Il Domenicale

Ricordando Paolo VI, un Papa amico vero e sincero

Passano gli anni, non si esaurisce il ricordo di un Papa – Palo VI – che ostinatamente continuo a considerare “amico vero e sincero”. Fra due giorni -il 6 agosto – ricorre il 46mo anniversario della sua morte… Era un giorno qualsiasi, divenne il giorno in cui il mondo s’accorse di essersi ritrovato improvvisamente più povero Più povero di amici su cui contare per ritrovare ragioni da spendere al mercato del buon vivere e di pensieri adatti a rendere meno faticoso il procedere quotidiano. Nel suo declinare, infatti, quel giorno portava con sé il Papa del dialogo, della civiltà dell’amore, del progresso dei popoli, della fratellanza, dell’unità, della pace che non è solo assenza di guerra ma affermazione della giustizia...Grande, quel Papa! Certo, un grande Papa, ma anche un “grande bresciano”. Uno che “ha saputo pensare in grande e con grande finezza, che ha saputo agire con realismo, promuovere nella società e nella chiesa quella solidarietà operosa che è premessa e preludio della civiltà dell’amore, di cui – annotava padre Pier Giordano Cabra – sentiamo tanto la nostalgia!”. Allora, scrivendo per ricordarlo, neppure mi sfiorò l’idea di racchiudere, maldestramente, in un libro emozioni e cronache con l’intento di raccontarlo a uso e consumo dei semplici e umili. Però, quando “addosso a quel papa” cadde il peso della santità che gli assegnava, per incominciare, il titolo di Beato, quell’idea di nuovo bussò alla porta trovando udienza.

Correva l’anno 2014 e tra la selva dei libri pensati e scritti da storici e letterati, fece capolino anche quello sillabato da un curioso cronista del tempo (forse io o forse solo quel che credevo d’essere) che infischiandosene delle regole imposte dalla biografie, metteva insieme, cucendoli col filo delle emozioni, ricordi, pensieri, annotazioni e date di una vita ben spesa e ben donata, prima ai semplici ignoranti e poi ai dotti sapientiDalla prima edizione alla quinta (uscita in questi giorni) sono trascorsi dieci anni e in questo succedersi di giorni hanno trovato posto quelli della “canonizzazione”, che al titolo di “Beato” aggiungevano quello di “Santo”, per me e per chissà quanti altri “l’amico vero e sincero”. Aggiungendo pagine alle stesure già stampate ho anche riscoperto la “solitudine del papa”, che sempre considero amico vero e sincero. Grazie agli scritti di Pier Giordano Cabra, ho compreso che Egli “cercò la solitudine per temperamento, la temperò con l’amicizia, l’abitò con la sua straordinaria riflessione, la illuminò con la sua fede, ne accettò le asprezze quando fu imposta e con il suo amore ne fece la fonte di energia e di luce per i molti che guardavano a lui” fino a scoprire che il riconoscimento del titolo di Santo gli venne dato in modo particolare per aver vissuto eroicamente, oltre alla solitudine e alla mitezza, anche l’ultima delle beatitudini, forse quella meno citata, quella che dice: Beati voi, quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male per causa mia: rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. E questa ultima beatitudine, Lui la visse “soffrendo, ma senza battere ciglio”.

Così, ecco la quinta edizione di una “storia” che non conosce confini, destinata a non finire, perché la storia dei Santi non conosce fine. L’occasione, però, non poteva ridursi a una semplice riproposizione. C’era infatti il “tempo della santità” che meritava attenzione e qualche riflessione. Magari per immaginare in che modo San Palo VI avrebbe letto i fatti nuovi riferendosi a pensieri già espressi e a parole già pronunciate. Così, di nuovo, ho ripreso le pagine della storia e della cronaca cercando motivi e appigli con cui affrontare il tempo della sua santità. L’attenzione s’è focalizzata su tre punti essenziali e irrinunciabili: la Pace; la vicinanza ai malati; l’Europa. A ciascuno dei temi, nella parte finale della nuova edizione, ho dedicato pagine che riassumono pensieri, ammonimenti, riflessioni e incoraggiamenti firmati da Paolo VI e narrati, in alcuni casi, da testimoni diversi. Ognuno dei tre punti l’ho presentato facendo riferimento agli insegnamenti, alle lezioni, agli ammonimenti e orientamenti donati dal Santo Papa bresciano al mondo. Dall’insieme emerge la grandezza del pensiero, la sua attualità e la sua insostituibilità. Non stupisce, allora, che venga tuttora spontaneo, visitando il tempo di San Palo VI, ripetere insieme al più umile dei devoti: “Grande Papa è stato ed è questo San Paolo VI”.

