Il Domenicale

Ridere per sopravvivere e anche per votare

C’è poco da ridere. E non è un bel segno. Piange il mondo e piangono coloro che lo abitano (ovviamente non tutti, solo stragrande maggioranza) che sulle spalle portano il peso di una crisi aggravata da disuguaglianze così evidenti e assurde da far inorridire chiunque coltivi ancora la pianta dell’uguaglianza, magnifica e irrealizzata utopia. Fanno ridere tanto la goffaggine dell’attempato individuo – maschio o femmina non importa – che sale e scende da scale, predellini, poggioli, davanzali e palcoscenici per miracolo mostrare incurante di sembrare appunto goffo e sicuramente fuori posto, quanto la sfacciata presunzione di giovanotti e sfitinzie che la loro condizione di umani in ascesa virgulti poderosi di un ceppo mantenuto a latte e miele – la esibiscono senza neppure preoccuparsi di aggiungervi un certo non so che di pensiero pensato-meditato-provato-sofferto-confrontato-ragionato e, magari, masticato così a lungo da renderlo commestibile-comprensibile-fruibile-intelligibile, se non a tutti almeno a tanti.

Fanno sorridere i cultori delle mezze misure, del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto (conferma della più esecrabile parità: uno vale l’altro; destra e sinistra, ma anche ricchezza e povertà, pari sono; bene e male si compensano e non è detto che fare bene il Bene serva ad annullare il male), delle equidistanze, del mal comune mezzo gaudio, delle scarpe rotte che fanno intelligenza(mentre invece quelle firmate fanno sempre e solo moda), del voto dato a casaccio o non dato con cognizione di causa (non serve votare, basta uno/una che comanda e che Giove ce la mandi buona).

Fanno sghignazzare i predicatori di sventura (sanno di essere bugiardi sostenitori del peggio, ma credono di essere amati per il semplice fatto che l’opposto di quel che dicono forse potrebbe anche essere il reale e non l’esecrabile destino delle masse), i fintitonti (finti ma finemente e intimamente coscienti del nulla che rappresentano), i cacciaballe, gli gnorri, i disfattisti, i neristi e i rossisti, i rosa-pallidi, i verdastri, i grigi e anche i dorati, ma anche gli intonacati che annunciano la rivoluzione del Vangelo senza mai applicala e gli oscuri loro pari che su altra sponda impongono regole e comportamenti che sebbene dettati da fede incrollabile (sic) in qualcosa di alto e giusto sono l’antitesi del giusto edell’alto.

Fanno infine scompisciare dal ridere, ridere a crepapelle, sbellicarsi quelli e quelle che facendo colazione sorridono e alla telecamere web per augurati un buongiorno davvero buono (“una sorta di fidelizzazione – scrive Filippo Ceccarelli a proposito del buon giorno dato alla platea dei social collegati dai citati quelli edalle citate quelle –, un po’ ruffiana, che poco ha a che fare con la politica intesa come soluzione dei problemi, ma molto con il proporsi quali figure vicine, affettuose, disposte a condividere le piccole gioie della vita”), quasi bastasse quello a far dimenticare il gramo e a fare spazio al gradito.

Dell’infinita serie di ridenti, sorridenti, ghignanti e sghignazzanti son pieni i canali (televisivi e social) e son colmi i palcoscenicimessi in piazza per elevare ora il canto ora la battuta cretina di menestrelli, cantastorie e politicanti in cerca di consensi.Insomma, mi restano intelligibili i loro dialoghi, i loro ammiccamenti, le loro arcaiche promesse, i loro modi giovanilistici di presentarsi per dire per lo più sciocchezze, che se ammesse nel giovanilismo post-adolescenziale e adolescenziale lì sono soltanto pantomime irriguardose e stupide assai. Però, lo ammetto, se non riesco a intendere (derivato dal latino “intelligere”) è solo colpa mia. Infatti, come mi spiega il grande dizionario Treccani, sono uno dei tanti a cui manca il necessario intelletto per conoscere e comprendere (se non tutto di sicuro tanto), uno che svegliandosi, tutt’al più “s’accorge d’aver le mani come prima, il naso come prima, tutto come prima, pur essendo completamente diverso…”.

