Un ritaglio di specchio arricchito con parole scritte in inglese, usando un pennarello o forse un rossetto; un ritaglio di specchio appiccicato al muro esterno dell’Auditorium San Barnaba di Brescia, in corso Magenta proprio a fianco del Conservatorio in cui centinaia di ragazzi e giovani cercano futuro chiedendo alla musica e agli strumenti per diffonderla di essere loro compagni. Un ritaglio di specchio messo in modo che passando fosse impossibile non accorgersi della sua presenza, niente più che il ritaglio di qualcosa di uso corrente, però arricchito di un pensiero pensato e poi trasformato in proposta di riflessione per chiunque: viaggiatori distratti o passanti curiosi, innamorati in cerca di sogni o turisti per caso, nonni e nonne impegnati a misurare i passi o mamme e papà con figli al seguito che chiedono di sapere… Chiunque, perché nessuno può dirsi estraneo a un ritaglio di specchio messo lì per essere visto e letto. Dice la scritta in inglese: Do you know who you really are? (Tu sai chi sei realmente?) Tutto chiaro? Forse non proprio. Allora ecco un biglietto, un cartoncino qualunque, sul quale è spiegato il senso di quella provocazione – vera e propria opera d’arte e di scrittura – messa lì per ricordare chi siamo e dove andiamo, soprattutto adesso, cioè nel momento in cui al normale respiro (già appesantito da problemi e pandemia) s’aggiunge quello convulso ansioso arrabbiato faticoso e difficile di un giorno che la guerra, lontana ma vicina, appesantisce e rende oscuro. Dice la didascalia che accompagna il ritaglio di specchio portato in città da mani e piedi sconosciuti: “Prenditi due minuti per guardarti allo specchio. / Sai chi sei davvero? / Come stai vivendo? / Riconosci il tuo riflesso? / Rifletti”.
Ci ho provato a riflettere! Ho messo in fila i pensieri e poi li ho mischiati: uno andava all’essere qui e adesso avendo come prospettiva altri mesi di distanziamenti e restrizioni imposte dal virus pandemico; un altro disegnava la stazione affollata da persone in cerca di un treno diretto a una città senza problemi; un altro ancora vagava alla ricerca di un appiglio a cui aggrapparsi per dare visibilità e credibilità all’essenziale; l’ultimo, o forse il penultimo di una serie infinita, metteva i colori della guerra al di sopra dei colori del cielo rendendo fosco il panorama e irrespirabile l’aria che lo circondava… La guerra che sembrava fuori da ogni logica intelligente è invece di nuovo alla porta. Perché è ineluttabile sia così o perché gli umani sono semplicemente stupidi, talmente stupidi da non accorgersi che le bombe non sono caramelle? Ripensando al ritaglio di specchio messo in bella mostra sul muro del Conservatorio per chiedere e chiedermi se fosse chiaro chi io sia e anche chi siamo realmente, mi son ritrovato di nuovo in quella selva oscura dalla quale si esce solo se si trova il coraggio di vedere con gli occhi del cuore. Quella selva oscura era di nuovo la guerra: quella raccontata dai libri di storia e dalle cronache provenienti da paesi lontani; quella cantata da un generale fuori dal tempo; quella che Piero ha dovuto misurare sulla sua pelle e sulla pelle dei propri figli; quella che cento e cento ragazzi e ragazze avevano sfidato per portare messaggi e pezzi di pane agli uomini e alle donne che nella selva oscura cercavano libertà e dignità da assicurare a chiunque; la stessa che adesso rende Ucraina e Russia strumenti ciechi di immane tragedia…
La storia non ha insegnato nulla. Così il dittatore di turno, forte della sua supponenza e delle sue armate, orgoglioso di presentarsi quale zar delle (sue) russie, gioca a rimpiattino col mondo. Lo fa vestendo i panni del “grande dittatore”, una macchietta cinematografica che dimostra quanto sia stupido credersi potenti quando invece si è soltanto miserrimi interpreti delle più infide debolezze umane. Di fronte alla prospettiva di scrivere un altro (il terzo, ormai) Domenicale impregnato di paure e buono, tutt’al più, per rafforzare l’idea che per quanto ci si creda intelligenti, di fronte alla guerra si resta comunque e semplicemente stupidi, ho rimesso in circolo la lezione del “grande dittatore”, un film che nonostante gli