Quel 7 ottobre 2023, appena un anno fa, doveva e poteva essere un giorno qualsiasi? No, non poteva essere un giorno qualsiasi. In quel giorno, infatti, la violenza ebbe di nuovo il sopravvento su generosità gentilezza buon senso rispetto e ragione. E quella violenza seminò lutti… E quel giorno dissotterrò il terrore e lo trasformò in cibo da servire giorno dopo giorno e ora dopo ora alla mensa degli umani. “Basta…” ha gridato anche ieri il ragazzino a cui il racconto della guerra turba i giochi, i pensieri, i sogni, le amicizie, la voglia di esistere e in quell’esistere costruire sentieri utili a favorire incontri, a far nascere amicizie, a dare luce e sostanza alla pace…
Il 7 ottobre 2023, appena un anno fa, il mondo ha visto naufragare la possibilità di vivere insieme, senza barriere e senza odio. Quel giorno, sul gran teatro del mondo, è andata in scena la peggiore commedia, quella intrisa di sangue e morte, orrenda sintesi del sonno della ragione, orripilante attestazione della volontà di seminare il male… Quel giorno, in un angolo di terra per molti Santa e per altrettanti solo sabbia da calpestare, vennero sacrificate alla dea violenza 1204 persone (310 tra soldati e poliziotti, 817 civili israeliani e 77 cittadini stranieri) e altre 251 vilmente rapite e trasformate in ostaggi, merce da usare come scambio e per seminare paure…
Tutto questo un anno fa… Poi 365 giorni impastati di morte, tutti uguali, tutti orrendi, tutti annunciatori di nuova violenza… No, non ho parole per commentare e neppure ragioni da mettere in campo. Possiedo solo la forza per dire, insieme al ragazzino che sogna giochi e gioie a condividere, “Basta…”, che adesso questo è solo il tempo per abbracciarsi… “Ma, come si può abbracciare qualcuno che è nemico, che è diverso, che è lontano dal proprio credo, che è sconosciuto, che è armato e pronto a colpire, che non sa cosa significhi – perché nessuno ha mai cercato di spiegarglielo – vivere in Pace…?”. Non so come si possa fare, ma di certo, se ancora significa qualcosa quel “ama il prossimo tuo come te stesso” che non smette di annunciare cieli e terre nuovi, so che è possibile farlo, quando e come tocca a me a te a noi a voi e a tutti stabilirlo, magari, come non smette di suggerire Primo Levi, “ad ora incerta”… Incerta per tanti, ma certa per coloro che pur sapendo di essere “nessuno” o solo figli di un dio minore non smettono di credere possibile ciò che agli umani sembra impossibile… La pace e il perdono, per esempio. In quel suggerimento, che qui lego alla tragedia datata 7 ottobre 2023 e non alla Pasqua di ogni anno, Primo Levi chiede a me e a voi:
“Ditemi: in cosa differisce
questa sera dalle altre sere?
In cosa, ditemi, differisce
questa pasqua dalle altre pasque?
Accendi il lume, spalanca la porta
che il pellegrino possa entrare,
gentile o ebreo:
sotto i cenci si cela forse il profeta.
Entri e sieda con noi,
ascolti, beva, canti e faccia pasqua.
Consumi il pane dell’afflizione,
agnello, malta dolce ed erba amara.
Questa è la sera delle differenze,
in cui s’appoggia il gomito alla mensa
perché il vietato diventa prescritto
così che il male si traduca in bene.
Passeremo la notte a raccontare
lontani eventi pieni di meraviglia,
e per il molto vino
i monti cozzeranno come becchi.
Questa sera si scambiano domande
il saggio, l’empio, l’ingenuo e l’infante,
e il tempo capovolge il suo corso,
l’oggi refluo nel ieri,
come un fiume assiepato sulla foce.
Di noi ciascuno è stato schiavo in Egitto,
ha intriso di sudore paglia ed argilla
ed ha varcato il mare a piede asciutto:
anche tu, straniero.
Quest’anno in paura e vergogna,
l’anno venturo in virtù e giustizia”.
