Il Domenicale

Quanto vale un pensiero e quanto costa un gol…

Ma dai, credi ancora che la gente possa distogliere lo sguardo dal futile per orientarlo all’utile, che possa davvero abbandonare lo scintillio dell’oro e così scoprire che c‘è altro e meglio di cui occuparsi? Tranquilli: non è un testo di alta filosofia, è soltanto la sintesi di una serata in piazza, una delle tante che caratterizzano la vacanza d’agosto. Al centro dei discorsi piazzaioli c’era il panorama offerto dal mercato calcistico (per alcuni vero e proprio sciupio di beni e di intelligenze, per altri anticamera di successo e successi) con un minimo d’attenzione al segno di Croce con cui un eccellente calciatore al soldo degli arabi aveva scombussolato il loro quieto vivere; di lato c’era tutto il resto (politica, guerre, fuoco, acqua, barche e barchini vaganti in mezzo al mare, salari minimi e massimi, ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, malattie e vaccini, speranze simili a utopie e utopie destinate a naufragare in un cielo senza confini) compresa la supponenza di quei due novelli Paperoni che per stabilire chi di loro debba stare più in alto hanno inventato una singolar tenzone da inscenare magari a Roma, a Pompei o chissà dove, che ovunque sarebbe certa la resa (in dollari sonanti); nell’angolo più leggero e quindi maggiormente affollato  c’era poi la musica fatta apposta per indirizzare al ballo; sopra la piazza, dalle finestre delle case affacciate, scendevano pensieri disordinati…

Uno di questi pensieri richiamava il valore della danza, quella che Battiato, illuminato cantautore, immaginava popolata da “giovani e anziani, donne e uomini, corti imperiali e balere popolari, musiche d’ogni dove, tribù e nazioni, popoli stanziali e nomadi, corteggiamenti e mistiche, scene di festa e zone di guerra” inversamente o direttamente impegnati a mostrare “l’unità e la differenza del mondo attraverso la danza”, magari anche ad osservare “la storia come una grande coreografia”. Un altro pensiero, chissà perché e per come, metteva in piazza niente meno che Blaise Pascal (forse a causa del quarto anniversario della sua nascita, salutato da una lettera apostolica scritta da papa Francesco, non mistica e neppure fideistica, invece sostanziale e densa di spunti d’attualità) e la sua pretesa di spiegare “grandezza e miseria dell’uomo”, che in questi tempi travagliati oserei riassumere in “miseria e incertezza”. Infatti, scrive Pascal, “se l’uomo è come un re spodestato, che tende solo a ritrovare la grandezza perduta e che tuttavia se ne vede incapace, chi è dunque? Quale chimera è dunque l’uomo? Quale stramberia, quale mostruosità, quale caos, quale soggetto di contraddizioni, quale prodigio? Giudice di tutte le cose, debole verme della terra, depositario del vero, cloaca di incertezza e di errore, gloria e rifiuto dell’universo. Chi sbroglierà questo groviglio?”. Non lo so. Però son certo che “quanto più si hanno lumi, tanto più si scopre grandezza e bassezza nell’uomo”.

Per fortuna (o sfortuna) la piazza era più attenta alla danza e al calcio mercato che al sommo Blaise Pascal. Ragion per cui, quasi tutto lo scibile si riversava sul valore di gambe e polpacci e piedi usati per correre e fare gol, sul valore del segno di Croce esibito da Cristiano Ronaldo dopo aver fatto gol, sul valore effettivo di un uomo prestato al mondo pallonaro… Questione di identità. Ma se invece non fosse questione di identità, che altro sarebbe? Ahimè! Immagino sarebbe soltanto questione di soldi, benedetti soldi, dannati soldi… Insomma, di vil danaro, tanto vile da essere odiato da chi non lo possiede e invece amato (e come) da chi ne dispone a bizzeffe. Per costoro (tanti o pochi non importa) spendere cento o più milioni di euro per acquistare questo o quel calciatore è un gioco, un trastullo, un modo per accrescere notorietà e magari obbligare il popolo (dei tifosi) a piegare le ginocchia in segno di riverenza e riconoscenza.