anni resta il più attuale modo per prendersi gioco della guerra. Eccolo! Il “grande dittatore” di un regno costruito sulla vanagloria di uno uomo solo al comando, esce dalla bottega del barbiere ed entra, sulle note della Danza Ungherese n.5 del compositore Johannes Brahms, nel gran palazzo in cui dovrà dare sostanza alla sua visione di mondo. Eccolo! Il grande dittatore balla tenendo tra le mani un palloncino gonfiato raffigurante il mondo, scivola dalla tenda della sua enorme finestra e con le mani sui fianchi, mentre Brahms lascia il posto a Wagner, dice al pallone gonfiato raffigurante il globo: “Aut Caesar, aut nihil” (motto assai caro a Cesare Borgia, il duca Valentino vissuto tra il 1475 e il 1507, rilettura superba di un detto già attribuito a Giulio Cesare, che preferiva esser primo sia pure in un villaggio delle Alpi che secondo in Roma). E subito dopo prende il globo, lo fa roteare sulla sua mano, ride, lo calcia verso l’alto e lo lascia fluttuare: poi arriva alla sua scrivania, spinge il palloncino nuovamente i su in modo da unirlo alle Croci Accoppiate, continua la danza, guarda l’oggetto rotondo e fluttuante nello spazio come qualcosa da conquistare, gli sorride finché, all’improvviso, inevitabilmente il palloncino gonfiato scoppia sommergendo il “grande ma piccolo dittatore” di tristezza e di ridicolo. Un film da vedere, da rivedere e da presentare ai giovani quale antidoto alla supponenza di un dittatore e alla stupidità di qualsiasi guerra. Nella coda del film, quando è chiaro che il “grande dittatore” è solo uno stupido in libera uscita che altro non può fare se non ammettere il suo fallimento, le parole del discorso conclusivo al mondo ammettono che “la vita può essere felice e magnifica” se e come “noi non l’avessimo dimenticato”. Quel piccolo e meschino dittatore, assai simile a quello che oggi si crede zar di tutte le (sue) russie, aggiunge che “l’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha chiuso il mondo dietro una barricata di odio, ci ha fatto marciare, col passo dell’oca, verso l’infelicità e lo spargimento di sangue…”. E la sua confessione di impotenza. Tutto il resto è reale che diventa noia.
Ieri pomeriggio ho ascoltato il presidente ucraino Volodymir Zelensky, collegato con piazza Santa Croce di Firenze affollata da almeno ventimila persone arrivate per testimoniare solidarietà e per invocare pace (è apparso sul grande schermo issato di fronte alla statua di Dante), che con la voce rotta dal pianto diceva: “Bombardano piazze come la vostra; è una guerra ai valori dell’Occidente; stanno bombardando gli ospedali, le chiese, le scuole e le piazze delle nostre città… Questa guerra non è stata iniziata da noi, questa invasione cinica e crudele da parte della Russia non è soltanto contro il popolo ucraino ma è anche una guerra contro i valori che ci uniscono, contro il nostro modo di vivere in Occidente…”. Sul sagrato della magnifica basilica di Santa Croce ho visto disteso un gigantesco drappo giallo e blu, i colori nazionali dell’Ucraina, circondato da volti conosciuti e sconosciuti, bagnato dalle lacrime, accarezzato da mani che chiedevano pace. Poi, mentre la sera accarezzava la piazza e salutava la manifestazione di solidarietà, ventimila voci hanno intonato “imagine”, la canzone che da cinquantun anni disegna cieli e terre nuovi.
Dice la canzone:
Immagina che non ci sia alcun paradiso.
È facile se ci provi.
Niente inferno sotto di noi,
solo il cielo sopra di noi.
Immagina tutte le persone.
Vivendo per oggi, io.
Immagina non ci siano paesi,
non è difficile da fare,
niente per cui uccidere o morire
e anche nessuna religione.
Immagina tutte le persone
vivendo la vita in pace.
Puoi dire che sono un sognatore,
ma non sono il solo…
Io spero che un giorno ti unirai a noi.
E il mondo sarà come una cosa sola.
Immagina nessun possesso…
Mi chiedo se puoi.
Non c’è bisogno di avidità o fame…
una confraternita di uomini
Immagina tutte le persone.
Condividendo tutto il mondo, tu
puoi dire che sono un sognatore.
Ma non sono il solo.
Io spero che un giorno ti unirai a noi.
E il mondo vivrà come uno.
Se potete, cantatela insieme. Dirà al mondo che la pace è possibile.
LUCIANO COSTA