Non dicono “abbiamo scherzato”, sentenziano che il fatto non sussiste e che quindi tutto quel che è andato in scena nei tribunali nel corso di anni, era solo apparenza, vacuità, tentativo di far apparire quel che in realtà non era accaduto. Sembra impossibile che i giudici, questi o quelli ha poca importanza, pieghino il capo e ammettano di aver giocato a rimpiattino con gli imputati. Invece è possibile. E’ accaduto, accade e accadrà ancora, perché l’abito dato al Giudice è di quelli che resistono all’usura, che vanno oltre qualsiasi intemperie, che non si piegano e non si spezzano. Certo, nei tre gradi di giudizio può accadere tutto e il contrario di tutto. “Però – diceva l’avvocato-giornalista – avendo la possibilità di accedere al successivo grado di giudizio (fino al terzo, definitivo), hai la possibilità di far valere le tue ragioni e di restare innocente, almeno fino a prova contraria”. Il rischio, semmai, aggiungeva “è che si arrivi alla fine senza fiato, assolti perché il fatto, di fatto, non è mai accaduto… ma ormai privati della voglia di continuare a vivere, poiché in quel succedersi di invii e rinvii, tutto è stato compromesso lasciando sul banco degli imputati soltanto brandelli di un uomo”.
Di fronte all’ennesima tardiva assoluzione di questo o quello (la casistica è ampia e dare un volto a ogni caso preso in esame rischia di lasciarne altri nel dimenticatoio) ho sentito ripetere parole di vicinanza e di comprensione, ahimè anche loro tardive, belle e inutili, parenti strette dell’ipocrisia, quella “signora” che è poco definire infingarda e subdola. I greci antichi, non a caso, temendola e non potendola cancellare dagli usi e costumi in voga, le permisero di restare purché fosse accompagnata dall’avvertenza di non praticarla e neppure amarla, essendo lei la quintessenza del fingere, il tipico atteggiamento-comportamento-vizio di una persona che volontariamente pretende di possedere credenze–opinioni–virtù–ideali–sentimenti–emozioni, che in pratica non possiede, ma che essa interpreta quando tenta di ingannare altre persone con tali affermazioni.
Tradotto a uso e consumo per noi comuni mortali e forsanche illetterati, l’ipocrisia altro non è se non una sorta di bugia, non grande e neppure piccola: solo bugia, falsità, imbroglio, tentativo di addomesticare la realtà fino a renderla artefice del proprio tornaconto. Però, tutto ciò non le impedisce di suggerire ad altri la via giusta da percorrere. Così, pur essendo nota la sua propensione ad abusare di potere, di parole e, dico io, di alcool, sarà difficile confinarla tra i reprobi se e come “consigliasse agli altri di non bere, professandosi costantemente sobria”.
Ovviamente, non mancano le giustificazioni. Per alcuni l’ipocrisia è generata da cosiddette “cause ambientali ed estranee”; per altri è la somma di errori di valutazione che producono auto-inganno; per altri ancora, ad esempio per i teorici, invece, è un “meccanismo di difesa inconscio” e mai “un inganno volontario”. Non so, e nessuno me lo ha spiegato, che valore abbia l’ipocrisia per i giudici chiamati a sentenziare qualcosa che gli anni hanno sepolto di polvere, omissis, codicilli e rinvii… Spero non la conoscano, neppure per sentito dire. Se così non fosse, chi dirà al condannato (per esempio “a Mimmo Lucano e al suo creato, che non può far rima con reato” ha scritto Bergonzoni) che per lui c’è ancora un filo di speranza?
