Sono stanco, annoiato, annichilito, deluso, offeso, arrabbiato: tutto questo mentre me ne sto davanti alle immagini della guerra in Ucraina e delle altre tante guerre che assillano e uccidono il mondo senza vedere e neppure pensare che per esse – la guerra e le guerre – esistano minime giustificazioni o qualsivoglia impercettibili ragioni. No! La guerra è stata, e resta semplicemente stupida, inutile, idiota forma di supremazia, cretineria elevata alla massima altezza, arrogante mostruosità, somma di muscoli e nullità di pensiero, orrenda dimostrazione di potenza umana usata qual potenza distruttrice e devastatrice dell’umanità intera. Non ho bisogno (non abbiamo bisogno) di guerra e guerre. Già troppe ne abbiamo contate e troppi son coloro che han chiesto le mie e vostre lacrime. Basta! È adesso ora di tornare a scoprire “la porta d’accesso che l’amore dà alla vita”, che “è la stessa porta d’accesso, ovunque”. Ma per farlo servirebbe passare dal devastante “me ne frego” all’esaltante “mi interessa”. È possibile…
“Lo stile del mi interessa – ha detto ieri papa Francesco a quei benemeriti illusi, però felicemente ricevuti in udienza, che ancora vivono l’Azione Cattolica, ai quali volentieri mio associo -, poiché la miseria umana non è un destino che tocca ad alcuni sfortunati, ma quasi sempre il frutto di ingiustizie da estirpare, si impara…”. Magari a scuola, per strada, in famiglia, ovunque vi sia un qualsiasi campanile disposto a concedere alle campane di suonare a distesa per dire che il giorno concede a chiunque la sua luce… Però, il mio amico Giovanni non aveva dubbi nel sostenere che di nessuno è la luce se lui non vuol vederla. E quell’altro perditempo, di nome Severo, neppure lui aveva dubbi sulla diffusione della luce sole, ma tanti ne accavallava sulla diffusione della luce fatua del lampione. Ieri, quel Bergonzoni che fa e disfa il pensato del giorno adattandolo all’assurdo più assurdo che ci sia, a proposito di guerra e guerre ha scritto che “il verso che hanno prese le cose non è quello degli uccelli né quello dei poeti. Peccato”.
Anna Giulia ha scritto per ricordarmi – lei che ha conosciuto amore, dolore e amarezze – che comunque e sempre vale la pena di aprirsi alla luce, di sperare giorni nuovi, di immaginare cieli azzurri, di lasciarsi avvolgere dal mistero dell’Infinito. Purtroppo, l’altra metà del pensiero espresso dall’amica che i sogni più belli ha dovuto momentaneamente accantonare, lascia spazio alla tristezza, sentimento che assopisce e intorpidisce l’animo, che è contrario alla gioia e alla felicità, che sposa rabbia, sorpresa, paura e disgusto, che sarà pure (come sostiene Paul Ekman, psicologo, esperto nella lettura delle espressioni facciali) una delle sei emozioni fondamentali, ma della quale potremmo volentieri farne a meno. Così e per questo, al Claudio Villa che cantava “buongiorno tristezza, amica della mia malinconia”, preferisco l’Ornella Vanoni che dice con musica e canto “tristezza / per favore vai via / tanto tu in casa mia / no, non entrerai mai. / C’è tanta gente che ha bisogno di soffrire / e che ogni giorno piange un po’ / invece Ornella vuole vivere e cantare / e deve dirti di no. / Tristezza / per favore vai via / non aver la mania / di abitare con me. / Vorrei dipingere di rosso la mia stanza / appena parti lo farò. / Al posto tuo ho già invitato la speranza / e finalmente vivrò”.
All’alba ho invitato quella speranza e le ho chiesto di prendere il posto della tristezza. Poi, vedendo il mondo ancora intento a scambiarsi bombe di ogni tipo e offese senza senso e schiaffi-calci-pugni-sputi-grida e minacce indegne di stare nel tempo e in ciò che di umano resta al tempo, l’ho pregata di andare per terre e per cieli a spiegare l’inutilità e la selvaggia incoscienza della guerra. Mi ha risposto consigliandomi di rileggere quel che Lin Yutang (uno scrittore, traduttore e saggista cinese, le cui originali creazioni e traduzioni sono diventate popolarissime in Occidente, candidato due volte al Nobel per la letteratura, nel 1940 e nel 1950, uno che a premessa del suo trattato sulla “Importanza di vivere” ha messo il pensiero con cui Confucio spiega come “non è la verità che fa l’uomo grande, ma l’uomo che fa grande la verità”) ha lasciato in eredità all’umanità intorpidita da sete di potere e di dominio. Ho così scoperto, e spero non sia una pia illusione, che basterebbe un poco di sano umorismo per impedire qualsiasi guerra.
Lin Yutang dice infatti che “se mandassimo cinque o sei dei migliori umoristi del mondo, di ieri o di oggi non ha importanza (per esempio, Shaw per l’Irlanda, Leacoch per il Canada, Chesterton per l’Inghilterra, Rogers ma anche Allen per gli Stati Uniti e poi, aggiungo io, Kraus per l’Austria, Chaplin per il mondo degli oppressi, Chiappori-Altan-Staino-ElleKappa-Benigni-Fortebraccio-Bergonzoni o Fiorello per l’Italia, più qualche russo che il regime ha incarcerato invece di lodare e ringraziare) a una conferenza internazionale dando loro i poteri plenipotenziari degli autocrati, il mondo sarebbe salvo (e liberato da ogni possibile guerra). Dato che l’umorismo necessariamente si accompagna col buon senso e lo spirito di tolleranza, più alcune eccezionalmente sottili qualità dell’intelletto nello scoprire incongruenze, follie ed errati ragionamenti; e dato che questa è la forma più alta dell’intelligenza umana, possiamo esser certi che ogni nazione sarebbe rappresentata alla conferenza dalle sue menti più sane e profonde…”.
