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“Parole nella notte” di Alessandro Zaccuri

Fin dai primi secoli dell’era cristiana, in prossimità della festa di Natale scrittori di ogni estrazione etnica e culturale, poeti e narratori, mossi dalla fede o dal dubbio, non hanno mai cessato di mescolarsi idealmente alla gente del presepio per raccontare, in versi o in pagine di prosa, le loro emozioni, suggestioni, riflessioni. Per poi condividerle, grazie al proprio talento letterario, con platee più o meno vaste di lettori, suscitando uno “stupore” simile a quello di coloro «che udivano le cose dette dai pastori». Il lungo pellegrinaggio di scrittori-pastori diretti alla Betlemme dei Vangeli di Matteo e Luca non si è interrotto neppure nel Novecento delle guerre mondiali, dei genocidi e della secolarizzazione, neppure in questo primo scorcio del Terzo Millennio inaugurato da una galoppante globalizzazione messa attualmente in crisi dal covid-19.

Del fascino irresistibile sprigionato dal Natale danno testimonianza cento e cento pubblicazioni, alcune davvero pregevoli, altre massificate, altre ancora messe lì per soddisfare la voglia di regali. Però, nessuna manca di mettere almeno in evidenza che dentro il mistero del Natale l’umanità si ritrova a contemplare il cielo.

In questa già copiosa corrente di autori credenti, oranti, o anche solo iscritti alla categoria dei pensanti, si inserisce adesso una pregevole antologia curata dal giornalista, narratore e saggista Alessandro Zaccuri: Parole nella notte. Poesie per l’attesa, la festa, la nascita (San Paolo Edizioni) il cui principale connotato distintivo è la divaricazione del compasso cronologico: la sua punta iniziale si spinge fino a toccare l’estremo del primo secolo avanti Cristo, accogliendo la quarta Bucolica di Virgilio, dal Medioevo e da Dante stesso interpretata come profezia della nascita di un divino puer-Messia; al polo opposto, la punta protesa verso la contemporaneità oltrepassa la soglia del ventunesimo secolo, senza però offrire ospitalità ad alcun poeta vivente.

La ricerca e la scelta di Zaccuri sembrano ispirate a un criterio “democratico”. Nel senso che sul palcoscenico degli “eletti” sfilano a pari dignità sia immortali giganti della Weltliteratur (Melville, Rimbaud, Pessoa, Dickinson, Borges, Chesterton, il Manzoni del Natale del 1833, persino Joyce), sia figure di sublime santità (Teresa d’Avila e Teresa di Lisieux in compagnia di Elisabetta della Trinità), sia esponenti della recente poesia nostrana (da Betocchi a Raboni, da Caproni a Luzi, da Turoldo a Bertolucci, da Maria Luisa Spaziani a Testori). Né mancano sorprendenti rivelazioni (Valsecchi, Benedetti, Bobrowski) e preziosi recuperi, tra Occidente medievale (Alfano di Salerno, Anonimo irlandese, Maestro di Wakefield) e Oriente ortodosso (l’Inno Acatisto, l’Anonimo bizantino del “megalinario”, Romano il Melode con il suo “contacio”). Non si tratta, tuttavia, di un mero accumulo di testi, Infatti, i sessanta testi prescelti, che Zaccuri inquadra mediante calibrati “cappelli” introduttivi, si dispongono lungo le tre direttrici concettuali enunciate nel sottotitolo: attesa, festa, nascita. Entro ciascuna di queste tre sezioni i brani poetici figurano giustapposti in base ad affinità identitarie o tematiche, ora esplicite ora allusive.

Tra i molteplici leitmotiv pre-natalizi e natalizi risaltano: l’Annunciazione, incentrata da Margherita Guidacci sulla «giovinetta chiusa nell’ascolto» che, «con ignota dolcezza e ignota pena», «sente stormire in sé i giorni futuri»; il presepio, che Elio Fiore rappresenta modellato «con pochi scarti di lamiere forate»; il dischiudersi del gelido cielo invernale sulla Notte Santa, in cui Diego Valeri coglie «un respiro immenso di porte / che s’aprono mute lassù» e un tripudio «d’ali che calano giù»; i favolosi echi di campane evocati da Hugo von Hofmannsthal e Alfonso Gatto; e ancora, immancabili, l’Epifania (Mario Luzi) e il viaggio dei Magi (André Frénaud).

All’interno di pagine sempre pensate è possibile individuare una nota dominante, trasversale, caratterizzante? A segnalare la presenza di un minimo comun denominatore è lo stesso Zaccuri, per il quale “la bellezza di ogni Natale consiste nell’imprevedibile alternanza, e talora coesistenza, di un cammino segnato dal pianto e di una corsa entusiastica, a perdifiato”. Così, al cospetto del Bambino Gesù i poeti si scoprono «pazienti nella prova, impazienti nella felicità». Anche per questo le Parole nella notte risuonano come le più intonate al clima purtroppo pandemico del Natale 2020, da vivere, se appena fosse possibile, “con ignota dolcezza e ignota pena”, ma anche con indomita speranza.

Marco Beck

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