Il Domenicale

Un velo pietoso su rose e persone…

Ho trovato un velo, pietoso assai, e l’ho steso su uomini e cose.Ho rinvenuto un velo pietoso e non l’ho steso su uomini e cose, ma l’ho usato per rimettere uomini e cose al loro naturale posto. Poi, ho preso quel velo, pietoso e indecente, e l’ho usato peravvolgere bugie e mezze verità profferite a man salva, senza alcuna pietà, da politicanti di tutto capaci fuorché di far posto alle ragioni della politica, alla politica vera, di servizio, che diventa gesto di carità autentica quando fatta per il popolo e non per se stessi. Poco dopo ho rinvenuto un velo in disuso e l’ho usato per catturare “le sparate, i rumori di fondo, i discorsi ingannevoli o deliranti, le frasi fatte, i miraggi, le parole d’ordine che caratterizzano questa epoca sommersa dalla retoricala quale, piaccia o dispiaccia, è il male che affligge a ogni livello il nostroPaese. Infatti, “minacciosa o patetica, essa contamina ogni discorso, lo gonfia e lo trascina il più possibile lontano dalla realtà…”.

Però, lo ammetto, è retorico argomentare oggi attorno a un Governo presieduto da una balda ragazzotta, che a un suo pari grado venuto in visita ufficiale e di certo concordata dice “facciamo in fretta, che ho un aereo pronto a portarmi altrove…”(se interessa, quell’aereo era pronto a portarla alla festa di compleanno di un suo ministro, famoso celodurista, assai simile alPallemosce raccontato da  Edoardo Albinati in “velo pietoso: una stagione di retorica”, famoso perché contava poco pur credendo di contare tanto e perché schivava accuratamente i guai da lui medesimo provocati), essendo chiaro che uno è lo specchio fedele dell’altra. Retorico è anche ritenere che sia retorica ogni riflessione su chi governa, essendo altrettanto chiaro cheall’ultimo arrivato e quindi non ancora aduso a governare è obbligatorio concedere attenuanti, generiche e non generiche, in numero ragguardevole. Anche quella che ha consentito alla suddetta “balda ragazzotta e al celebre celodurista, festa facendo, di cantare insieme La canzone di Marinella che, tra l’altro “scivolò nel fiume a primavera, ma che il vento, vedendola così bella “dal fiume la portò sopra una stella. Allora, ma solo allora, “furono baci e furono sorrisi, e tu “come tutte le più belle cose, vivesti solo un giorno, come le rose, come tutte le più belle cose…”. Lei e lui cantavano, cento e più osservavano, uno filmava pronto a mettere in rete quel “momento di intima felicità”, che messo a confronto con la disperazione regnante e diffusa tra la spiaggia di Cutro, i campi di battaglia ucraini e le terre devastate dai terremoti era un vero e proprio pugno nello stomaco. Il che mi consente di scrivere e di ritenere che non siaper nulla retorico e neppure mero esercizio di retorica chiedere al Buon Dio di proteggerci dai pasticci causati dai governanti (questio quelli che verranno o che già sono stati, non importa…).

L’ultimo pasticcio, appena preceduto dalla citata festa di compleanno che ha distolto dal reale e immerso nell’irreale, è andato in scena sulla sperduta spiaggia di Cutro, rossa di sangue e di vergogna; il penultimo sulle rive del reddito di cittadinanza, fatto per dare una mano ai poveri cristi che non ce la facevano a sbarcare il lunario, adesso che ancora non ce la fanno a sbarcare il medesimo lunario la mano capace di aiutarli dovranno cercarsela altrove, da soli, perché essere poveri non è una eventualità ma una colpa, perché il fatto che li riguarda e che si chiama povertà, anche per colpa dei soliti furbetti che fingono e che sapprofittano, non sussiste; il terzultimoquartultimoquintultimo o quale che contar si voglia cercateli tra le pieghe della cronaca laddove si parla di aiuti e armi da concedere all’Ucraina invasa, di bonus e super bonus, di concessioni balneari, accise sulla benzina, intercettazioni telefoniche e ambientali, legge di bilancio ogni volta contorta e bisognosa di urgenti aggiustamenti fatti con toppe talmente vistose da far ridere i polli…

Pasticci, lessicalmente miscugli di pasta e icci, che come asserisce Filippo Ceccarelli “celebrano l’inestricabile legane fra sontuosa gastronomia e mala amministrazione”, ovvero quella “rigogliosa e sintomatica fantasmagoria lessicale che ne declina il concetto” mettendo in rapida successione definizioni strabilianti quali “papocchio, pastrocchio, accrocchio, inguacchio, pateracchio, garbuglio, intruglio, imbroglio, impiccio, pecionata, casino…, tanta roba, “roba nostra, nazionale e perfino patriottica”.

