Il Domenicale

Tu chiamale, se vuoi, emozioni…

La grande Mina – proprio lei, la cantante che appare una volta all’anno per consegnare alla storia il suo album di ricordi reinterpretati e di pensieri appena pensati e musicati, ma che appena esaurita l’incombenza scompare silenziosa e sicuramente convinta della bontà della sua scelta –, a me e ai mille e mille più o meno babbei disposti a dare credito e valore alla canzonetta, diceva: “Tu chiamale, se vuoi, emozioni…”. Allora, immersi in giovanile baldanza, non era importante stabilire quali fossero le emozioni da invocare, però era per lo meno intrigante prendere il verso e adattarlo al momento. Così, si materializzavano emozioni vacanziere, libere, spensierate, fascinose, melliflue, raramente intelligenti, ora brevi, ora lunghe… e certo non affiorava il dubbio che in realtà quelle emozioni cantate e ballate non fossero così spensierate e vacue…4

Ieri sera in piazza, per salutare l’avvento ufficiale delle vacanze, i portatori di ricordi e di acciacchi (genericamente anziani se non già vecchi), rinnovando la tradizione del “ritroviamoci per dare senso compiuto ai fatti e misfatti che ci accompagnano come solo i fedeli cagnolini sanno fare”, hanno dato fondo a tutto quel che lo scibile suggeriva: guerre (una, l’altra, quell’altra, ognuna finalizzata a conquistare potere e ricchezze), politica (misticanza di sapori senza costrutto, senza senso e, purtroppo, senza ragioni attorno alle quali ritrovarsi per rendere migliore l’esistenza), covid (tre anni terribili e non  ancora conclusi), elezioni (imposte nella maniera più subdola e stupida possibile e immaginabile da quei perditempo che il tempo vorrebbero sempre e comunque adattarlo a loro piacimento), schieramenti (destra-sinistra-centro-estrema destra e sinistra, ma anche l’accozzaglia di termini utile per significare ora un centro-sinistra, ora un centro-destra, oppure né l’uno né l’altro: solo sigle e parole che svaniranno come i sogni mattutini), partiti (uno, nessuno, centomila, ieri identificativi dell’appartenenza, oggi buoni per fare mucchio), lotta di classe (per chiarire a che punto era giunta la notte della ragione), povertà e ricchezza (chi ha troppo e chi troppo poco, senza una via di mezzo) e a seguire siccità, caldo, gran caldo, vacanze…

Vacanze, ma non come erano una volta, cioè allegre, spensierate buone per condividere quel che era stato accantonato nei mesi precedenti, ma viste con l’ansia dell’oggi, cioè soltanto fuga dal reale per andare alla ricerca di felicità immediata e a buon mercato. “Sì, però, con qualche eccezione…” suggeriva il neo-commendatore. Vero, verissimo. Infatti, c’è anche chi va alla ricerca di boschi silenti, di spiagge vocianti e, forse, di emozioni… Magari, ma raramente, anche di frammenti, soltanto frammenti, di spiritualità – solitaria, conventuale, eremitica, peregrinante – da cercare e conquistare rovistando tra nelle pieghe di città e paesi. “Intanto – disse allora l’unica amica sopravvissuta alla notte – noi stiamo in piazza a far mucchio attorno a parole e pensieri quando potremmo usare il tempo per a disposizione per inventare occasioni di confronto tra generazioni diverse e culture diverse, addirittura tra emozioni da colorare ognuna con colori diversi…”. Così, all’improvviso, da uno di quei  cellulari che sanno fare tutto e il contrario di tutto, giunse la voce della grande Mina che cantava “tu chiamale, se vuoi, emozioni”… Emozioni, non spensierate e neppure vacue, fatte per “seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi ritrovarsi a volare; e sdraiarsi felice sopra l’erba ad ascoltare un sottile dispiacere; e di notte passare con lo sguardo la collina per scoprire dove il sole va a dormire; domandarsi perché quando cade la tristezza in fondo al cuore come la neve non fa rumore… E stringere le mani per fermare qualcosa che è dentro me… Uscir dalla brughiera di mattina dove non si vede ad un passo per ritrovar se stesso, parlar del più e del meno… e ricoprir di terra una piantina verde sperando possa nascere un giorno una rosa rossa… e chiudere gli occhi per fermare qualcosa…”. Emozioni vere, che nella notte d’inizio vacanze invitavano a pensare e ripensare l’essere e il divenire di ciascun vacanziere.

Poi, nella notte, ecco il tempo per leggere quel che di giorno avevo accantonato: un pensiero intelligente sulle vacanze; la provocante definizione dei poveri-disperati-sbandati, figli di strada, massa senza paese e senza casa; la lezione di papa Paolo Vi su povertà, ricchezza, provvidenza; il lucido appello per unirsi e costruire così il Paese della dignità… “Se andate in vacanza – raccomandava Nicola Bultrini – insieme alla voglia di godere mare, montagna, città d’arte per un tempo di quiete e di meritato riposo, oppure di avventure e divertimento, portatevi un libro, che magari ci viene voglia di leggere”. Ma, per favore, scegliamo libri se non proprio intelligenti, almeno non banali. Ma, come bene ha scritto Nicola Bultrini “la verità è che scegliendo, le cose che ci interessano, in realtà spesso scegliamo quelle che ci offrono semplicemente conferme… In sostanza, ci accomodiamo su qualcosa di già noto, e cosa c’è di più noto e confortevole se non il passato? In particolare, quella porzione di passato che ci piace ricordare, nella quale ci vediamo in gran forma e in perfetta armonia con gli elementi”. In Cronorifugio, libro intelligente, Georgi Gospodinov racconta di un dottore che inventa una “clinica della memoria”, in cui si ricostruisce il passato per coloro che stanno perdendo i ricordi. Mi sono chiesto: ma io sono uno di questi?

