chi erano gli uni e chi erano gli altri. Ma la storia fece finta di niente e tra le sue pagine mise la data della caduta del vergognoso muro, scritta per significare che da lì in poi tutto sarebbe stato diverso. E per salutare quella data – 9 ottobre 1989, ricordate? – si consumarono evviva e si scrissero propositi che assicuravano che mai più un muro si sarebbe alzato per dividere persone pensieri e speranze. Invece… Invece altri vergognosi muri sono stati alzati, altri muri sono stati collocati a difesa di chissà quale ragione (o anche proprietà-preminenza-potere-diritto), magari la più assurda, quella che stabilisce che di qui ci siano i buoni e di là i cattivi, però, come prima, senza specificare quale sia la parte dei buoni e quale quella dei cattivi, e anche senza stabilire chi siano e di che colore abbiano la pelle i buoni e chi siano e quale sia il colore della loro pelle i cattivi, autorizzando con ciò a immaginare che gli uni siano gli altri e i primi come i secondi.
Trentacinque anni fa cadde il muro (era stato costruito nello spazio di una notte, di una notte perversa – quella del 13 agosto 1961, lo ricordate?) che vergognare faceva qualunque persona si ritenesse civile.
Allora, per salutare la caduta del muro che della democrazia e della convivenza aveva fatto brandelli, mi buttai per strade oscure fino a raggiungere quella Berlino che si liberava del muro. Vidi la sterminata distesa di mani che applaudivano, sentii il canto libero e gioioso che salutava il ritorno della libertà, piansi di gioiainsieme a sconosciuti accorsi fin lì per vedere sorgere un nuovo mondo, toccai i frammenti di quel muro e un vecchio che contro quel muro aveva visto infrangersi sogni e speranze, prese una manciata di muro – tre piccoli frammenti, nulla più – e mi pregò di accettarla e di trasformarla in monito contro ogni idea di nuovi muri fatti per dividere e mortificare la Ragione, per demolire il diritto di stare insieme, per impedire ai sogni di avverarsi, per imporre confini e limiti invalicabili, per rimettere in circolo la tragica storia, per molti tragicomica, tragica comunque, dell’uomo che uscito per comprare le sigarette si trovò oltre il muro senza poter ritornare alla sua casa dove mamma moglie e figli lo attendevano…
Nella notte tra il 9 e il 10 novembre di 35 anni il violoncello di Mstislav Laopoldovich Rostropovic, diffuse sulle macerie, sul popolo e sul mondo le suite di Bach, prima quelle in maggiore, per testimoniare tutta la propria felicità, poi qualcuna in minore, per ricordare i caduti che tentarono invano di attraversarlo. Poi smise di suonare e insieme a chi c’era e credeva che l’orrore non avrebbe mai più avuto udienza si mise a piangere. Rostropovich aveva voluto essere presente all’evento della caduta del muro e per esserci aveva noleggiato un aereo a Parigi per arrivare a Berlino e confermare così il suo amore per la libertà, in nome e in onore della quale, nel 1974, aveva abbandonato l’Urss a seguito delle persecuzioni del regime, che lo teneva d’occhio in particolare per aver ospitato a casa sua, per quattro anni, lo scrittore, dissidente e perciò perseguitato, Solzhenitsyn. Il grande musicista, nel 1979,venne privato dal regime comunista della cittadinanza…
Non è possibile tradurre quella musica in parole. Invece è possibile rimettere in circolo le parole che nella canzone “Wind of Change” (“Vento del cambiamento”, degli Scorpions), in quel novembre 1989, diventarono “breccia di speranza che rivitalizzava un terreno inaridito dai totalitarismi, dalle divisioni e dalle dittature che avevano insanguinato il Novecento…”. E benché siano passati trentacinque anni, sono dittature e derive dalle quali il mondo non è ancora libero. Perché ancora adesso gli umani, come già prima (leggete o rileggete “Guerra e pace” l’imponente romanzo che Tolstoj scrisse quando mancavano ancora cent’anni all’inizio della costruzione del vergognoso muro di Berlino)“s’incontrano per uccidersi l’un l’altro… e poi celebrano riti di ringraziamento per festeggiare la vittoria… Come fa Dio da lassù a guardare e ad ascoltarli?”. Il breviario domenicale di Ravasi è perentorio e drammatico e spinge a chiedersi come fa Dio a rimanere indifferente di fronte a un muro fatto non per sorreggere ma per dividere, davanti alla guerra e ai suoi cantori, nulla più che belve assetate di sangue (Erasmo faceva derivare il termine guerra, in latino bellum, da belua, ovvero belva), “perché è da belve, non da uomini, impegnarsi in uno sterminio reciproco”, permettendo a predicatori di sventura di avere udienza, tollerando la cultura dell’offesa e dell’invasione quando invece serviva serve e servirebbe dar credito e ascolto alla cultura che educa alla pace, che “per il mondo – dice il Talmud giudaico – è ciò che è il lievito per la pasta”? Io non lo so e forse la risposta dovrei cercarla prima qui piuttosto che lassù.
