Il Domenicale

Rimirando stelle e ascoltando grilli…

E’ domenica, una bella domenica, una domenica di sole e caldo, giusta premessa alle sospirate vacanze. Eppure, non riesco a togliermi dalla testa che nessuna domenica è bella, felice, vivibile e godibile se resta gravata da questioni e questioncelle a cui si dà il passa là, ma che non per questo smettono di preoccupare. Hanno tanti nomi queste questioni e questioncelle: ognuno scelga quella che più gli aggrada e la circondi di opportune riflessioni. Ieri l’altro, di fronte alla prospettiva di vedere o non vedere oggetti sconosciuti occupare il mio piccolo mondo (prospettiva resa palpabile da oggetti non identificati visti o immaginati scorrazzare nel cielo sopra di noi) ho deciso di prendere per buona l’affermazione secondo la quale è certo che “esistono ma non si sa che siano”.

Mentre pensavo a improbabili o anche probabili viaggiatori venuti dallo spazio, mi sono imbattuto nella selva oscura in cui sono arenati i sogni di gloria cullati da giovanotti in cerca di futuro a buon mercato al mercato della politica. Mi sono allora chiesto: “Sono gli ufo o i cinquestelle?”. Benché tentato dagli ufo ho risposto che si trattava dei cinquestelle, detti grillini fino all’altro ieri, diventati grulli ieri e certificati girotondini oggi. Tradotto significa che lor signorini sono immersi in un tal guazzabuglio che mezzo ne basterebbe per far girare la testa. Dentro quel gran guazzabuglio, scrive Sebastiano Messina “Conte ha i voti, ma non il comando. Di Maio ha il potere, ma non il titolo. Crimi ha il titolo, ma non il potere. Grillo non ha il comando, né il potere, né i voti, ma il simbolo è suo e dunque si gioca con le sue regole”. Grillo e ancora Grillo. Chi sia costui lo sanno i patiti della politica e dell’umorismo a buon mercato. Quel che non si sa è il colore dei calzini che il millepiedi genovese indossa.

Leggo che sono naufragati miseramente i tentativi di far diventare i cinquestelle un partito serio, più o meno di proposta e di programma. Scopro che il fu avvocato del popolo Giuseppe Conte, preso a pesci in faccia dal padronetuttofareniente della combriccola, ha gettato la toga e si è diretto verso l’uscita, uscita diretta e non di sicurezza, regalando al comico genovese un vaffa eloquente e definitivo. Risposta adeguata al Grillo che con un colpo di coda voleva imporre la sua regola? Non lo so. Però è certo che una stagione politica, anche se sempre piena di nulla e di nulla rivestita, la stagione del grillo, è andata a schifio. “Il colpo di coda del comico genovese – secondo il già citato editorialista – dimostra che la sua creatura è irriformabile. Che un Movimento nato da un vaffa-day non può cambiare natura adottando le regole della democrazia parlamentare. Che chi è andato al potere sventolando la bandiera del populismo non può diventare liberale e democratico”, magari soltanto perché lo chiede il più narcisista (Gigetto Di Maio?) dei suoi capi.

In mezzo a tale disordine-organizzato ci siamo io e voi, amici della domenica! Che fare? Non lo so. Però consiglierei di meditare sui presupposti che hanno portato a questa situazione: c’era un gruppuscolo di svagati che amava mandare in giro il suo allegro vaffa e la maggioranza relativa degli italiani lo ha premiato; c’erano le falangi inventate da un comico per “divertirsi, stare insieme e condividere idee e proposte per un mondo migliore” e, mannaggia, la stessa maggioranza relativa degli italiani le hanno elevate a loro emblema; c’erano le avanguardie mandate dal Grillo attor comico alla conquista del Parlamento, secondo lui niente più di una “scatoletta di tonno” che doveva essere scardinata in un battibaleno (e per poco non gli riusciva); c’erano i commentatori entusiasti che nel Movimento vedevano rinnovarsi il bel sol dell’avvenire (o forse soltanto un bagliore) e mezza Italia gli ha prestato attenzione… Poi, il nulla, come se la cantata di Califano – “tutto il resto è noia, noia, noia” – si materializzasse diventando emblema piuttosto che vergogna. Ma, nel mezzo, sostava provvisoriamente la convinzione che quel modo di fare politica fosse la naturale conseguenza del progresso politico, qualcosa di indefinibile ma che i grilloparlanti vendevano con gusto al mercato dove tutto era offerto a buon mercato.    