“Illuso lui e chiunque con lui consumi quella cena…”: questo dicono i commentatori e i (tanti) profeti di sventura che solcano l’etere… Eppure, da qualche parte, c’è ancora almeno un vagabondo che crede possibile passare dalla paura e vergogna alla virtù e giustizia. Uno di questi l’ho visto raffigurato nel canto (il trecentesimo) con cui Graciàn Baltasar conclude il suo “Oracolo manuale e Arte della prudenza”. Egli, sicuramente “Santo Sano Saggio (tre parole che iniziano con la esse e che sono la base della felicità) è “prudente, vigile, accorto, saggio, valoroso, calmo, integro, felice, degno di plauso, veritiero ed eroe universale”. Ma, dico io, esiste davvero – qui o altrove, adesso e domani – un simile umano? Dubito esista, soprattutto perché non gli vedo intorno quell’alone di perdono e perdonanza che solo potrebbe fare la differenza. E neppure noto, in questo accavallarsi di guerre, spazio dedicato a un ragionamento – uno solo, anche piccolo-piccolo – sul perdono, sul cosa significa davvero perdonare… se il perdono debba essere concesso a certe condizioni oppure sia, di sua natura, incondizionato; se modifichi il passato oppure soltanto il futuro di chi lo chiede come di chi lo “offre”; se sia lecito, e fino a che punto, rifiutare il perdono; e se sia altrettanto lecito proiettare sugli affari umani una logica perdonista, che in fondo è divina… “Se pensi questo e non t’accorgi che invece domina il suo contrario – mi ha detto il truce amico per il quale vale solo ciò che rende e non ciò che fa bello il panorama, che per sua natura abbraccia l’universale imbecillità – allora sei proprio fuori…”. E’ vero. Forse son davvero “fuori…”, fuori dal coro degli osannanti per convenienza e dei lagnanti per scelta… però dentro la schiera di coloro che ancora cercano e propongono il “bene comune” come via alla Pace e alla concordia.
E’ ottobre, mese di mezzo, sospeso tra sole e pioggia, titolare incontrastato di giorni pieni di una luce diversa, una luce regalata e regolata da un sole – mio tuo nostro vostro e di tutti – che in questo tempo diventa più raro e prezioso, al tal da indurre più di un mortale a confessare di non poter “sopportare di perdere qualcosa di così prezioso come il sole d’ottobre rimanendo in casa”. La scienza calendaristica dice che “il nome del mese deriva dal latino october, perché era l’ottavo mese del calendario romano, che incominciava con il mese di marzo”, ma anche che secondo il calendario rivoluzionario francese il nome diventava “Vendemmiaio e Brumaio” (di vendemmia e di brume/nebbie incipienti?), oppure quel mese che, parola del poeta Bertolucci “è il caro mese dell’anno quando / più dolci nubi il cielo del mattino / attraversano, e il passo di chi parte / trova foglie più fitte nel sentiero / che s’allontana”. Oppure, e lo preferisco, simile a quello raccontato per piccoli e grandi lettori da Gianni Rodari, grande sognatore e vero amico, che lo definisce “seminatore” poiché “in terra il seme sogna il fiore, / sotterra il buio germoglio sa / che il sole domani lo scalderà”. Ecco, ancora penso che domani il sole scalderà il cuore di coloro che oggi si perseguitano e fanno la guerra e li indurrà a darsi la mano, ad abbracciarsi, a smetterla di seminare violenza e morte….
Domani, forse, chissà… Nel frattempo “che cosa posso sapere? che cosa debbo fare? che cosa mi è lecito sperare?”. Farò tesoro di ciò che Brahms (proprio lui, il sublime musicista) diceva a proposito delle sue partiture, e cioè che “comporre non è difficile, estremamente difficile è (semmai) eliminare le note superflue”. Che oggi si chiamano… Per favore, aggiungete voi quel che secondo voi è stonato e quindi degno d’essere eliminato. Sappiate che in ogni caso concordo e sono solidale.
LUCIANO COSTA