L’indifferenza (apatia, disinteresse, insensibilità, impassibilità, freddezza, imperturbabilità, noncuranza), vocabolo controverso (in filosofia stabilisce lo stato tranquillo dell’animo, che di fronte a un oggetto-problema-persona non prova né desiderio né repulsione; nell’ascetica prefigura lo stato necessario a conseguire la vita perfetta; nell’uso comune definisce chi non mostra interessamento, simpatia, partecipazione, turbamento… più o meno chi “se ne frega”), che in ogni sua accezione, soprattutto in quella più disdicevole, regna sovrana e strana, orrenda e indesiderata… E questa indifferenza è un mostro senza occhi e senza orecchie, un abominevole ospite dell’esistenza, che nessuno vorrebbe per amica ma che ognuno ospita nelle segrete del suo essere e divenire. L’indifferenza come purificazione delle proprie colpe-mancanze-disattenzioni-distinguo…, come lasciapassare verso la spiaggia del quieto e bel vivere.
È rimasta indifferente la grande città di Milano di fronte ai morti per l’incendio divampato in una delle sue strutture riservate agli anziani… La metropoli è rimasta indifferente sebbene il suo magnifico Duomo, emblema di religiosità praticata e di civile convivenza, semideserto nel giorno che doveva consegnare memoria e affetto agli anziani vittime del tragico rogo, fosse stato scelto e spalancato per consegnare ai morti il ricordo dei vivi. Sono rimasti indifferenti i tanti che vedendo una ragazza insidiata dal un branco di giovincelli stupidi e violenti e invocante aiuto si sono voltati dall’altra parte… L’indifferenza ha messo il velo all’orrore provocato dai morti ammazzati dalla guerra e dalle guerre… L’indifferenza ha spento la luce della speranza… L’indifferenza ha seppellito la solidarietà… L’indifferenza ha reso impraticabile la strada dell’amore vero e vicendevole.
Sì, anche ieri l’indifferenza, di fronte all’immagine che raffigurava mamma e figlia morte di fatica, abbracciate l’una all’altra, col viso affondato nella sabbia del deserto (immagine pubblicata su tanti ma non su tutti i quotidiani), ha mostrato la sua ignavia… Anche ieri, infatti, tanti si sono girati dall’altra parte per non vedere, per non accorgersi del terribile male che circonda il mondo…, che si chiama disparità, differenza, non omogeneità del vivere, impari possibilità di affrontare il quotidiano, negazione della pari dignità e della pari opportunità… Le due donne, ha scritto in abbrivio di cronaca “la Repubblica”, avevano “il viso affondato nella sabbia, le braccia aperte, come chi crolla senza sapere o avere più la forza di proteggersi nella caduta: la mamma è morta all’ombra di un cespuglio rachitico, la figlia le si è accovacciata accanto con la mano infilata sotto il suo corpo, forse alla ricerca di un abbraccio o di un conforto che le non le poteva più dare. Mamma e figlia sono naufragate nel deserto, come tanti in mare, ammazzate dalla fame, dalla sete, dal caldo impietoso. Mamma e figlia, come tanti altri disperati, sono morte al confine fra la Libia e la Tunisia…”.
Queste due insignificanti-piccole-sconosciute-fragili-dolci-bellissime donne sono diventate improvvisamente il simbolo della crisi umanitaria che ci avvolge e sconvolge… Così, ancora una volta, la pietà è morta. Così la cronaca racconta “di donne, uomini e bambini costretti a sopravvivere a temperature impietose”; dice che “l’unico modo di resistere è stare distesi, limitare al massimo le energie, dimenticare la sete”; informa che “quando qualcuno viene a distribuire l’acqua, un litro lo si deve dividere in cinque”; sottolinea che “nelle zone in cui qualche scheletrico albero offre ombra, quest’ombra viene venduta a due dinari a giornata”; conferma che “di notte, quando le temperature precipitano, ci sono serpenti e scorpioni che non danno tregua, che si fanno i turni per proteggere e proteggersi, che si tenta di sopravvivere, che si aspetta una risposta, che si sogna…” l’avverarsi di una speranza di vita e di libertà.