Frugando tra le memorie e i libri accumulati, ho ritrovato stamani uno dei tre frammenti del muro di Berlino avuti in dono dal vecchio che avevo incontrato sulle macerie. E insieme al frammento c’era anche, sgualcito e ma ancora vivo, il testo di quella canzone degli Scorpions. Diceva e dice:
Camminavo lungo il fiume Moskva
Fino a Gorky Park
Ascoltando il vento del cambiamento
Una calda sera di agosto
I soldati passavano
Ascoltando il vento del cambiamento
Il mondo si sta riunendo
Hai mai pensato
che potremmo essere così vicini,
come fratelli
Il futuro è nell’aria
Lo sento dappertutto
Soffiato con il vento del cambiamento
Portami nella magia di questo attimo
In una notte fantastica
Dove i bambini di domani sognano
Nel vento del cambiamento
Camminando lungo la strada
Lontani ricordi
Sono sepolti nel passato per sempre
Io seguo la Moskva
Fino a Gorky Park
Ascoltando il vento del cambiamento
Portami nella magia di questo attimo
In una notte fantastica
Dove i bambini di domani
condividono i loro sogni
Con te e me
Portami nella magia di questo attimo
In una notte fantastica
Dove i bambini di domani sognano il futuro
nel vento del cambiamento
Il vento del cambiamento
Soffia in faccia al tempo
Come una tempesta
che suona la campana della libertà
Per la pace della mente
Fai suonare dalla tua balalaika
Le cose che vuole dire la mia chitarra
Portami nella magia di questo attimo
In una notte fantastica
Dove i bambini di domani
condividono i loro sogni
Con te e me
Portami nella magia di questo attimo
In una notte fantastica
Dove i bambini di domani sognano il futuro
nel vento del cambiamento.
Il frammento del muro di Berlino e il testo della canzone che dal muro traeva note di speranza li ho rimessi a nuovo e riportati dove i libri ricordano a me e a chiunque si avvicini che è nel sapere il segreto per cancellare l’orrore dei muri innalzati per dividere e offendere la libertà, negare la democrazia, imporre la guerra al posto della pace. Facendo posto al frammento di muro e al vento del rinnovamento ho incontrato un poetico corsivo, scritto da Alberto Caprotti, invitante ad aprire gli occhi per vedere oltre il veduto. Dice lo sconosciuto ma già amico cronista: “Se davanti a te vedi tutto grigio, sposta l’elefante…”. Aggiunge di averlo letto, quel magnifico aforisma-epigramma o altro, a piacimento, “su un muro qualche anno fa, forse scritto da qualcuno per regalare un sorriso gratis. Scritto, non postato, taggato o inviato”, semplice meraviglia archeologica “poesia che si può lavare”. Poi rammenta e riferisce… di essere stato. come tanti, a Berlino “per vedere ciò che rimaneva di quel muro più famoso di tutti”, a cercare le scritte, più che la storia. Perché i messaggi sui muri hanno dentro tante cose, pensieri e persone, fanno immaginare vicende che sbavano sui mattoni…”. Se così è, ed è proprio così, alla faccia dei ghirigori che appaiono sui media, “ci vorrebbe un progetto per salvare la memoria collettiva attraverso le scritte che si leggono ancora sui muri… Le scritte appiccicate sui muri come strumento “per spiegare a quelli che verranno la storia recente”, per far sapere chi siamo o, almeno, chi vorremmo ancora essere.
Sono tornato a Berlino dopo quel 1989: il muro era un ricordo, un pezzo lasciato qui e là per dimostrare l’orrore patito. Però, camminando su “Viale dei tigli” dopo aver lasciato alle spalle la porta di Brandeburgo, ho risentito le note del Bach suonato da Rostropovich e il “vento del rinnovamento” cantato dagli Scorpions. E di nuovo ho immaginato che il cielo sopra Berlino fosse azzurro, avanguardia di cieli e terre nuovi.
LUCIANO COSTA