Domanda: esiste un termine per definire chi si bea dei pettegolezzi, dei si dice, degli oroscopi, delle facezie, dei trucchi, delle disgrazie, di chi sguazza sistematicamente nella cronaca nera (modo di qualificare un racconto che racconta morti ammazzati, disastri e quanto di più nefando esista tra le pieghe del tran tran quotidiano), di chi si alimenta di mistero, di giallo (colore che nulla ha da spartire con i morti, ma che per colpa di una copertina è diventato sinonimo di mistero e di truci delitti) e di chi usa morti e disgrazie per cucire insieme paginate di giornale, ore di televisione, infiniti ritorni sul pezzo vantando novità esclusive ma in realtà ogni volta per affondare le mani nel torbido e così suscitare l’interesse di comunissimi mortali che altro non sperano se non di sapere di essere ancora vivi?
Risposta: no, non esiste siffatto termine. O forse sì. Una volta i cantori del nulla e del torbido venivano definiti “becchini e levatici del tempo”. Uno di questi, forse il migliore, dopo aver scritto anche solo cinque righe per informare che il cielo sarebbe rimasto al suo posto nonostante le catastrofiche previsioni di un qualsiasi nostradamus, o che nessuna bellona di grido sarebbe sopravvissuta agli anni, o che il troppo ricco politicante sarebbe andato a ramengo lui e la sua convinzione di essere eternamente giovane piuttosto che subitamente e semplicemente sorpassato (dalla storia, dal tempo, dagli anni, dagli acciacchi, dalle rughe….), cioè più o meno vecchio, oppure che tizio aveva pestato i piedi a caio ricevendo in cambio un ceffone che l’aveva stordito) si prendeva una pausa per lavarsi le mani. Richiesto di dare una spiegazione a smile salutistica abitudine, disse che non voleva trattenere sulle mani neppure l’ombra delle sciocchezze appena raccontate, che insomma “era meglio un’abluzione abbondante piuttosto che dover convivere con i resti del lerciume sparpagliato intorno”.
Due giorni di festa (la Vigilia e il Natale, che insieme fanno davvero qualcosa di speciale) prima della solita domenica riservata al domenicale, mi hanno offerto la possibilità di vedere in televisione il meglio e il peggio dell’avventura quotidiana: di tutto e di più, fate voi, ciascuno secondo il proprio punto di vista e la propria sensibilità. Il mio è altalenante: disastroso sui programmi triti e ritriti (film all’ennesima replica, perfino il benedetto e mai stanco “via col vento”, sceneggiati inscenati senza costrutto, quiz caramellosi, documentari che potrebbero anche documentare l’assuefazione a cui siamo giunti se ogni volta non fossero imbellettati per sembrare nuovi, canzoncine e canzoni sempre uguali, personaggi (sempre gli stessi) messi lì per mostrare di che pasta erano fatti i loro (ahimè andati) anni ruggenti, oroscopi e oroscopai (brutto termine, lo so, ma è l’unico che ho trovato adatto alla bisogna), sul nulla spacciato come sapere universale, sul cicaleccio affidato a improbabili saputelli, sul virus che non molla, sulle vacanze che vanno e vengono, sulla sciata strozzata, sul cappone farcito, sulle mericonde svolazzanti, sui geni dei fornelli e su chi da forni e fornelli trae giovamento e gloria…; generoso e grato verso chi cancella l’ovvietà e al suo posto lascia spazio alle riflessioni che contano (quelle del Presidente Mattarella e del Presidente Draghi, per esempio, ma anche quelle di certi sindaci che alle tragedie del quotidiano si oppongono con la forza della speranza che diventa solidarietà vissuta e ragione da condividere) e che disegnano spazi in cui tutti hanno la possibilità di ritrovarsi e di sentirsi persone amate e attese (quelle offerte da papa Francesco innanzitutto, ma poi tutte le altre, comprese quelle che ancora una volta mi ha regalato la saggia-pazza, buone per far gioire il povero e far pensare il ricco, per la quale il mondo sarebbe migliore se e come non fosse popolato da stupidi cantori di niente e da presunti dei adatti a tutte le evenienze…).
