Dopo aver partecipato, ovviamente solo col cuore e con la mente, alla giornata del volontariato celebrata l’altro ieri (quando venne istituita, appena trentacinque anni fa, scrissi che non una ma cento ogni anno dovevano essere le giornate dedicate a chi di sua volontà smetteva di fare per sé e si metteva a fare solo per gli altri) e aver di nuovo misurato il valore del servizio che i volontari prestano ai fratelli nel bisogno, mi sento autorizzato a ribadire che la politica, per essere buona, deve andare a lezione dall’ultimo dei volontari, quello che sta sulla porta, pronto ad aprirla allo sconosciuto che si presenta, perché di sicuro avrebbe le parole giuste per spiegarle come rispondere ai bisogni della gente, senza mostrare i muscoli e senza pretendere più di quanto sia necessario.
Politica, ma chi sei tu per turbare sempre e comunque i passi quotidiani? Protagora, uno dei dialettici con cui Platone ama arrovellarsi alla ricerca della città perfetta, racconta che l’uomo ebbe dapprima il dono della tecnica, poi il gusto della vita associata, cioè l’arte politica, e infine il dono della giustizia. La sintesi della ricerca, secondo Roberto Radice, è che “senza la giustizia i primi due doni sarebbero stati inutili, perché, ad esempio, l’uso del fuoco avrebbe reso l’uomo più pericoloso ma non più saggio; la vita associata (l’arte politica), potenziando l’aggressività, avrebbe portato alla disintegrazione della comunità, all’isolamento e all’impossibilità di difendersi dalle belve; solo la giustizia avrebbe garantito una vita sicura, civile e pienamente umana”.
Qui, di questi tempi, si sta accartocciati nella morsa del secondo dono, che assicura il gusto della vita associata, ma che abbracciando l’arte della politica diventa un caravanserraglio isterico. Rebus sic stantibus, stando così le cose, deludente, preoccupante, scioccante, incosciente – e chi più ne ha, più ne metta – è l’andazzo di chi ci governa: maggioranza e minoranza, ognuno col suo carico di sfacciataggine, sempre esibito con una faccia tosta (ma forse suona meglio “faccia di tolla”) che non ha pari nemmeno nel Regno dei Pari. Che costoro fossero boriosi e cinici era risputo, insulsi e insipienti forse, pazzerelli in libera uscita anche, ma stupidi, cioè capaci di farsi male da soli e di far male agli altri, questo lo sappiamo soltanto adesso. E non è un bel sapere. Infatti, quest’Italia travagliata dipende da loro, dalle loro bizze, dai loro sì o no, dal loro modo di vedere il futuro. E qui, mi sa proprio che lo stanno vedendo male, malissimo. Non me la prendo con la sarabanda di parole che circondano le norme pensate-adottate-discusse-accettate-rifiutate-approvate o negate per opporsi al devastante proseguire del Coronavirus, ma con la protervia con cui lor signori passano dal fare al disfare, dal dire al disdire, dal riconoscere (il valore dell’unità sollecitato dal Presidente Mattarella, per esempio) al disconoscere (tra l’altro i proclami, le parole e i voti espressi con solenne esibizione di responsabilità) e dall’essere all’apparire.
Tutto per un “MES” (Meccanismo Europeo di Stabilità, detto anche Fondo salva-Stati, una società pubblica europea alla quale l’Italia partecipa con un gruzzolo notevole e della quale detiene un altrettanto notevole gruzzolo di azioni), che a suo tempo il Berlusconi, allora Presidente del Consiglio, approvò con l’applauso dei suoi ma che adesso, riformato e quindi in procinto di essere sottoposto al voto dei singoli stati, più non piace, anzi non dispiace, però, per ragioni politiche, non piace affatto. “Come il colpo di pistola di Sarajevo – ha scritto un politologo -, il voltafaccia di Berlusconi sul Mes rischia di avere conseguenze incontrollabili sulla stabilità del governo Conte”.
