Passano i negatori della scienza, quelli che se ne fregano dei vaccini e che vanno in piazza a gridare libertà, io sono mio,nessuno mi può obbligare e neppure giudicare; sono fuori dal tempo, ma credono di possedere il tempo e di poterlo adattare alla loro supponenza. Poi passano i sostenitori della scienza, quelli che i vaccini li fanno e li faranno, che non hanno paura di esibire il loro green pass, che si battono per andare oltre la pandemia senza lasciare indietro nessuno. I primi minacciano e seminano paure; i secondi costruiscono possibili rimedi al virus. Avendo scritto e detto che non considero gli sciocchi e gli stupidi (ovvero i no vax)degni d’attenzione e rispetto, ho guadagnato diversi improperi e la minaccia (più ridicola che malevole e preoccupante) di restare vita-natural-durante “un piccolo insignificante scribacchino” (così hanno detto, così riferisco). Sono vaccinato e fra quattro giorni avrò pure la terza dose e, spero, anche il super green pass o green pass rafforzato (che non ho ben capito a cosa serva se già ne possiedo uno, ma che comunque intendo conquistare).
Dovrei dunque essere un fortunato non contagiabile, ovviamente salvo intoppi o imprevisti, quindi senza apparenti nemici. Però, come diceva Umberto Eco “avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro”. Così, ieri sera, dopo aver letto che i clienti degli ospedali sono in maggioranza i negatori dei vaccini, ho deciso che smetterò di considerarli parte del problema, ma solo nemici contro i quali battersi è lecito e vincere obbligatorio, soprattutto perché “lor che dicono no a tutto”, anche alla medicina che li salverebbe da tremendissimidolori di pancia (dico per dire) “sono soggetti impreparati, incompetenti, incolti, egoisti e ottusi: la vergogna dell’Italia” e chi li ascolta e magari li segue, feccia, niente altro che feccia, feccia elevata a rango nobile da “invasati ignoranti nonché a sciamani, filosofi, politici di mezza tacca e giornalisti fricchettoni” che vanno spargendo intorno senza ritegno alcuno “le intollerabili sciocchezze inventate da persone supponenti e altezzose che insultano il buon senso dei vivi e, soprattutto, la memoria dei morti”.
In attesa di vedere il nemico “costruito apposta” per “mostrare il valore nostro”, ho trovato significativo il fatto che il prestigioso Oxford Dictionary abbia decretato che la parola dell’anno, di quest’anno 2021 complicato e ingarbugliato, è vax, abbreviazione di vaccine (vaccino) o vaccination (vaccinazione), termine che, spiega il prestigioso Dictionary, deriva dal latino vacca, che ha generato vaccino parola che unita a latte consente ancora adesso di definire quel che beviamo a colazione latte vaccino. “Il vaccino, insomma – ha scritto in lezioni di italiano il linguista Antonelli – ci viene dalle mucche: peccato però che non sia stato ancora inventato un vaccino contro le bufale”, soprattutto contro quelle inventate per demolire l’utilità dei vaccini e delle vaccinazioni.
Insomma, per difendere il diritto a non vaccinarsi c’è chi incita alla protesta, allo sciopero selvaggio e duro. Certo, lo sciopero è un diritto, protestare è lecito, ma proporre cose sensate (e per sensate intendo cose utili al bene comune) è un dovereirrinunciabile. Se poi di fronte alla vaccinazione sì o vaccinazione no c’è qualcuno che loda la prima e ammette come diritto la seconda, sarà bene che qualcuno vada a dirgli che è tempo di smetterla di essere stupidi. Sciopero e protesta fanno parte di un sistema chiamato “democrazia” che, come tutti dovrebbero sapere, non è una variante impazzita del dialogo o della politica, ma la forma necessaria e corretta per dar vita e senso a qualsiasi discussione. In “democrazia” c’è un tempo per parlare ed un altro per ascoltare; c’è modo e tempo per porre questioni, sostenere ragioni, rivendicare attenzioni, tentare di convincere gli altri, chiunque essi siano, della bontà delle proprie argomentazioni; c’è il tempo della discussione, quello della sintesi e, se possibile, quello della verifica.
Invece, succede, soprattutto adesso e a proposito di come affrontare l’emergenza pandemica – vaccinarsi o non vaccinarsi? questo è il dilemma – che prevalga il tempo dello scontro. Stando così le cose, è difficile anche soltanto immaginare che si possa giungere ad alcunché di positivo. Infatti, mentre da una parte c’è qualcuno che tenta di approfondire, di ricercare una comune linea di azione in difesa della salute pubblica, dall’altra c’è chi pretende di essere arbitro e medico di se stesso benché questo libero modo di intendere la propria superiorità sia un danno evidente alla collettività.
Non è il caso di guardare in questa o in quella direzione, però non ci vuole particolare acume per accorgersi che quella che stiamo vivendo è una stagione nella quale prevale l’egoismo dei singoli e dove il bene comune è relegato ai margini; in cui vince chi mostra i muscoli e non chi possiede ragioni spendibili e dimostrabili; dove vanno di moda le prevaricazioni e gli insulti gratuiti; dove corrono urla piuttosto che parole pensate, parolacce al posto di ragionevoli invocazioni al diritto e al rispetto della dignità e della salute di ciascuno.
Ma è proprio questa la fotografia della nostra società? Nonostante molti indizi inducano a pensarlo, mi ostino a credere che non sia questa, o non solo questa, la realtà che ci circonda, che ve ne sia un’altra, altrettanto reale, costruita sulla fiducia – nei medici e negli scienziati che cercano rimedi al virus pandemico – fatta di parole veritiere, di diritti e doveri coniugati in pari misura, di generosità distribuite in silenzio, di accoglienze esercitate senza esibizioni, di proteste fatte civilmente e ragionevolmente, di buona politica (che è servizio alla gente, mai il contrario) decisa al bene comune e non solo a una parte del bene comune, di giovani che rispettano i vecchi e di vecchi che guardano fiduciosi ai giovani (gli uni e gli altri impegnati a costruire orizzonti nuovi e praticabili piuttosto che a difendere prerogative acquisite e fin troppo consolidate).
“Tutto andrebbe meglio – ha scritto un ragazzino delle medie sul cartellone destinato a decorare l’ampio corridoio della sua scuola – se diventassimo tutti amici veri”. Tra le pieghe di Dis/Integration, esposizione di opere create dagli artisti disabilidella Comunità di sant’Egidio, ho trovato una poesia leggera come una piuma e dolce come il miele. Dice: “L’Amicizia vale più di tutto: / l’amicizia / un bene non meno necessario / dell’aria, del fuoco, dell’acqua / tanto soave che / se togli l’amicizia / togli il sole”.
LUCIANO COSTA