Ma sì, per davvero, aggiunge l’amico Lin: “Mandate cotesta gente in Conferenza alla vigilia di una gran guerra e ditemi se potrebbero mettere in essere una guerra europea o mondiale per quanto ci provassero. È immaginabile una simile adunata di diplomatici internazionali in procinto di votare (ammettere o dichiarare) una guerra o di complottare per farla? Il senso umoristico lo vieta. Tutti i popoli son fin troppo seri e pressoché pazzi quando dichiarano guerra a un altro popolo. Son così certi di aver ragione, di aver Dio dalla loro parte! Gli umoristi, dotati di miglior buon senso, non la pensano così”. Vedreste voi, amici lettori, i sopra citati e gli altri umoristi sparsi nel mondo (russi compresi) abbandonare il riso e raccogliere il fucile per sparare a qualcuno? Io no. Io semmai, come ha fatto a suo tempo quel Stephen Leacock (un insegnante, scienziato politico, scrittore e umorista canadese che tra il 1915 e il 1925 fu lo spargitore di sano humor più conosciuto al mondo, altresì noto per il suo umorismo leggero e per le critiche alle follie delle persone) affacciandosi alla tribuna costruita sull’universo conosciuto, “piuttosto mi scuserei con l’intiera umanità, ricordando che in fatto di stupidaggini e pacchiane sciocchezze, nessuna nazione ha diritto di pretendersi superiore alle altre. Come faremmo, in nome dell’umorismo, a votare una guerra in queste condizioni?”.
Seguono altre argute riflessioni e domande tutt’altro che banali. Una di queste, chiedendo “chi è sempre stato a cominciare la guerra, anche a nostro nome”, risponde perentoriamente “è stato l’ambizioso, il furbo, il perspicace, il calcolatore, il prudente, il sagace, l’altero, il super-patriota; è stata la gente ispirata dal desiderio di servire l’umanità, la gente che ha una carriera da intraprendere e da far buona figura nel mondo, la gente che aspetta e anela di contemplare i secoli, abbasso, dagli occhi di una bronzea statua seduta su bronzeo cavallo su qualche piazza… Strana cosa, proprio: il furbo, l’ambizioso, l’altero sono in pari tempo i più codardi e confusionari esseri, privi del coraggio, della profondità e della sottigliezza date dall’umorismo. Sempre occupati in banalità, mentre gli umoristi, col loro più vasto orizzonte mentale, sanno comprendere più vasta veduta…”. Così, insomma, argomenta Lin “non abbiam nemmeno bisogno di tenere una conferenza di umoristi internazionali per salvare il mondo. C’è una riserva sufficiente di quel simpatico salvagente detto senso dell’umorismo, in ciascuno di noi…”.
E poi, se già non v’ho annoiato, aggiungo che “quando l’Europa (o il mondo) fosse sull’orlo di una guerra catastrofica, potremmo anche mandare in conferenza i nostri peggiori diplomatici, i più esperti e sicuri di sé, i più ambiziosi, i più inframmettenti, i più intimiditi e convenientemente paurosi, e anche i più ansiosi di servire il genere umano. Basterebbe stabilire che all’inizio di ogni sessione pomeridiana o antimeridiana, dieci minuti fossero consacrati alla visione di un film di Topolino alla quale tutti i diplomatici dovessero assistere, perché qualsiasi guerra fosse evitata”. La morale della favola, scrive Lin Yutang è “nella funzione chimica dell’umorismo, in grado di mutare il carattere del nostro pensiero, capace di toccare le radici della cultura stessa ed apra la via all’avvento dell’Età della Ragione nel futuro mondo umano. Perché è poi questa la sola cosa importante: l’avvento di una razza (o di un tempo) di uomini (e donne) permeati di maggior spirito di ragionevolezza, con maggior prevalenza di buon senso, semplicità di pensiero, temperamento pacifico e vedute culturali. Il mondo ideale per l’umanità – argomenta il saggio Lin – non sarà un mondo razionale, né un mondo in ogni senso perfetto, ma un mondo nel quale le imperfezioni saran subito avvertite e le liti ragionevolmente aggiustate. Per l’umanità è questo, francamente, quanto di meglio possiamo sperare: il più nobile sogno che ragionevolmente possiamo sperare di veder avverato. Ciò sembra implicare parecchie cose: semplicità di pensiero, gaiezza filosofica e acuto buon senso, che renderà possibile questa ragionevole cultura. Ora per l’appunto, l’acuto buon senso, la gaiezza filosofica e la semplicità di pensiero sono caratteristiche dell’umorismo e da esso prendono le mosse”.
Ovviamente i fautori della guerra e delle guerre non lo sanno. E perciò continuano a ragionare con le bombe piuttosto che con il pane quotidiano da distribuire e da garantire a tutti gli umani. Di certo, quel folle zar che si crede erede e capo di tutte le russie e che per questo si è sentito e si sente in diritto di occupare e devastare una Nazione vicina e libera, non lo sa. Però, dovrebbe saperlo. E nel caso instesse a evitare di saperlo, qualcuno, per favore, vada fin là a spiegarglielo. E forse finirà, per me e per voi, la tristezza. E con la tristezza finirà anche quel senso di impotenza che impedisce alla pace di trionfare.
Infine, se potete, perdonate il disturbo.
LUCIANO COSTA