Poi, cosa sia accessibile all’intelligenza, resta un mistero. Certo, che tale intelligenza, se posseduta, possa essere chiaramente espressa usando (bene, mi raccomando) appropriate metodologie –discorsoteoriadottrina, principî, distinzionisottigliezze, testo, scritturavocesuono – e appropriati interpreti – autorescrittorepoetaoratore, politicoè fuor di dubbio, almeno fin quando scadendo nel linguaggio filosofico diventa “spesso sostantivato con valore neutro e con riferimento a ciò che può essere compreso con il solo intelletto: l’intelligibile e il sensibileil mondo e la sfera dell’intelligibile. Importante, nell’uno e nell’altro caso, è scrivereparlare e pronunciare intelligibilmente.

Nicola Boccola dice che “non sono più i tempi del risus abundat in ore stultorum, come invece afferma il monaco cieco Jorge di Burgos nel romanzo (il nome della rosa) di Umberto Eco”. Certo, “Cristo non rideva e il riso è fonte di dubbio” tanto che per secoli si è considerato indegno, dissacrante, pericoloso quel movimento di viscere, pelle e muscoli. E forse – spiega Boccola – i sospetti degli esponenti del cristianesimo medievale non erano così campati in aria. Più in qua negli anni è però emersa la natura sovversiva e rivoluzionaria della risata. Al grido di “una risata vi seppellirà”, grido di battaglia di anarchici prima e contestatori del Sessantotto poi, chi rideva era libero e non aveva più paura. La qual cosa, forse assurda, fece tanta scuola da indurre più d’un politicante a mettere nella sua comunicazione barzellette e facezie degne del peggior attor comico, corollario emblematico del nulla da dire e della nullità di pensiero posseduti, dimostrazione eloquente, almeno secondo il pensatore Jan van Hoof, che “una delle prime radici del comico e del ridicolo sarebbe lo sguardo di gioia maligna” che accompagna ogni parola da lui pronunciata.Preferisco però riferirmi al poeta Giacomo Leopardi che con cipiglio e piglio marchigiano asseriva che purché fosse sano, veritiero, simpatico e mai banale il ridere concilia stima e rispetto anche dagl’ignoti, tira a sé l’attenzione di tutti i circostanti, e dà fra questi una sorte di superiorità.

In un anfratto di Internet c’è scritto che la risata è “il fenomeno umano tra i più complessi e affascinanti, da sempre al centro di discussioni e dibattiti”. Anche che la risata quotidianamente permea la nostra vita individuale e sociale e da sempre suscita la curiosità dei filosofi, oltreché di poeti e scrittori che, riconoscendole un ruolo centrale in ogni sistema sociale oltre che i caratteri di un potente mezzo di comunicazione fra gli uomini, ne hanno fatto l’oggetto di una ricerca seria e complessa. Aristotele, Platone, Catone, Ippocrate, Galeno e chissà quanti altri, contemporanei compresi, fanno testo.

Tutto questo per dire-affermare-confermare-confutare-analizzare e commentare (per altro in un tempo difficile-complicato-ostico-insidioso-impervio e difficile da digerire oltre che da decifrare)che cosa? Semplice: per dire che fra venti giorni si va a votare avendo come bagaglio al seguito una serie di strepitosa di promesse e ammiccamenti degni, ripeto, dei migliori comici.Proprio questa convinzione mi ha permesso ieri di ridere a crepapelle vedendo una schiera di cartelloni elettorali piazzatiproprio davanti al cimitero di Ludriano (frazione di Roccafranca, comune italiano in provincia di Brescia). Li ho pensati messi lì ad arte, così che i morti e sepolti potessero vedere, comprendere, intendere e quindi decidere a chi dare il loro consenso e voto.

Ma state allegri: questo non è altro che un domenicale.

LUCIANO COSTA

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