Ieri, in quell’angolo di deserto, l’indifferenza ha imposto la sua logica, ma fino a quando continuerà a farlo? Ieri qualcuno si è vergognato, pochi hanno chiesto perdono “per l’indifferenza globalizzata” che le ha costrette a morire nel deserto, per “aver distolto lo sguardo da voi, una madre e una figlia, due persone migranti che cercavano solo un futuro migliore, o almeno possibile”, perché “nessuno vi ha teso la mano”, perché “nessuno vi ha aiutate e voi siete crollate a terra, una accanto all’altra, la bocca riarsa dalla sete e dalla sabbia”, perché “i vostri corpi esanimi sono rimasti per diverso tempo abbandonati, prima che un altro migrante li segnalasse…”, perché la politica non ha fatto il suo dovere concedendo così all’indifferenza di imporre la sua perversa ragione… Liliana Segre, testimone sopravvissuta all’olocausto, definendo l’indifferenza ha scritto che “è la chiave per comprendere la ragione del male, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore”, perché “l’indifferente è complice, complice dei misfatti peggiori”. Primo Levi, testimone di speranza, ha scritto “agli amici” per dire e ricordare che resta “in ognuno la traccia di ognuno” e che “quando ognuno è la traccia di ognuno, non ci può essere indifferenza”.
Indifferenti a chi muore, indifferenti a chi soffre, indifferenti a qualunque cosa invochi un gesto di accoglienza, di comprensione, di partecipazione alla fatica di vivere. “Ma un tempo – ha ricordato anche ieri la vecchia zia – non eravamo così…”. Eravamo un popolo di poveri che di dal poco traevano gioia per tanti se non per tutti; siamo diventati uno stuolo di singoli che prima di ogni altra cosa vogliono star bene da soli; restiamo un insieme abbarbicato alle lezioni offerte dai “maestri del sospetto”, secondo le quali bisogna sempre “voltarsi indietro se si vogliono riscoprire i disegni che tengono insieme la realtà”. Per evitare di diventare teorici della cospirazione, raccomanda Mauro Bonazzi, “sarebbe il caso di prestare attenzione al cosiddetto principio di carità”, quello che se qualcosa non è chiaro “è perché forse siamo noi a non aver capito bene” e che quindi spinge a cercare di capire meglio le idee degli altri… Il che aiuterebbe, ne sono convinto, a sconfiggere-debellare-annullare l’indifferenza.
Però, come canta Celentano nella sua “cumbia di chi cambia”, ci vorrebbe qualcuno che avendo voglia di cambiare qualcosa si faccia avanti, “qualcuno che si gioca tutto quanto / qualcuno che c’ha voglia di cambiare / si faccia avanti, si faccia avanti… / Posso affermare che non sono un idealista / e la politica mi scalda poco il cuore, / ma a volte penso che staremmo tutti meglio / se pretendessimo qualcosa di migliore…/ Stiam diventando un popolo di anaffettivi / stiam diventando un popolo di compulsivi / stiam diventando…”, o forse lo siamo sempre stati. Allora, aggiunge l’Adriano “io mi domando: forse ci siamo rassegnati? / Ognuno fabbrica da solo i cambiamenti / e non c’è lampo che non abbia dopo un tuono…?”.
Più seriamente (forse e solo forse), come leggo tra le riflessioni sull’essere e il divenire dei cattolici in politica, “non c’è nulla di meno cristiano del vuoto ottimismo e delle fesserie a base di “buoni sentimenti” che fanno scappare a gambe levate qualsiasi persona razionale”. Insomma, il punto è questo: “Se noi che ci diciamo cristiani a volte siamo tentati di fuggire dalla realtà, convincendoci di essere gli ultimi giusti, sia che ciò avvenga per riflesso identitario di una falsa purezza (a destra), sia che sia dovuto piuttosto alla tentazione del lassismo derivante da una falsa misericordia (a sinistra), c’è comunque da scommettere che solo ed esclusivamente nella realtà più concreta potremo pretendere di accedere al cristianesimo…”, che è dei santi, che è l’antidoto all’indifferenza.
In ogni caso, “anche nei tempi più bui – come ha scritto Hannac Arendt -, noi possiamo avere il diritto di raggiungere una qualche luce e che essa derivi meno dalle teorie o dai concetti e più da quella fiamma incerta, vacillante e spesso flebile che uomini e donne, nella loro vita e nella loro opera, riescono a far brillare, in qualsiasi circostanza, e a diffondere nello spazio e nel tempo a loro concesso su questa terra. Occhi così abituati al buio, come sono i nostri, faticheranno a distinguere se la loro luce fu quella di una candela o di un sole ardente…”.
Personalmente, ma spero di non essere solo, mi ostino a considerare migliore tutto ciò che è differente dall’indifferenza. Vale a dire: “sensibilità, fervore, interessamento, partecipazione, premura…”. Tutto ciò che serve per trasformare una domenica qualunque in una domenica speciale.
LUCIANO COSTA