Disquisendo attorno al tema “il Progresso” Amin Maalouf, un tipo tosto, ha ribadito che “non si tratta di chiedersi se il progresso è buono o cattivo, ma di riflettere su come le nostre società dovrebbero affrontare le conseguenze morali, intellettuali, economiche e politiche del progresso”.

Per aiutare a riflettere, il filosofo Amin mette in circolo la teoria del “progresso che è così rapido da dare l’impressione che il passato sia quasi immobile”. Così, per esempio, “sorridiamo quando, leggendo, scopriamo che, anche ai tempi dell’antica Roma, alcune persone avevano già l’impressione che il mondo stesse cambiando troppo in fretta. Ma sorridiamo meno – aggiunge – al pensiero che i nostri discendenti, che vivranno nel ventiduesimo o ventitreesimo secolo, avranno l’impressione che nel 2021 il mondo si muoveva molto lentamente”.

Non oso immaginare che nel pensiero di Amin Maalouf ci sia posto per quel che sta avvenendo dalle nostre parti (magari dalle parti dei Cinquestelle-grillo-parlanti) ma se la verità “è che non abbiamo ancora visto nulla di ciò che la scienza può scoprire, delle metamorfosi che può produrre nella nostra condizione umana, in meglio o in peggio”, posso solo immaginare che il progresso, quale che sia, “nessuno potrà fermarlo…” perché “tutto ciò che può essere inventato sarà alla fine inventato e poi testato su di noi  e, naturalmente, niente sarà mai disinventato”. E sarà “inutile maledire le innovazioni, bandirle o rifiutarle; una tale battaglia sarebbe persa in anticipo” dato che “lottare contro i mulini a vento del cambiamento, sebbene possa sembrare eroico, nel senso donchisciottesco della parola, alla fine risulterà patetico”. Ragion per cui, “l’unico atteggiamento veramente audace consiste nel comprendere a fondo le trasformazioni che il progresso ci porta, per volgerle a nostro vantaggio”, cosa che, ammettiamolo, fino ad ora non siamo stati capaci di gestire correttamente.

Difficile dire oggi cosa accadrà domani. Però, se serve, si potrebbe incominciare col dare valore all’esercizio del vedere (pratica utilissima , addirittura “indispensabile per sviluppare un’idea di ripresa che miri non solo a ricostruire quello che c’era, ma a correggere ciò che non funzionava già prima dell’avvento del Coronavirus, perché chi vuole rialzarsi da una caduta, deve confrontarsi con le circostanze del proprio crollo e riconoscere gli elementi di responsabilità”), del giudicare (ciò che abbiamo visto e vissuto ci sprona a migliorare, a muovere passi in avanti, a capire che nessuno si salva da solo, a riconoscere la vera uguaglianza, che non è un’uguaglianza astratta, ma concreta, capace di offrire alle persone e ai popoli opportunità eque e reali di sviluppo) e dell’agire (cercando un modello di sviluppo che ponga al centro “ogni uomo e tutto l’uomo”). Se interessa, i tre verbi messi qui in bella mostra, sono parte delle quotidiane lezioni che papa Francesco propone, che molti leggono e che moltissimi ignorano.

Così vanno le cose. E mentre l’Europa si interroga su uguaglianza e diritti, altrove si calpestano i più elementari diritti. Nonostante tutto oggi è domenica. E siccome è la domenica che precede la festa dei santi Pietro e Paolo, mi preparo a mettere in bottiglia la chiara d’uovo che, secondo insegnamento antico, dovrà dirmi se e come la barca di Pietro approderà a lidi felici o naufragherà nel gran mare in tempesta.

LUCIANO COSTA

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