Siamo polvere, nient’altro che polvere

La conoscevo ma doveva restare un segreto quella debolezza che una volta all’anno, rigorosamente il mercoledì detto delle ceneri, assaliva il mio amico (si chiamava Paolo ma tutti  lo conoscevano col soprannome di Bastian Contrario, cioè restio a credere a qualunque cosa che non potesse toccare con mano, dichiaratamente agnostico, ateo, miscredente lontano da qualsiasi dio conosciuto ma sempre pronto a discutere di un dio che sarebbe arrivato per mettere giustizia al posto dell’ingiustizia, perinnalzare i poveri al rango di ricchi e così regalare pace al mondo intero) e lo obbligava a varcare la porta di una qualsiasi chiesa perchiedere al prete quel pizzico di cenere (allora veniva distribuito ricordando a chiunque si avvicinasse a riceverlo la sua condizione di povero mortale), che accompagnato al severo ammonimento,uguale per tutti, che diceva memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris (ricordati, uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai), metteva in chiaro il destino di ciascuno: disuguali in vita ma uguali, ugualissimi, di fronte alla morte. Paolo considerava quel suo affacciarsi, una volta all’anno, alla chiesa per chiedere e ricevere un pizzico di cenere il modo per più appropriato per sentirsi parte di un tutto destinato, volente o nolente, a completare il suo ciclo vitale nell’unico modo capace di esaltare la perfetta uguaglianza (secondo lui assai simile alla perfetta letizia cantata da quel pazzo frate che si chiamava Francesco), annunciata da tanti ma accettata e vissuta da pochi.

Paolo, sublime Bastian Contrario, se ne è andato avanti come un qualsiasi mortale. Tutta colpa di un colpo di freddo, di una polmonite, del fiato diventato corto, degli anni che accumulandosipretendevano quell’eterno riposo destinato ai giusti ma anche ai voltagabbana e ai sepolcri imbiancati, quelli belli fuori e orrendi dentro. Un compagno d’avventura, arrabbiato la sua parte, quel giorno lo salutò col pugno chiuso; l’ultimo prete che gli aveva regalato il pizzico di cenere destinato ad assicurargli l’esistenza della perfetta uguaglianza, mischiò la terra alla cenere benedetta e la distribuì sulla bara dicendo “vai in pace: il cielo ti sia benigno.Ieri, di fronte al rumore assordante della guerra che insanguina l’Ucraina e che semina terrore e sconforto nel mondo, ho ripensato alla debolezza di Paolo e a quel suo ricercare il senso delle parole che la accompagnavano. Allora l’ho immaginato, giàletteralmente folgorato dalla potenza delle parole che accompagnavano la posa delle ceneri sul suo capo, pronto a scavalcare le montagne per andare a dire al Putin di turno, facitore e autore dell’orrenda nuova guerra, che altro non è se non quell’uomo “fatto di polvere e destinato a ritornare polvere”.

Dieci giorni di guerra insensata e vissuta stando dalla parte meno esposta e pericolosa – davanti al televisore senti l’urlo dei disperati e il rumore delle bombe, ma poi passi oltre, vai alle solite faccende masticando rabbia ma convinto che quel che sta accadendo è fuori dalla tua portata – mi hanno costretto a ripensare lezioni di storia messe troppo in fretta in archivio. Una, dettata da nonna Lucia, diceva: “La guerra non guarda in faccia a nessuno: semina lutti, uccide innocenti, scava solchi profondi,pretende cimiteri sempre più grandi, assicura fiumi di lacrime, consegna a chi resta, non importa se vittorioso o sconfitto, soltanto macerie, niente di più”. Un’altra, suggerita dalla maestra mandata a insegnare l’abc della vita, spiegava come la guerra fosse “l’esatta applicazione della testardaggine degli asini più asini: uno contro l’altro, almeno fin quando avessero inteso che insieme potevano ottenere quel che sembrava impossibile, per esempio, che conveniva mangiare prima il fieno messo da una parte e poi quello accomodato dalla parte opposta”.

La lezione di mia madre era invece racchiusa nelle lacrime che immancabilmente accompagnavano i ricordi. “Tu – mi dicevanon hai visto la guerra, hai sentito il suo rumore stando comodo nella mia pancia. Però, quando sei nato, ho dovuto raccontarti che venivi da nove mesi tribolati, pieni di paura, conditi con pane e lacrime e che quel che potevo offrirti era un posto sole di maggio in attesa di giorni che ti aiutassero a disegnare un buon futuro, niente altro”. Più in là nel tempo papà Gino, che la guerra aveva reso orfano di entrambi e i genitori, ricordando la corsa per vedere i carri armati tedeschi che lasciavano precipitosamente i territori usurpati, soffocò il pianto stringendomi forte al petto e dicendomi “figliolo, spero che mai più tu debba sentire lo sferragliare dei carri di guerra”. Voleva dirmi, ma lo capii soltanto dopo, che dopo undici anni una nazione libera era stata invasa dai carri armati di un’altra nazione con la scusa di proteggerla dapossibili influenze negative…

Quella nazione si chiamava Ungheria e in quel 1956, undici anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, veniva invasa dalle armate sovietiche. Venne poi il tempo dei sogniE mentre mi esercitavo a fare il giornalista vidi passarmi accanto nuove guerre, nuove tragedie e nuove speranze. Di ciascuna ho conservato ricordi e lezioni. Però, mai avrei immaginato che giorni così bui e tristi potessero di nuovo diventare parte del vissuto quotidiano.Invece, ecco la Russia di Putin che aggredisce l’Ucraina e che obbliga il mondo a fare i conti con un dittatore folle che quel mondo lo vuole soltanto dominare a suo piacimento, a suo esclusivo uso e consumo.

Ieri, nelle pagine quotidiane di Bresciadesso, quelle che precedono il Domenicale, ho raccontato la storia del pianista folle andato al fronte per regalare musica con cui cancellare il rumoredelle bombe (una storia difficile da credere ma vera), poi quella del tenore che dedica l’Ave Maria alle vittime della guerra e anche quella del bimbo che con il cartone ha costruito telecamera e microfono da usare per interviste impossibili ma vere su quel che i ragazzi della sua età pensano della guerra. Tutto vero, ve l’assicuro. Come vera è la letterina che lo stesso Alberto (nome sempre di comodo) ha scritto a Putin per dirgli di “ritirare i carri armati e i missili” perché “in Ucraina stanno morendo molte persone, tra cui tanti bambini”.

Una settimana fa chiudevo il domenicale dicendo di sognare orizzonti liberi da putinate e da qualsiasi sopruso. Torno a ripeterlo, perché solo così la mia e la vostra sarà di nuovo una buona domenica.

LUCIANO COSTA

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