Oggi, ancor più di ieri, e lasciatemelo dire con Pier Paolo Pasolini(poeta, scrittore e autore anche di epigrammi rimasti sconosciuti ai più ma tremendi e quindi, appunto perché tremendi, perfettamente sconosciuti) “i nostri saluti, i sorrisi, le comuni passioni, sono attidi una terra di nessuno: una waste land…”, che secondo traduzione aggiornata significa, indifferentemente, terra desolata, devastata, offesa, oppressa, scartata… Una terra-terreno-spazio in cui regnano e proliferano il peggio, lo scarto, il rifiuto, la parte peggiore di noi che pure ci professiamo cittadini del mondo… Un mondo con il quale “non possiamo più essere realmente d’accordo”, sebbene sia evidente che è proprio “in noi che il mondo è nemico al mondo”. Così, “in questo mondo colpevole, che solo compra (armi su armi e cannoni e poi bombe e missili fatti per essere messaggeri e portatori di morte) e disprezza (chiunque non lo assecondi e non gli sia utile), il più colpevole sono io, inaridito dall’amarezza…”.
Ahimè! L’ora in più offerta dalle bizzarrie del calendario questo,che maldestramente ho riassunto, mi ha portato in dono, con ciò obbligandomi a vedere gli assurdi mali e le maligne avversità che affliggono il mondo. Ecco le guerre conosciute-pubblicizzate-raccontate-mostrate-fotografate-scandagliate-sviscertate(ovviamente con dovizia di particolari, che più atroci sono più rendono in lettori e spettatori), che fanno regolarmente parte del nostro pane quotidiano, quelle in corso in Ucraina Russia Israele Palestina Libano Iran Yemen e chissà dove… Magari appena oltre l’uscio di casa o nel mezzo di oceani e mari, oppure dentro il proprio essere ed esistere. Ma, siamo sicuri di saper tutto sulle guerre in corso, di sapere dove si spara e si muore, di aver coscienza che dove chi le condanna viene rinchiuso, imprigionato, vilipeso, torturato e oppresso? Se non siete certi di ciò che sapete, provate a leggere questo resoconto di guerra e di violenze sparse in giro, che ho depurato di nomi e geografie affinché ciascuno possa pensarlo degna e orrenda raffigurazione di quella fetta di mondo in cui c’è la guerra al posto della pace…
Ad ……. si consuma una crisi mai vista prima, dove tutto è peggiorato, con la capitale …… che si è letteralmente trasformata in una grande prigione a cielo aperto» per la popolazione civile, lì dove quotidianamente la dignità umana viene violata e calpestata, tra uccisioni, rapimenti, stupri, torture, carenza di ogni minimo bene o servizio: all’origine, la violenza delle bande criminali che, in lotta per il controllo del territorio, hanno vieppiù intensificato i loro attacchi. In……….. la popolazione si sente abbandonata dal resto del mondo, la situazione dei diritti umani è catastrofica, si vive in condizioni mai viste peggiori di adesso: uccisioni, rapimenti, stupri, torture, carceri estremamente sovraffollate, mancanza di accesso all’assistenza sanitaria, all’acqua potabile, al cibo, a un riparo, all’istruzione. In ……. e ovunque c’è la guerra tutto è precario invivibile assurdo, tutto urla contro i bambini. Ad ……. la crudeltà delle bande supera ogni immaginazione: terrorizzano la popolazione, uccidendo e stuprando a volontà, reclutando con la forza i bambini per unirsi a loro. Ad …….. le bande sono puramente criminali, non hanno un’ideologia che le renda diverse da quelle che in …….. devastano e uccidono. Ad ……. impongono tasse, hanno posti di blocco, rubano, rapiscono persone e le tengono in ostaggio, uccidono e violentano... Nel sud di ……. tre milioni di persone sono tenute in ostaggio da banditi e terroristi (metà di loro adolescenti strappati alle famiglie e mandati allo sbaraglio). Ad ……. l’emergenza si inserisce in una crisi politica, sociale ed economica che perdura da anni e ha radici in una nazione che nel tempo è stata devastata terremoti, epidemie ed effetti devastanti dei cambiamenti climatici. (Se vi siete persi nei teatri di guerra raccontati e velati da anonimi puntini di sospensione, sappiate che i puntini corrispondono a situazioni vere, terribili e disumane, vissute a due passi da noi – in quest’Europa inquieta e squassata da ideologismi perversi -, oppure appena al di là del mare, o in mezzo a chissà quale oceano, per esempio ad Haiti… Però, ciascuno giudichi da sé e poi decida se siano cronache vere oppure affabulazioni, magari simili a quelle messe in circolo dal già citato poeta e scrittore, quel Pasolini capace di mischiare sacro e profano, pronto a gridare al cielo la sua personale preghiera. Quella che dice: “Padre nostro che sei nei cieli, io non sono mai stato ridicolo in tutta la vita, però adesso, in mezzo a tanto frastuono suscitato da guerre, violenze e rifiuto di ogni invito alla pace, mi sento ridicolo. Padre nostro che sei nei cieli, poiché Ti ho e Ti sento mio, Ti confido il mio dolore, Ti guardo, Ti guardo fisso, e poi sto qui ad aspettare la tua risposta”.
In attesa di risposta, in mia compagnia, colloco padre Gustavo Gutiérrez, teologo e religioso domenicano considerato «padre» della Teologia della Liberazione, morto serenamente qualche giorno fa dopo una vita lunga 96 anni, trascorsa a studiare, a pensare, riflettere, a parlare e spesso a lottare… a lottare per un pensiero teologico talvolta criticato o guardato con sospetto, ma che di certo affondava le radici in nient’altro che il Vangelo, quella Buona Notizia e il suo messaggio dirompente che al primo posto mette i poveri, gli ultimi, i semplici, i perseguitati, gli oppressi… Per questo frate scalzo e a lungo perseguitato, al centro di tutto l’essere cristiani stava la povertà, che non era da confondersi con la poverologia... Infatti, spiegava, “conta la povertà reale, che riguarda la situazione di chi non conta niente, di chi è insignificante, per ragioni economiche ma anche per cultura, lingua, colore della pelle…”. Un giorno lontano il suo vescovo, quello di Lima, salutandolo per i 90 anni raggiunti, ringraziò Dio “per avergli donato un fedele sacerdote teologo che non ha mai pensato al denaro, ai lussi, o a qualsiasi cosa che sembrava credersi superiore”.
Se interessa la “teologia della liberazione” a lui attribuita e della quale era ritenuto cantore e maestro, teorizzava “una liberazione politica e sociale, cioè l’eliminazione delle cause immediate di povertà e ingiustizia; una liberazione umana, cioè l’emancipazione di emarginati e oppressi; una liberazione teologica da egoismo e peccato…”. Sempre se interessa, è bene sapere che questo frate domenicano parlò di una «Chiesa samaritana», sintesi dell’idea di servizio mutuata dalla parabola del buon samaritano, una parabola che anche adesso “spinge a riflettere su chi è il mio prossimo, ma anche su chi si è fatto prossimo”.
Anche, aggiungo io, su chi è liberatore e su chi è liberato, su chi opprime e su chi è oppresso, su chi è invasore e su chi è invaso…Se di questa riflessione facessimo pane quotidiano, allora daremmo il via a un cambiamento sconvolgente. Tanto sconvolgente da crederlo impossibile quando invece, crederlo possibile, dipende solo dalla capacità di rendercene conto.
LUCIANO COSTA