In piazza ho allora riversato la storiella contenuta nei “Carmina burana”, opera costruita su canti scherzosi oppur seriosi, che Carl Orff mise in quella che al tempo era la sua piazza (piazza allora oppressa dal nazismo) per dimostrare la sua vacuità. Tra inni a “Fortuna” e canti a “Sorte” e a “Luna” (“O Sorte, come Luna sei sempre variabile! Sempre cresci o decresci”, declama il coro), emerge il piacere della festa ma anche una lezione vera e amara sul concetto di danaro… Si scopre, ma solo volendo, che “c’è un grande vuoto fra i due pianeti, / ciascuno ignora che l’altro c’è. / L’enorme abisso separa i due mondi, / ognuno pensa a sé, come sa. / Sono divisi anche i loro destini: / uno non sa la notte, l’altro il giorno”. In questo modo, stai certo, “la felicità non puoi trovarla in te / ma nell’amore che agli altri un giorno darai!” Magari quando scoprirai che “…del dolore non c’è ricordo…”, perché “soltanto oggi comincia la vita”. Ovviamente se e come vorrai.

Ma è ancora questione di identità o l’identità, di fronte al danaro non c’entra più, va a ramengo o a farsi benedire? Ognuno decida dove intende rimanere e a quale astro ubbidire. Però, non faccia lo gnorri se qualcuno gli suggerisce di pensare e ragionare sull’essenza del danaro.  Carl Orff, che ringrazio per avermi regalato “carmina” con cui trastullarmi anche in questa strana estate, mette in scena la lezione sul danaro in modo scherzoso però non banale. Dice:

“Sulla terra sommo e caro è oggidì solo il denaro.

Il denaro ama il signore e ne pare servitore,

Il denaro ama la curia e ne teme la penuria,

Il denaro venerato dall’abate è, e pur del frate,

Il denaro tiene impero sul priore in saio nero,

Il denaro dà consigli a chi siede nei concilii,

Il denaro porta pace ma anche guerra se gli piace

Il denaro fa azzuffare e può i ricchi rovinare

Il denaro può all’istante arricchire il mendicante

Il denaro compra e vende, quel che ha dato si riprende

Il denaro è adulatore ma poi dopo è traditore

Il denaro sempre mente, è sincero raramente

Il denaro fa spergiuro il vivente e il morituro

Il denaro il tirchio sogna e l’avaro sempre agogna

Il denaro fa la dama mentitrice e cortigiana

Il denaro fa regina chi era stata una sgualdrina

Il denaro fa rapaci anche i cavalieri audaci

Il denaro crea più i ladri che nel cielo astri leggiadri

Se il denaro è processato, raramente è condannato

Se il denar vince il processo anche il giudice, commosso,

il denaro manda assolto e giustifica il maltolto.

Ma il denaro, che è impudente, del delitto non si pente

Del denaro immantinenti garantiscono i presenti.

Se il denaro apre la bocca male al povero ci tocca,

Il denar placa i tormenti ed allevia i patimenti

Il denaro morte arreca e sovente il saggio acceca

Il denaro fa sapiente anche il pazzo ed il demente

Col denaro tu hai dottori ma anche amici traditori

Il denaro alla sua mensa ha di cibi copia immensa

Il denar ti dà squisiti piatti e pesci ben conditi

Il denaro beve vino della Francia e oltremarino

Il denaro indossa cose assai nobili e preziose

Il denar con quelle vesti splende come mai vedesti

Il denaro ha dei diamanti che dell’India sonio i vanti

Il denaro assai ci tiene a veder curvar le schiene

Il denaro la città avvilisce oppur tradisce

Il denaro è venerato e guarisce chi è malato

Il denar come un belletto ti corregge ogni difetto

Il denaro reca onore a chi è privo di valore

Il denaro rende amaro ciò che è dolce e ciò che è caro

Il denar fa il sordo udire e lo storpio camminare.

Del denaro mi compiaccio di dir cose che non taccio:

il denaro spesso appare celebrare anche all’altare,

il denaro odi cantare nell’assolo, e il coro fare

Il denaro vedi che piange quando il suo sermone finge,

Ma sogghigna di nascosto per l’inganno che ha disposto

Senza lui nessuno è amato, ubbidito ed onorato,

col denaro anche il malvagio può sentirsi a proprio agio.

Il denaro soprattutto regna e impera dappertutto.

E’ soltanto la saggezza che ne fugge e lo disprezza”.

Meditiamo e divertiamoci, gente. Che nel doman non v’è altra certezza se non quella del sole che, in ogni caso, sorgerà per me, per te, per noi e per voi…

LUCIANO COSTA

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