Una giornata surreale ha fatto da premessa a questa giornata domenicale che qui s’annuncia soleggiata e calda mentre altrove si propone e impone qual dama imbronciata e delusa dal suo fallace amore. Non sto straparlando, no, ragiono appena su qualcosa che è appena accaduto e che induce appena a penare per i danni che contempla e porta con sé. Ieri, nella steppa più desolata, è infatti andata in scena la stupidità colossale di un uomo che credendosi unico-irripetibile-insostituibile, addirittura onnipotente seppure notoriamente ritenuto da tanti se non da tutti impotente a ragionar su ragioni degne d’essere ragionate, non s’è accorto d’essere nessun, tal quale a un’ombra che svanisce appena giunge anche soltanto un refolo di luce. Non chiedetemi il nome di costui, vi basti sapere che l’oggetto della vostra curiosità ha parecchio da spartire con quel Rasputin (nato nel 1869 e morto nel 1916, un religioso-mistico-politico sempre e comunque sinonimo di potenza, dissolutezza e lussuria, consigliere privato dei Romanov, influente influencer dello zar Nicola II e della sua consorte Aleksandra, un depositario di fede cieca nel principio dell’assolutismo imperiale su cui si basava il trono di Russia) il cui nome già nelle prime tre lettere (ras) riassume la “persona che esercita dispoticamente la sua autorità” guadagnandosi il titolo dispregiativo di “ras del paese”, mentre nelle restanti (putin) è la concretizzazione della follia presente in quel gran cultore (stavo per dire altro, forse testicolo, o coglionaccio, che in senso appena figurato sta per sciocco-balordo-grullo-babbeo-gonzo o fesso, ma mi sono fermato in tempo), che credendosi chissà chi ha deciso di dar prova della sua esistenza mettendo in mostra non l’intelligenza ma i muscoli…
Non ho voglia di buttarmi nel pantano che raccoglie tutto, perfino le più stupide giustificazioni, dico solamente che mi sembra d’assistere alla recita dell’approssimazione, cioè della teorizzazione dell’incirca anziché della certezza.
Eppure, come ha scritto qualcuno certo più acuto del sottoscritto, “se c’è una cosa che fa male al discorso (pubblico o privato, a libera scelta) è l’approssimazione”, la quale caratterizza massimamente il “discorso pubblico”, soprattutto perché “essendo il mondo vasto e variegato, occorre farsi capire da tutti, senza escludere nessuno…”. E per farlo, non resta che “essere generici, vaghi a volte, aprendo la via anche alla manipolazione e all’inganno”. Così, in un contesto in cui si fa economia addirittura dell’attenzione “vince la capacità di catalizzare il tempo e gli sguardi delle persone, piuttosto che la volontà di fornire un prodotto, per esempio l’informazione, ad alto livello di precisione e correttezza”. Ragion per cui “l’attenzione resta soprattutto un bene conteso dai venditori di qualsiasi cosa” e non piuttosto una virtù degna d’essere coltivata ed emulata. Però, siccome “vendere informazioni non è come vendere scarpe”, sarebbe il caso di preoccuparsi se qualcuno bussasse alla porta offrendo strepitosi e misteriosi affari. Infatti, se informare significa “dare forma”, la forma è e rimane la condizione necessaria per stabilire la bontà o la vacuità di qualsiasi informazione. Ieri, per esempio, in una giornata a dir poco surreale, della “forma” han fatto scempio tutti coloro che informando non si sono per nulla preoccupati di mettere le informazioni al riparo dell’approssimazione. Così, all’improvviso, in quel mercato sabatino allargato, sono apparse due monete: una per quantificare la qualità dei contenuti; l’altra per definire l’autorevolezza delle fonti. L’una e l’altra moneta avrebbero meritato attenzione e rispetto. Avrebbero… In verità non ebbero altro che orecchie pronte a chiudersi piuttosto che ad aprirsi.