Così, dopo aver analizzato i furibondi mal di pancia della maggior forza numerica (quella grillina, che diamine!) e gli scombussolamenti delle altre forze impegnate nel sostegno, Marcello Sorgi ha scritto che si sta avvicinando “il suicidio della maggioranza”. Tutto questo, almeno secondo le cronache, mentre “il grillismo al tramonto sul piano politico sta accarezzando una vittoria di Pirro sul Mes”. Infatti, “essere riuscito a coalizzare il fronte populista, con l’aggiunta sorprendente di Silvio Berlusconi, sul no tutto ideologico al prestito europeo, segna un punto a favore dei 5 stelle, sebbene sia molto opinabile che lo segni anche a favore degli interessi dell’Italia”. La sensazione, dice Massimo Franco “è che abbia prevalso una lettura demagogica del Fondo salva stati e che, di nuovo, la maggiore forza di governo abbia subito il richiamo della foresta dell’ostilità populista all’Europa”. Uno che dice cose sagge sebbene trovi raramente qualche saggio ascolto (Romano Prodi, ve lo ricordate?) ha ribadito che “sarebbe da pazzi far cadere un governo senza sapere dove si vada a finire”.
Secondo alcuni esperti di cose italiane (cioè cantori e contatori dei vizi e delle virtù del popolo italico) c’è “il fondato sospetto che l’unica condizione tra quelle poste dal Mes che al nostro Governo davvero non piace, è l’obbligo di spendere i soldi solo ed esclusivamente per l’emergenza sanitaria, in maniera diretta o indiretta, e di rendicontarne l’utilizzo…”. Un bel guaio, per altro non nuovo. Infatti “per tenersi le mani libere la politica, che non ha mai disdegnato di fare debiti, evidentemente preferisce ricorrere all’emissione di titoli sul mercato. Innanzitutto perché al momento costano molto poco… E poi perché fare debiti in questo modo ha il grosso vantaggio che puoi spendere i soldi come vuoi e, anzi, anche non spenderli…”.
Come di certo vi sarete accorti, sto zigzagando attorno a qualcosa che rischia di trasformare nuovamente l’Italia in un Paese allegrotto e spensierato, dedito alle cosucce interne ma incapace di aprirsi alle grandi prospettive. Possibile che nessuno si chieda che figura fa l’Italia a Bruxelles nel momento in cui l’Unione Europea sta per elargire 209 miliardi di aiuti? Un ex parlamentare europeo mi ha confidato che tra Bruxelles e Strasburgo di figuracce son piene le fosse. Un semplice ex parlamentare italiano mi ha invece sussurrato che qui, in attesa di far figuracce, si inventano “cabine di regia”, almeno sessanta, una per ogni ipotetico progetto a cui dovrebbe provvedere il chissà quando verrà Recovery fund.
Una lettrice, che si dice occasionale ma interessata, mi ha rimproverato la sfrontatezza con cui, nel domenicale scorso, ho ipotizzato che la solidarietà propiziata da Berlusconi nei confronti del Governo (dicevo che il vecchio leader aveva ridotto a miti consigli sia lei, la Giorgia, sia lui, il Matteo) fosse solo un’abile captatio benevolentiae in vista di una sua candidatura alla presidenza della Repubblica. Dato che a pensar male a volte la volpe la imbrocchi prima che si prenda il pollaio, rinnovo il pensiero e con Massimo Franco ribadisco che “il prossimo passo per Berlusconi è concorrere all’elezione del Presidente della Repubblica; con la segreta – ma remota – speranza che il nome assomigli il più possibile al suo”.
Mercoledì si vota sul Mes e di sicuro ne vedremo di belle e di brutte. Tutto secondo copione. Nella prima repubblica la gente pensava quello che dicevano i partiti, mentre ora i partiti pensano quello che dice la gente. Non so se nel primo caso fosse un bene, so che nel secondo è male, perché prevale – in politica e nella vita – ciò che fu definito “il chiassoso e appassionato orgoglio dei mediocri: di non industriarsi per fare un passo avanti, ma di assicurarsi che qualcuno resti un passo indietro, indiscutibilmente ultimo ed escluso dell’élite dei penultimi”.
Tutto e sempre per colpa del gusto della vita associata, cioè dell’arte della politica, che tutto mischia e tutto sbroglia in base all’ideologia, che in realtà doveva essere tramontata da un pezzo, ma che, almeno secondo Giorgio Gaber, “malgrado tutto credo ancora che ci sia. / È la passione, l’ossessione / della tua diversità / che al momento dove è andata non si sa”. Domani la cerco. Se la trovo poi ve la racconto.
LUCIANO COSTA