Mentre cercavo lumi a cui aggrapparmi per vedere oltre l’ovvietà mi sono imbattuto nell’irriverente imitatore di politici e politicanti (tale Crozza) che non se la prendeva con i vecchi-anziani (uomini e donne senza distinzione) che vorrebbero salire al Colle (dorata pensione piuttosto che ostica dimora) per passarci i prossimi sette anni, ma con gli anziani-vecchi che non contando gli anni posseduti sono fieri di dire ”io ho l’età che mi sento”, con ciò giustificando eventuali dabbenaggini o qualsiasi eccesso causati dall’inesorabile procedere del tempo a loro disposizione. E’ stato allora che mi son ricordato di Naaman, il ricco e invincibile guerriero che sotto la corazza nascondeva la vecchiaia che gli rodeva la carne e le ossa, che volendo guarire andò dal profeta offrendogli oro e argento in gran quantità in cambio della guarigione. Il profeta lo ascoltò, rifiutò le sue ricchezze e gli consigliò di bagnarsi sette volte nel fiume che scorreva nella valle. Lui, superbo e potente qual era, pensò si trattasse di una burla. “Però – gli disse il fido servitore – non si sa mai che il profeta abbia ragione”. Allora Naaman si bagnò sette volte e pur restando vecchio guarì dalla vecchiezza e si mise a contemplare il cielo in attesa che i giorni a lui concessi esaurissero il loro corso. Se trovate il racconto fatto non perfettamente in sintonia col testo biblico originale, avete ragione. Infatti, l’ho adattato a questo nostro tempo in cui nessuno (o pochi) s’accorgono di essere ridicoli se invece di essere quel che sono vogliono apparire per quel che vorrebbero essere. “Fatti un bagno di umiltà”, mi diceva la zia ogni volta che credevo di aver trovato la luna mentre invece si trattava soltanto di una scintilla provocata da un fuoco fatuo. Purtroppo, “questo tempo sembra aver dimenticato l’umiltà, o pare l’abbia semplicemente relegata a una forma di moralismo, svuotandola della dirompente forza di cui è dotata”. Naaman metteva l’armatura per nascondere la vecchiezza (ma era la lebbra, in verità), i novelli Naaman “passano la vita nascondendosi dietro un’armatura, un ruolo, un riconoscimento sociale” cha alla fine fa solo male, perché poi arriva il momento, ha spiegato qualche giorno fa Francesco alla Curia romana e a tutte le curie laiche esistenti, “in cui si ha il desiderio di non vivere più dietro il rivestimento della gloria di questo mondo, ma nella pienezza di una vita sincera, senza più bisogno di armature e di maschere”.
“Fatti un bagno di umiltà”, mi raccomandava la zia. Ma che cosa è adesso l’umiltà, che cosa è oggi, cioè nel momento in cui tutto quel che luccica è importante e tutto ciò che è normale sembra inutile? Leggo e riferisco le risposte che ho annotato scorrendo testi intelligenti e sicuramente umili: l’umiltà è la capacità di saper abitare senza disperazione, con realismo, gioia e speranza, la nostra umanità; l’umiltà è comprendere che non dobbiamo vergognarci della nostra fragilità; l’umiltà è il contrario della superbia… Se non c’è almeno una definizione che vi soddisfa, cercatela in fretta.
Ieri, mentre si spegnevano le luci del Natale e l’ultimo augurio mi assicurava un pensiero pieno d’affetto, ho incrociato i passi con i versi poetici di uno sconosciuto che volendo cantare la felicità umilmente suggeriva: “Ascolta, il rumore delle onde del mare / e il canto notturno di mille pensieri / dell’umanità che riposa / dopo il traffico di questo giorno / e di sera si incanta davanti / al tramonto che il sole le dà. / Respira, e da un soffio di vento raccogli / il profumo dei fiori che non hanno / chiesto che un po’ di umiltà / e se vuoi puoi gridare e cantare / che voglia di dare e cantare / che ancora nascosta può esistere la… / Felicità, perché la vuoi, / perché tu puoi riconquistare un sorriso / e puoi giocare, e puoi gridare, / perché ti han detto bugie / ti han raccontato che l’hanno uccisa, / che han calpestato la gioia, / perché la gioia è con te. / E magari fosse un attimo, / vivila, ti prego, / e magari a denti stretti non farla morire, / anche immersa nel frastuono tu falla sentire, / hai bisogno di gioia, come me..- / Ancora, è già tardi ma rimani ancora / per poter gustare ancora per poco / quest’aria scoperta stasera / e domani ritorna, / tra la gente che soffre e che spera, / tu saprai che nascosta nel cuore / può esistere la… felicità”.
Adesso corro a farmi un bagno di umiltà. Prossimamente racconterò come è andata.
LUCIANO COSTA