Ho sognato e mi ostino a sognare, insieme all’ex sindaco di Riace, un mondo senza confini, barriere, muri… Invece è dell’altro ieri la notizia dei dodici Paesi dell’Europa unita e civile che dimenticando la vocazione primaria alla solidarietà tra i popoli hanno invocato muri sempre più alti e massicci – muri fatti per impedire che i disperati provenienti dalla disperazione possano impunemente oltrepassarli – per far da confine. Ho già scritto, ma vale la pena ripetere, che dodici Paesi apparentemente civili ripudiano i ponti – arditi, grandi, possenti, larghi e aperti – che sono l’unico modo per unire diversità e popoli diversi e chiedono invece alla casa comune, che si chiama Europa Unita, i fondi necessari per costruire muri larghi e possenti, invalicabili ai migranti usurpatori. Dire che è vergognoso è poco. A firmare la richiesta di fondi comunitari per costruire muri contro i migranti invasori sono stati dodici Paesi (ieri civili ma oggi un po’ meno) che si chiamano Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia e Slovacchia. Per questi dodici Paesi, che della loro civiltà han fatto stracci, la barriera fisica è un’efficace misura di protezione delle frontiere, utile non solo a loro ma all’intera Unione Europea, quindi degna d’essere finanziata e sostenuta… E’ vergognoso. Il cielo sopra gli altri Paesi dell’Europa che rifiuta i muri e che invece vuole ponti sempre più percorribili, ha pianto ma non si è oscurato. E in nome di quel cielo, che è di tutti e che nessuno o può delimitare con muri e steccati, i delegati a raggere le sorti dell’Unione Europea, hanno risposto che fermo restando “il diritto degli Stati a costruire barriere per proteggere i propri confini”, non sarà certo l’Europa Unita a finanziare quella barbarie. Mi sono chiesto: perché dodici Paesi che pure hanno scelto di essere Europa, chiedono muri per dividere la stessa Europa che li ha accolti e che li ospita? Forse hanno paura, o forse vogliono soltanto imporre la loro egoistica visione di mondo, oppure hanno dimenticato il significato della parola vergogna.
Ho letto da qualche parte che “quando si raggiunge un obiettivo, il sogno è una speranza tramutata in qualcosa di concreto”. Allora, continuo a sognare un’Europa senza confini, senza barriere e senza muri. E spero di non restare solo a sognare… Solo come il passero solitario che alla campagna cantando va “finché non more il giorno”, che vede “il sol che tra lontani monti / dopo il giorno sereno, / cadendo si dilegua, e par che dica / che la beata gioventù vien meno”. Che resta “solingo augellin, venuto a sera” a cui “del viver che ti daranno le stelle, non ti dorrai…”.
Continuo a sognare, perché “la vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare” (parola di Arthur Schopenhauer), perché “un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso (parola di Nelson Mandela), perché “non sono niente, non sarò mai niente, non posso volere d’essere niente, ma a parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo” (parola di Fernando Pessoa), perché “nei sogni è nascosta la porta dell’eternità” (parola di Kahlil Gibran), perché “siamo fatti anche noi della materia di cui sono fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita” (parola di William Shakespeare) e anche perché “quando sogna, l’uomo è un gigante che divora le stelle” (parola di Carlos Saavedra Weise), perché “solo una cosa renda impossibile la realizzazione di un sogno: la paura di fallire” (parola di Pauolo Coelho).
Ai giovani slovacchi papa Francesco ha recentemente detto: “Sognate una bellezza che vada oltre l’apparenza, oltre il trucco, al di là delle tendenze della moda. Sognate senza paura… Non perdete la capacità di sognare il futuro perché questo significa – lo ha detto ai giovani cubani – essere portatori della speranza… Non smettete di sognare perché chi non ha la capacità di sognare è già andato in pensione”. Agli artisti papa Benedetto XVI ha detto che “i sogni possono anche essere alimentati dalla bellezza che si fa arte e musica; dalla bellezza, che è il bello autentico non effimero né superficiale, che è mezzo per dare vita alla vita e dignità al sogno che disegna per tutti un buon futuro”. Per Giovanni Paolo II “i sogni sono anche il frutto di un’opera da realizzare giorno dopo giorno”, un’opera che prevede il coraggio di “non voler vivere solo a metà, con aspirazioni ridotte o, peggio, atrofizzate”, di prendere tra le mani la vita “per trasformarla in un autentico e personale capolavoro!”. Paolo VI disse ai sognatori come me e tanti altri che “i sogni sono visioni di cielo, del cielo sopra la terra…”. Francesco, di recente, ha ribadito che i sogni sono di tutti, anche degli anziani, che li raccontano per dare testimonianza, perché sono “un ponte tra generazioni che si intrecciano con speranze e progetti. E per questo vanno custoditi…”.
Continuo a sognare un domenicale che non abbia bisogno di sognare un mondo migliore per affermare che un mondo migliore c’è già e che diventa visibile e vissuto se ai rancorosi pregiudizi si sostituiscono virtuose visioni di cielo.
LJUCIANO COSTA