Come mettere in ordine se intorno regna cotanta confusione? Secondo l’ultima delle “lezioni di filosofia” firmate da Mauro Bonazzi, è il caso di “ripartire da Aristotele e occuparsi del perché di tutto”, magari “considerando queste cose da un punto di vista quantitativo, matematico, indagando le relazioni che intercorrono tra queste cose”. Per il filosofo “il primo sapere è quello della matematica”, che rappresenta “lo studio dell’essere secondo la quantità…; il secondo è quello della fisica, che racchiude “lo studio dell’essere secondo il movimento…”. A seguire “realtà ulteriori…”, anche, perché no, una che riguardi “Dio, se esiste, magari “un sapere ancora più ampio e universale, a partire da quella proprietà fondamentale di cui tutte partecipano: quella di essere o esistere”.  Per Aristotele “occuparsi dell’essere in quanto essere (occuparsi del perché di tutto, insomma) è compito della filosofia…”, che forse è la disciplina più importante. Ma chi oggi, in un tempo in cui altri saperi hanno conquistato la posizione più rilevante (la teologia e la scienza, per esempio), la pensa come Aristotele? Tradotto a uso e consumo del mio domenicaleargomentare, significa che io e voi, cioè noi, restiamo più prevedibili di quanto pensiamo. Insomma, sebbene sia difficile crederlo misurando il crescere e l’ampiezza delle nostreconoscenze, “l’enigma più grande rimaniamo proprio noi”.

Quanto al “velo pietoso” (piccolo-grande volume scritto daEdoardo Albinati, per anni insegnante nel carcere romano di Rebibbia e nel 2016 vincitore del Premio Strega con un libro intitolato “la scuola cattolica”), dopo averlo ritrovato e doverosamente riletto, me lo porto ovunque qual talismano pronto all’uso contro i luoghi comuni, controparole che non vanno a segno, parole svalutate, rimaste in testa o sulla punta della lingua, parole che si dimenano sguaiate, per paura di non essere espressive abbastanza”. Leggendo e rileggendo tal “velo pietoso”, prezioso dono di una lettrice, ho sbattuto di brutto contro al Karl Marx (proprio lui, lo stesso autore del “Capitale”, breviario del comunismo a cui dava vita) che scrivendo “Il 18 brumaio”, opera pubblicata per la prima volta nel maggio 1852 con cui analizza il colpo di stato ordito e compiuto in Francia da Luigi Napoleone IIIquando il calendario segnava il 2 dicembre 1851, forniva “quasi a ogni pagina superbi ritrattini polemici”, che se non fosseroappesantiti da un carico di ben 171 anni, potrebbero sembrare scritti ieri o addirittura oggi.

Uno di questi ritrattini dice che “i capi democratici fanno di tutto per impegnare il popolo in una lotta apparente e così distoglierlo da una lotta reale”; un altro racconta di “un avventuriero assillato dai debiti e non trattenuto da una reputazione che non aveva”; un altro ancora parla “delle orge che celebrava ogni notte assieme alla canaglia in ghingheri…” e di cui “si veniva a sapere la mattina dopo da alcune vestali poco riservate…”; poi, uno che dice di “cavalieri della tavola rotonda rovinati dai debiti”, un altro che illumina su quel tale che “parla dell’ordine, della religione e della famiglia, mentre alle sue spalle ha la società del disordine…” e su quell’altro, che “mette riparo alle disfatte presenti con la profezia di vittorie future, o l’altro ancora, di certo frutto del “cretinismo parlamentare, malattia che relega le sue vittime in un mondo immaginario e toglie loro ogni sensazione, ogni ricordo, ogni comprensione del rozzo mondo esteriore”, magari quello il cui nome “non poteva mancare quando occorreva un minchione (o una minchiona/ndr) da mettere nel governo” e poi quell’altro, che “vittima della sua illusione si trasforma in un pagliaccio serio, che  non prende più la storia come una commedia, ma la propria commedia per storia universale e di nuovo un altro che “spinto dalle contradditorieesigenze della sua  situazione vien costretto intanto, come fa un prestigiatore, a tener gli occhi del pubblico fissi su di sé con sorprese continue”, e un altro ancora, fatto apposta per “far sembrare che le sue velleità di usurpazione non si manifestassero per altro scopo se non per dare alimento alle maligne risa dei suoi avversari”. Per non dire del ritrattino che di un tale dice “non fu un tramonto, fu uno svanire” e di un altro che di tanti, tantissimi, spiega “ciò che immaginano di essere e ciò che in realtà sono”. Anche quello che dice di quei pretendenti “al potere che hanno speculato in modo così volgare sulla volgarità delle masse”, e a seguire quello che spiega, a suo modo, come “in nessun periodo troviamo una miscela più eterogena di frasi alate e di indecisione e goffaggine reali”. Di tutto un po’: partiti, gruppi, combriccole; Berlusconi, Salvini, Meloni, Renzi, Grillo, Conte e chissà quant’altri in Italia; Trump, Putin, Erdogan, Xi Jinping e altri ancora nel mondo Grazie, Karl Marx!

Tutto e tutti da collocare dove meglio aggrada e conviene, possibilmente non qui, ma là… Solo così, infatti e solo forse,“torneranno a fiorire le rose…”, le stesse che furono di Marinella.

LUCIANO COSTA

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