Poi, quel ritaglio di “Osservatore Romano” che scompigliava la voglia di non pensare e induceva invece a pensare che accanto alle mie, tue e nostre vacanze c’era la realtà del mondo di chi la vacanza la passa sotto le colonne del tempio o negli angoli meno esposti delle strade… “Persone senza fissa dimora, homeless, clochard, senza tetto…” tanti modi per indicare coloro che non possiedono nulla, che non hanno un’abitazione in cui vivere, forse eufemismi del vivere e sopravvivere, espressioni eleganti che, in realtà, nascondono l’ingiustizia di chi soffre la fame, la miseria, l’abbandono, l’emarginazione. Eppure, come come recita l’articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani, datata 1948, “ogni individuo ha diritto all’abitazione”.

Subito dopo (forse perché era il 6 agosto, giorno anniversario della sua morte) la lezione di Paolo VI su povertà, ricchezza, provvidenza, ubbidienza che altro non era se non il testo inedito di lezioni intitolate “Beati pauperes”, scritte prima del 1936 quando l’autore – Giovanni Battista Montini, destinato a divehtare papa col nome di Paolo VI – era minutante nella Segreteria di Stato vaticana, insegnava storia della diplomazia pontificia all’Apollinare, teneva corsi a diversi gruppi, destinatari di proposte educative dove al primato della coscienza si accompagnava quello della carità. Spiegando l’inedito, don Maffeis, presidente dell’Istituto Paolo VI, colloca gli scritti giovanili del prete destinato a diventare papa col nome di Paolo VI, tra quelli pensati per definire il “«valore dei beni”, strada obbligata per associarli al discorso sulla povertà evangelica (che è libertà) e a quello sulla povertà di spirito (che è obbedienza), sul distacco dai beni terreni, sull’avidità complice di ingiustizie. Dunque, povertà come “limitazione dei bisogni e quindi dell’uso delle cose, precisazione dei fini buoni, adattando ad essi le cose necessarie, la libertà di spirito e di azione di fronte agli interessi materiali…”. Poi, ecco il richiamo a un uso sobrio delle risorse, al valore della “carità in azione”, alla virtù dell’obbedienza. “Libertà e obbedienza – scrive don Maffeis –  rappresentano dunque i due atteggiamenti spirituali opposti, che corrispondono al paradosso di una Chiesa depositaria dei misteri divini e, insieme, segnata dal limite e dai fallimenti umani” ai quali, mi par di capire, solo la Provvidenza può porvi rimedio…

Infine l’appello firmato dalle ACLI (Associazione andata in disuso, ma fortunatamente ancora qui per sottolineare che nella visione cristiana, anche la politica assume valore inconfutabile) che, ahimè, pochi leggeranno e ancora di meno onoreranno con pensieri e azioni degni di appartenere alla storia.  L’appello, che a leggerlo sembra appartenere al filone poetico più autentico, a me, a te e a tutti dice che non tutto è compromesso. Se siete giunti fin qui col Domenicale, aggiungete qualche minuto per leggere l’appello nella sua versione integrale. Dice infatti cose intelligenti, propone visioni da condividere, invita a non disperare e a cercare invece…

Un Paese che non discrimina
e non accetta disparità.
Un Paese dove il colpevole
è chi genera miseria e non i poveri.
Un Paese con soli contratti di lavoro veri,
solidi, nel quale si operi in sicurezza.
Un Paese dove servizi, welfare e sanità,
mobilità siano garantiti e dignitosi
per ogni persona e famiglia.
Un Paese che accolga chi fugge,
che dia cittadinanza a chi ci nasce o risiede,
che sostenga le nostre comunità all’estero.
Un Paese che investa sui giovani,
sull’educazione, sull’istruzione e la formazione.
Un Paese che non sfrutti e non speculi,
non evada e dica no alle mafie.
Un Paese dove contino la conoscenza,
la buona volontà e non le conoscenze.
Un Paese dove la ricchezza
sia guadagnata,
non sia solo rendita
e non dia privilegi e potere.
Un Paese con un fisco equo,
perché tutti versino in base alle proprie capacità.
Un Paese dove fare associazione e fare impresa
siano un percorso agevolato, non ad ostacoli.
Un Paese con un sistema elettorale non assurdo
e dove sia garantito che i partiti operino
secondo un metodo democratico.
Un Paese che crei futuro
prendendosi cura di ogni persona, delle comunità
e del proprio patrimonio culturale e ambientale,
non consumando natura, umanità e civiltà.
Un Paese che non tema qualche sacrificio
per contrastare la crisi climatica e i conflitti armati.
Un Paese ponte di pace,
non fabbrica d’armi per guerre e dittature
”.

Se siete convinti che un paese così esiste già “negli sforzi e nei desideri di tanti”, fate seguire alla lettura azioni capaci di costruire “il Paese della dignità”. Come questo Paese deve essere è scritto nella Costituzione. Come debba essere condiviso dipende invece dalla volontà di ciascuno. Buone vacanze. E chiamale, se vuoi, emozioni. Ma fa in modo che siano intelligenti e buone per tutti.

 

LUCIANO COSTA

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