Raccogliendo pensieri e ricordi, magari adatti per ricordare l’anniversario della sua morte, ho scoperto che il 6 agosto, però di sessant’anni fa, Paolo VI consegnava al mondo la sua prima Enciclica, intitolata “Ecclesiam suam, straordinario invito al dialogo semplice aperto coraggioso, metodo per difendersi dall’irruenza dei venditori di fumo, dalla protervia dei cercatori di consensi costi quel che costi e dalla pochezza di troppi imbonitori, dentro e fuori la Chiesa. Quell’Enciclica diceva e continua a dire che il dialogo “non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo; la sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la carità che diffonde, per l’esempio che propone; non è comando, non è imposizione; è pacifico, evita i modi violenti; è paziente; è generoso.

Secondo Andrea Tornielli, editorialista vaticano, “bastano queste poche parole per intuire la straordinaria attualità della lettera montiniana, uscita interamente manoscritta dalla sua penna a poco più di un anno dall’elezione pontificale, a Concilio ancora aperto. Il Papa bresciano – aggiunge Tornielli – definiva «dialogo della salvezza» la missione di Gesù, osservando che «non obbligò fisicamente alcuno ad accoglierlo; fu una formidabile domanda d’amore, la quale, se costituì una tremenda responsabilità in coloro a cui fu rivolta, li lasciò tuttavia liberi di corrispondervi o di rifiutarla». Una forma di rapporto che fa trasparire «un proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà da parte di chi lo instaura; esclude la condanna aprioristica, la polemica offensiva ed abituale, la vanità d’inutile conversazione». Non si può fare a meno di notare la distanza siderale di questo approccio da quello che caratterizza tanto chiacchiericcio digitale da parte di chi giudica tutto e tutti, usa linguaggi sprezzanti e sembra aver bisogno di un “nemico” per esistere. Il dialogo, che per Paolo VI è connaturato all’annuncio evangelico, non ha come obiettivo l’immediata conversione dell’interlocutore – conversione che peraltro è sempre opera della grazia di Dio, non della sapienza dialettica del missionario – e suppone «lo stato d’animo di chi… avverte di non poter più separare la propria salvezza dalla ricerca di quella altrui». Non ci si salva da soli, insomma. Né ci si salva alzando steccati o rinchiudendosi in fortini separati dal mondo per curarsi dei “puri” ed evitare contaminazioni. Il dialogo è «l’unione della verità con la carità, dell’intelligenza con l’amore». Non è l’annullamento dell’identità di chi crede che per annunciare il Vangelo sia necessario conformarsi al mondo e alle sue agende. Non è l’esaltazione dell’identità come separazione che fa guardare gli “altri” dall’alto in basso. «La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio», perché «ancor prima di convertirlo, anzi per convertirlo, il mondo bisogna accostarlo e parlargli». E il mondo, spiega Paolo VI, «non si salva dal di fuori».

Ma la prima enciclica di Papa Montini, fin dalle sue prime parole, contiene altre preziose indicazioni per i tempi che stiamo vivendo. Dicendo infatti Ecclesiam suam, ribadisce che la Chiesa è “sua”, è del suo fondatore Gesù Cristo. Insomma, non è “nostra”, non è costruita dalle nostre mani, non è frutto della nostra bravura. La sua efficacia non dipende dal marketing, da campagne studiate a tavolino, dall’auditel o dalla capacità di riempire gli stadi. La Chiesa non esiste perché è capace di produrre grandi eventi, fuochi d’artificio mediatici e strategie da influencer. Invece, esiste e sta nel mondo per far balenare, attraverso la testimonianza quotidiana di tanti poveri cristi, di sicuro peccatori perdonati, la bellezza di un incontro che salva e dona un orizzonte di speranza…”

Adesso, in questo travagliato 2024, quando gli anni della santità di Paolo VI si sommano e ogni volta stupiscono per l’ampiezza che di quella santità recano in dono, cosa resta di quel Papa mite coraggioso innovatore, ma anche spesso incompreso e perciò dipinto qual portatore di mestizia piuttosto che di gioia, tessitore di contrasti invece che costruttore di strade e ponti sui quali far transitare, insieme al perenne annuncio del Vangelo e della sempre rivoluzionaria attualità delle Beatitudini in esso annunciate, quel “nuovo umanesimo planetario” e quella “civiltà dell’amore” che Lui, magistralmente, aveva indicato quali vie obbligatorie per assicurare pace e concordia al mondo intero?

Ognuno risponda a suo modo. Io resto convinto che neppure una parola da Lui pronunciata e nessun gesto da Lui compiuto possono essere dimenticati.

LUCIANO COSTA

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