Poi, stamani all’alba, rileggendo quel che Francesco aveva appena detto agli artisti, mi son persuaso che per dare forma al pensiero, è il caso di far tesoro della poesia, quella che riassumendo l’infinito “ti butta da un’altra parte”, ti spiega che i suoi “sono occhi che guardano e sognano”, gli stessi che uno scrittore latinoamericano definiva “uno di carne e l’altro di vetro” (con quello di carne – spiegava – guardiamo ciò che vediamo, con quello di vetro guardiamo ciò che sogniamo… e poveri noi se smettiamo di sognare!). Se ho ben compreso l’antifona, poeti, scrittori, giornalisti, affabulatori, sceneggiatori e registi sono, secondo il papa, “la voce delle inquietudini umane”, belle o tragiche dipende dal punto di vista. L’odierno punto di vista, giacché segue una giornata surreale, è a dir poco inquietante, assai simile a quello che Dostoevskij racconta nei “Fratelli Karamazov”, laddove narra “di un bambino, figlio di una serva, che lancia una pietra e colpisce la zampa di uno dei cani del padrone…”. A quel punto “il padrone aizza tutti i cani contro il bambino: lui scappa e prova a salvarsi dalla furia del branco, ma finisce per essere sbranato sotto gli occhi soddisfatti del generale e di quelli disperati della madre…”. Non so per voi, ma per Francesco (al quale mi unisco) questa scena ha una potenza artistica e politica tremenda. Infatti, e lo ha ribadito di fronte agli artisti, “essa parla della realtà di ieri e di oggi, delle guerre, dei conflitti sociali, dei nostri egoismi personali…” e invita a costruire mondi di pace, abitati da fratelli, da amici, da persone – indubbiamente abitanti l’isola di Utopia – che insieme vogliono regalare gioia e serenità…
Tutto perfetto. Ma che dire se al fin della contesa scopri che sei nulla di fronte al tutto che impone la sua norma? Dice l’Eco migliorista e intento a dar anima ai giochi linguistici: “Ai miei lettori non importa un prospero, ma a me non può che far buon pro (spero)”, sapere che riferisco pensieri pensati, che magari racconto con la mia penna “di uccellini che han perso la loro penna” sebbene appena dopo “al pomodoro mi faccio la penna”. Stranezze del destino o destino di color che di stranezze si circondano? Non lo so. Però, adesso, in compagnia di massime, di linguistici giochi e di semplici pensieri mattutini “son calmo, son del ciclon nell’occhio. / Fortuna che qualcun mi ha aperto l’occhio. / Ma io a queste manfrine ho fatto l’occhio. / Ho aperto lesto lesto di bue l’occhio / e quel che avviene fuori ecco che adocchio. / Naturalmente mi son detto: “Occhio! / Devo guardare senza dare nell’occhio!” / Vedo qualcuno che pare il Verrocchio / col piatto pien di fagiolini dall’occhio / che gli è costato della testa un occhio. / Pare mangi per vincere il malocchio / e far guarire di pernice l’occhio. / Ma che vedo? E’ senz’altro un bel papocchio! / Cosa diavol vuol dire? Forse occh’io / vedo scene da storie di Pinocchio?”.
Rileggo quel Ravasi, eminentissimo cardinale e scrittore sopraffino, che a premessa del suo domenicale “breviario” ricorda ciò che nessuno dovrebbe aver mai dimenticato. E cioè quel verso con cui Emily Dickinson manda a dire: “Io sono Nessuno. / Tu chi sei? Sei Nessuno anche tu? / Allora siamo in due! / Non dirlo! Potrebbero spargere la voce! / Che grande peso essere Qualcuno! / Così volgare – come una rana che gracida il tuo nome – / tutto il giugno, a un pantano in estasi di lei!”. Tutto questo adesso, cioè, spiega Ravasi “nell’oggi che tutto spinge a essere Qualcuno, a urlare la propria presenza e spesso la connaturata stupidità… a sgomitare nel pantano del successo a tutti i costi…”, che tanto, dico io, una rana pronta a gracidare ci sarà sempre disponibile all’uso e all’abuso… Varrebbe allora la pena ricordare quel che il saggio raccomandava di non dimenticare. E cioè che è magari beato chi “desidera essere ignorato e considerato un nulla”. Purtroppo, è risaputo che, invece, come spiega La Bruyère, “l’uomo reale perde spesso il lume della ragione, grida, si dispera, manda faville dagli occhi e rimane senza respiro per un cane smarrito o per una porcellana andata in pezzi”.
Ieri, scrive Wislawa Szimborska, da qualche parte del mondo conosciuto “hanno scoperto una nuova stella… Ma non vuol dire che vi sia più luce… È solo qualcosa che prima mancava”. Sempre ieri “sono stato cordialmente invitato a far parte del realismo viscerale… Naturalmente ho accetto, senza alcuna cerimonia d’iniziazione”. Da ieri, se vi interessa, “non riesco a nascondere la mia furia di lettore”, quella che mi costringe “a fermarmi ogni volta che incomincio a leggere…”, (questo o quello, fate voi). Il che conferma che “l’asino vola, o almeno potrebbe provare a farlo se spinto dal vento…”, oppure che se “incoraggiato più dal vino del crepuscolo che dalla brezza mattutina” egli saprebbe certo anche “accennare qualche passo di danza”. Quanto al soggetto della giornata surreale, sappiate che è di quelli che insistono a dire “mi spezzo ma non mi piego” sebbene sia noto a tutti che potrebbe impunemente dire, insieme al classico scansafatiche, “mi spezzo ma non m’impiego”, che tanto sono io il “ras(putin)” del paese.
Se a simili facezie volete porre rimedio, rileggete quel che Carlo M. Cipolla scrive nella quarta legge fondamentale delle stupidità umana, laddove asserisce che “le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore”. L’attore protagonista della giornata surreale vissuta ieri, non lo sa, ma Plinio, grande immaginifico poeta, è pronto a spiegargli che è tal quale a un qualsiasi Nessuno, simile all’elefante “ingegno e piuttosto lento nell’apprendere ciò che gli viene insegnato”, uguale al riccio che “prepara il cibo per l’inverno rotolandosi sopra i frutti che giacciono per terra”, niente più di un cervo che “se gli si avvicina un cavallo o una giovenca, non vede l’uomo che caccia più vicino a lui”, per nulla simile “alla balena e al topolino di mare, lei con gli occhi oppressi dal peso oltremodo grave delle sopracciglia, il topolino intento a indicarle i guadi dannosi per la sua grossezza, che per lei svolge la funzione degli occhi”. Plinio, davvero ingannevole e incantevole. Per questo, ha scritto Calvino, meriterebbe “una lettura distesa, nel calmo movimento della sua prosa, animata dall’ammirazione per tutto ciò che esiste e dal rispetto per l’infinità diversità dei fenomeni”. Per favore, consigliate simile lettura all’attore protagonista della giornata surreale andata in scena ieri.
LUCIANO COSTA