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“Diario di guerra e prigionia – 1940-1945” – di Padre Ottorino Marcolini

Sarà presentato venerdì 12 febbraio alle 18,30, nella chiesa della Pace, il “Diario di guerra e prigionia – 1940-1945”, di padre Ottorino Marcolini. Sostenuto Dalla Congregazione dei Padri Filippini, dall’Istituto di cultura per la storia del prete, dalla Fondazione Civiltà bresciana e dagli Amici di padre Marcolini, il volume è introdotto da una sapiente riflessione del vescovo di Brescia Pierantonio Tremolada alla quale fanno cornice pensieri illuminanti firmati da monsignor Osvaldo Mingotti, don Enrico Pirotta e Mario Rigoni Stern. Di padre Marcolini e del suo “diario di guerra e prigionia”, parleranno i curatori dell’opera e, soprattutto, coloro che l’hanno conosciuto. Qui e adesso, con l’intento di rimettere al centro dell’attenzione la figura di padre Ottorino e di offrire a chi ha dimenticato o non ha ancora potuto conoscere “quel prete ingegnere che alla Fede cristallina e alla Carità senza limiti affidava ogni respiro e ogni impresa da intraprendere”, seguono alcune note, che al racconto della straordinaria missione svolta da padre Marcolini aggiungono motivi per favorire la lettura e la comprensione del “Diario di guerra e di prigionia”: non un semplice libro, piuttosto un libro dell’anima in cui l’essere del prete diventa speranza per chi gli sta intorno e che, seppur costretto a vivere col cuore in subbuglio, non smette di credere che un mondo nuovo e migliore è possibile.

Quando la Fede costruisce case

L’avevo visto chinare il capo davanti all’immagine del deportato, piangere sui gradini del monumento ai caduti, intristire prendendo tra le mani la raccolta dei quaderni del “ribelle”, ma anche gioire innalzando una preghiera richiedente misericordia per coloro che erano morti innocenti per amore della libertà. Dolore e pianto per i misfatti compiuti dalla logica guerrafondaia e dittatoriale dominante; gioia per la certezza di sapere che una preghiera innalzata al cielo per richiedere misericordia sarebbe stata accolta e restituita sotto forma di pace e concordia. Ottorino Marcolini, padre e prete di Dio, non metteva tra sé e le emozioni nessun filtro. E dunque, piangere per le miserie subite da troppi innocenti e gioire per la moltitudine di grazie ottenute era il suo modo – vero e umile – per rendere testimonianza alla vita: quella di un prima trascorso nelle trincee del Piave e del Tagliamento, nella sconfinata steppa russa adagiata lungo il Don, sulle balze nevose dove c’erano gli alpini, i suoi alpini, a difesa della Patria, tra le baracche dei lager nazisti sperando che ogni attimo fosse quello che accompagnava la buona novella; e quella di un dopo inondato dal vento della libertà e arricchito di giustizia, fatto di uomini e donne liberati e restituiti agli affetti familiari, di chiese e case da costruire dentro villaggi pensati per assicurare dignità alle persone, di fabbriche e officine pronte a dare lavoro, via obbligata per confermare pane quotidiano a città e paesi.

Questo diario di guerra e prigionia, così intriso di pane quotidiano da condividere, di cieli da visitare e di infinito da ricercare anche dove tutto sembrava destinato a finire, non racconta guerre e prigioni, ma sante Messe celebrate ovunque vi fossero persone che le invocassero, preghiere innalzate al cielo, confessioni ascoltate e ricambiate con misericordia, sante comunioni distribuite, lacrime asciugate, sorrisi condivisi e speranze destinate a essere viatico e compagnia per i giorni del lager e della prigionia. Padre Ottorino conservava i fogli destinati al diario tra le sue cose segrete e ogni sera, rischiarato dal lume offerto dal resto di una candela, vi aggiungeva la cronaca vissuta dal prete “pastore di anime, consolatore degli afflitti, annunciatore della Parola” che al vuoto del lager aggiungeva certezze di infinito, dispensatore del vero e unico pane quotidiano, quello eucaristico.

Ottorino Marcolini, classe 1897, primo di una nidiata di sette fratelli, incominciò prestissimo a frequentare l’oratorio della Pace diventando compagno di giochi e dei “primi pensieri pensati” di Giovanni Battista Montini, destinato a diventare papa col nome di Paolo VI e di essere elevato alla gloria degli altari col titolo di Santo.  Poi, conquistata la licenza di fisico-matematico al Tartaglia di Brescia, si iscrisse al corso di ingegneria civile dell’Università di Padova. Purtroppo, la sua stagione di studente, durò poco. Infatti, nel 1916 venne chiamato alle armi. Allora conobbe la guerra, le sue indicibili miserie e il popolo di giovani e vecchi che dovevano combatterla. Da quell’esperienza Ottorino trasse la forza per aggredire gli studi e conquistare col massimo dei voti e la lode, la laurea in ingegneria industriale meccanica. Con quelle credenziali, ottenne un posto fisso nella “Officina Gas di Brescia”, antesignana della futura Azienda Municipalizzata. Poi, prevalse l’idea di farsi prete. Monsignor Giacinto Gaggia, il 2 gennaio 1927, nella chiesa della Pace addobbata a festa. lo consacrò sacerdote insieme a padre Carlo Manziana. Tra i preti che assistevano il vescovo nel rito di consacrazione c’erano anche don Giovanni Battista Montini, venuto apposta da Roma, dove era impegnato come minutante nella Segreteria di Stato Vaticana, e padre Agostino Gemelli, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Padre Ottorino mise anima, cuore e braccia al servizio della gioventù, condivise gli ideali e la prorompente forza pastorale e civile di padre Giulio Bevilacqua, distribuì il suo talento matematico tra gli studenti dell’Arnaldo, soprattutto si schierò dalla parte dei poveri e dei disperati. Poi, quando la guerra bussò di nuovo alla porta, chiese di essere accettato come cappellano militare dove i suoi giovani soffrivano e morivano. Così, dal 1940, prima con gli alpini sulle montagne del Piemonte e poi in Sicilia con gli avieri, di nuovo sperimentò l’inutile violenza della guerra.

Da lì, però, padre Ottorino incominciò a scrivere il più bel libro che mente umana potesse immaginare: un diario di vita e di pensiero, pagine intrise di spiritualità profondissima, righe pensate e sofferte per dire la tragedia vissuta, ma anche il numero di messe celebrate, di confessioni ascoltate, di comunioni distribuite e di “Pater noster…” innalzati al Cielo. Quel “diario di guerra e di prigionia” è adesso offerto alla lettura di chiunque voglia andare a conoscere di quale pasta fosse fatto quel prete ingegnere per il quale in tanti chiedono siano spalancate le porte che portano alla santità, umile e forte al punto da meritare d’essere invocato quale “Apostolo di Brescia”.

Il “Diario di guerra e di prigionia” finisce e subito lascia spazio a pensieri e riflessioni che giustificano e danno valore al vissuto quotidiano di padre Marcolini. Viene allora di pensare che questo libro, così scarno di divagazioni cronachistiche e così incentrato sulla Parola che salva e sulla Verità che rende liberi, sia parte di un vangelo ancora segreto, quello sognato da padre Ottorino. Se volete conoscere di che colore è il cielo e scoprire quanto amore è servito a padre Ottorino per vivere il suo tempo di guerra e di prigionia conservando la fede, cercatelo in questo Diario. Non resterete delusi.

LUCIANO COSTA     

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